Dopo le prime sei micro recensioni della volta scorsa, nella quale vi abbiamo parlato di Grave Digger, Riot (che ora si fanno chiamare Riot V), Wolves in the Throne Room e altra bella gente, si riparte (sempre in onore del gran capro) con ulteriori sei in questa diabolica ammucchiata di fine anno.
SLOUGH FEG – Digital Resistance (Metal Blade)
Inizialmente il gruppo americano si chiamava The Lord Weird Slough Feg, nome poi abbreviato in Slough Feg a partire da Atavism, il quinto disco della carriera. Qualcuno si ricorderà che nei primi anni comparivano nel roster della mitica Dragonheart Records. Ho sempre tenuto in buona considerazione l’heavy metal classico, epico e a volte folkeggiante, di questi signori ma, nonostante ciò, non sono mai riusciti ad entrarmi nel cuore. Sarà perché hanno subito tanti cambi di line up (della formazione originale rimane l’immarcescibile Mike Scalzi, professore di filosofia del Diablo Valley College, nome che è tutto un programma), sarà perché, pur avendo mantenuto un livello medio alto, non hanno mai fatto il botto. In effetti, la proposta è un po’ anacronistica e tutto sommato c’è di meglio in giro, senza neanche dover andare a ripescare negli anni ’80. Resta il fatto che ogni volta si confermano piacevoli e poi qui in copertina c’è pure la lupa capitolina di questa nostra Roma sporca e corrotta. Se non lo avete ancora fatto, date una chance a Digital Resistance e se vi piace andate a recuperare Traveller e Down Among the Deadmen. Mi sembrava doveroso parlarne.
1349 – Massive Cauldron of Chaos (Indie)Titolo più cretino non potevano trovarlo. Ma il giudizio non si ferma qui (e mecojoni, direte voi). Le anticipazioni prospettavano qualcosa di meglio, forse quelli della Indie avranno capito che quando si hanno poche cartucce buone è bene spararle subito per fare bella figura. Ciò che non mi convince del disco non risiede neanche nei pezzi (Exorcism spacca, per esempio, e non è un caso isolato, ma forse sono un po’ troppo di parte) bensì nella produzione piatta. O ho scaricato ‘il solito fake’ (ops…), o hanno da aggiustare la mira. Nel merito, vi ho ritrovato parecchi filler, almeno quattro su otto pezzi, il che è un po’ troppo. Scorre via senza infamia e senza lode. I tempi di Hellfire sembrano lontanucci.
KING OF ASGARD – Karg (Metal Blade)Sempre a proposito di nomi cretini. Questi qui mi avevano fatto uscire scemo col precedente …to North quindi vado e lo prendo a scatola chiusa. E chiusa doveva rimanere. Insomma, qui dentro vi suona gente di un certo livello, che manco sto a ripetervelo (rimando a questo link per i dettagli), dalla quale ti aspetteresti qualcosa di quantomeno decente. E invece, piattume, piattume everywhere. Sebbene con qualche accenno di orgoglio residuo, tipo Highlander Rebellion (pochissimi ormai sono i richiami al canone viking), resta in generale un disco death metal noioso assaie. Della serie: fuochi di paglia.
INSOMNIUM – Shadows of the Dying Sun (Century Media)In questo attacco maniacale di completismo, non potevano mancare due parole sugli Insomnium i quali, dopo tre anni di pausa, emergono dal riposo profondo per confidarci i loro più reconditi sogni. Potevamo farne tranquillamente a meno. Peccato perché avevano rialzato un attimo la cresta dal medione dei gruppi finlandesi che fanno death metal melodico col precedente disco, che suonava semplice ed efficace come l’album di esordio (tutto il resto è noia, come diceva il saggio). Il cuore della line-up rimane lo stesso, cambia solo la seconda chitarra con l’arrivo di Markus Vanhala direttamente dagli Omnium Gatherum, il che non sposta di una virgola il risultato complessivo, almeno apparentemente. Semmai sono andati peggiorando e la cosa non è detto che debba essere imputata necessariamente al nuovo chitarrista. Insomma, amabili chiacchiere da bar finlandese tra amici alla settima pinta.
VAINAJA – Kadotetut (Svart Records)Rimaniamo in Finlandia ma cambiando completamente genere. Per i tipi della prolifica Svart Records, segnalo i Vainaja, autori di un disco doom nero come la pece e dal sapore nettamente novantiano. Oscuro ma semplice, uno di quei dischi talmente efficaci che ti si stampano in testa immediatamente, per quanto possa essere immediato il doom, tra i cui riferimenti principali vede gli ultimi Celtic Frost e i Cathedral. Un costante ruggito gutturale ci trasporta indietro in epoche antiche, in anni in cui la Finlandia rurale visse lo scontro tra le religioni tradizionali e quelle occulte, quando i ministri del culto riconosciuto praticavano nascostamente riti blasfemi e sacrificali. E’ tutto spiegato nel Kadotetut, ma in lingua madre. Quindi dobbiamo fidarci di quanto ci viene detto. Miglior esordio del 2014 per quanto mi riguarda. Al mastering c’è Dan Swanö.
KUOLEMANLAAKSO – Tulijoutsen (Svart Records)Ancora Finlandia, ancora doom, ancora in casa Svart Records (da tenere sempre d’occhio), ancora un signor disco, uno di quelli da comprare coi soldi veri, come dico ogni tanto. L’iniziale richiamo stilistico ai My Dying Bride non è né fine a se stesso né limitante per l’economia complessiva dell’album. Più vario in termini di proposta, con citazioni dal più classico death metal finnico (alla voce c’è Mikko Kotamäki degli Swallow the Sun ed ex front man dei Barren Earth) ad accenni di funereo black metal (sempre efficace l’uso dei rintocchi di campana), allo swing apocalittico di Glastonburyn Lehto, segue, paradossalmente, una linea molto precisa. Gruppo giovane (dall’impronunciabile nome) ma con un’identità definita e idee molto chiare. (Charles)
(to be continued…)