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6. Racconto Concorso "Il Bene e Il Male"

Da Angivisal84
La profezia dell’elettodi Donatella Perullo 
Buio impenetrabile, vento impetuoso, pioggia sferzante, gelo, malefizi letali. Queste forze coalizzate sono devastanti. Eppure Vernante, Druido di Olgarda, li sfidava attraversando a grandi passi la foresta di Shelden che lo separava dal territorio degli Arnolfi. Un fulmine si schiantò a pochi metri da lui, il Druido strinse più forte la bambina al petto e le coprì anche il viso con il mantello. La piccola Romea dormiva di un sonno innaturale. L’influsso del sortilegio l’aveva assopita insieme a tutta la corte. Vernante li aveva indotti al sonno, dall’ultimo degli stallieri al Re Maurico di Endrise Olgarda, padre di Romea. Aveva poi preso la bimba, avvolta in un vello di montone e portata via. Si sarebbero ridestati tutti solo quando la piccola sarebbe stata in mano nemica. La bolla di quiete nella quale si era chiuso lo proteggeva dagli incantesimi della foresta, ma non dalle intemperie. Il male sa manifestarsi in mille modi e non tutti possono essere vinti. Il vento calò, la pioggia cessò, gli alberi divennero più radi e l’erba si fece folta e soffice. Le prime luci dell’alba iniziarono a tingere il cielo d’azzurro cupo. Vernante era giunto a destinazione. Ecco, oltre la selva, l’enorme radura a forma di stella e nel suo centro la rocca inespugnabile dei guerrieri dell’odio. Vernante mosse ancora qualche passo verso il maniero. Aprì il mantello e, fissando il viso della bimba, la depose al suolo. Romea non si accorse di nulla. Continuò quel sonno innaturale distesa sul vello adagiato sul prato. Il druido guardò ancora una volta quei lineamenti teneri, l’incarnato roseo e i boccoli corvini, poi il castello arroccato su un’altura oltre il fossato e le mura. Si coprì il volto con il cappuccio e si allontanò verso la foresta.
Re Vilmaro Arnolfi D’Alisea si specchiò per controllare che il servo gli avesse pareggiato a dovere la barba, simbolo della sua casata. Alle sue spalle il giovane stentava a tener ferme le ginocchia tremanti per la paura dell’ira del suo padrone. Vilmaro si carezzò il mento irsuto poi gonfiò il bicipite destro avvicinandolo allo specchio per osservare meglio il tatuaggio che aveva aggiunto al suo mosaico corporale solo qualche giorno addietro. Il dragone dagli occhi infuocati e la lingua biforcuta sembrava affondare gli artigli direttamente nelle carni del re che se ne compiacque. Fece cenno al servo di iniziare la vestizione e questi si precipitò a eseguire. Re Vilmaro era giovane eppure rughe profonde gli solcavano la fronte perennemente aggrottata. Il suo sguardo era cupo, le labbra strette e la mandibola contratta, poiché costui non conosceva serenità. Era nato con la guerra, cresciuto imparando ad aggredire e odiare chiunque osasse tentare di frenare l’incedere della lega dell’odio e la sete di potere di suo padre. Vilmaro era una macchina da combattimento, deciso a portare avanti gli obiettivi e le volontà che suo padre gli aveva tramandato in punto di morte. La sua prossima missione sarebbe stata la conquista dei territori di Re Maurico di Endrise Olgarda e la totale distruzione della sua stirpe. Avrebbe beffato la profezia secondo la quale da loro sarebbe nato il prescelto che avrebbe annientato la Lega dell’Odio. L’erede marchiato dalla luna, che avrebbe guidato la Coalizione del Sole al disfacimento dell’Impero del Male. Il segnale partito dal torrione mise in allarme ogni soldato e il re. Una delle sentinelle aveva avvistato un invasore all’interno della stella inviolabile degli Arnolfi. Vilmaro non ebbe esitazioni. Seguito da un drappello armato, montò il suo destriero bardato per la battaglia e diede l’ordine di calare il ponte levatoio. L’alba aveva ormai lasciato il posto al giorno nuovo, Vilmaro scorse senza difficoltà la macchia bianca al confine con la Selva Oscura e lanciò il cavallo al galoppo verso l’intruso.Raggiunta la creatura il re scese agile dalla sella e si avvicinò guardingo al vello tenendo il pugno stretto all’elsa della spada. Una bambina addormentata! Incredulo si accovacciò studiandone i lineamenti delicati e il candore della carnagione. Indossava solo una camiciola color del grano che le lasciava scoperte le braccia e le caviglie. Re Vilmaro non si chiese il perché della sua presenza in quel luogo né come avesse potuto oltrepassare la foresta, scalza, sola e indifesa. Vedeva solo qualcuno che aveva osato oltrepassare il confine del suo regno. Si rimise in piedi, sguainò la spada, la impugnò con entrambe le mani e si preparò a trafiggere la fanciulla. La lama era già in posizione e gli occhi di Vilmaro puntati lì dove l’avrebbe infilzata, quando un’improvvisa brezza soffiò pungente e sollevò la camicia della bimba scoprendola fin oltre le ginocchia. Un singhiozzo di stupore scosse i soldati e lo stesso Re che rimase immobile, con la spada a mezz’aria e gli occhi fissi su quello spicchio di luna rossa che marcava la gamba della creatura.L’eletto! Il discendente degli Endrise Olgarda che secondo la profezia avrebbe provocato la distruzione del suo Impero, era una bimba minuta! Vilmaro fu tentato di ignorare i dubbi e trucidarla senza pietà, ma si fermò. Ripose la spada e avvolse la piccola nel vello sul quale era adagiata, poi la sollevò prendendola tra le braccia. Se costei era l’eletto ora era in suo potere. L’avrebbe tenuta prigioniera e usata per ottenere la resa incondizionata della sua gente. Nessuna pietà e nessun sentimento per i nemici, solo sete di conquista.Montò a cavallo e ritornò verso la roccaforte. In quello stesso istante la piccola si destò e Vilmaro incontrò due occhi dell’azzurro più intenso che avesse mai visto. La fissò severo, senza proferir parola, ma lei sorrise e non mostrò paura né sorpresa alla vista del cavaliere. Rimase a scrutarlo curiosa mentre Vilmaro spronava lo stallone.Quando furono oltre la soglia del castello, mentre il ponte levatoio cigolava alle loro spalle, la piccola gli sorrise.Vilmaro non ricambiò, la passò nelle mani di un attendente orinandogli di condurla a una serva di corte che si occupasse di lei. Era fiero di sé e della sua capacità strategica. Ora che i suoi nemici avevano perso quell’unica arma, per il suo esercito sarebbe stato fin troppo semplice concludere la guerra. Però voleva capire. Comprendere perché e come il prescelto, anzi la prescelta, fosse giunta nel suo territorio. Temeva fosse stato ordito un piano malefico per trarlo in inganno e indurlo alla disfatta.Quando entrò nella stanza, il re cacciò via con un ordine secco le donne intente ad accudire la bimba e rimase solo con lei.«Chi sei?» tuonò «Perché sei qui?» chiese a denti stretti con un tono inquisitorio che avrebbe spaventato chiunque. La piccola però continuò a sorridere e gli rispose serena «Sono la principessa Romea di Endrise Olgarda. Mio padre è Re Maurico uomo giusto e valoroso. Non so perché sono qui né come vi sono giunta. Ricordo di essermi addormentata mentre ero a tavola, accanto a mia madre. Tu chi sei?» «Re Vilmaro Arnolfi D’Alisea, sono il tuo nemico, colui che la profezia dice che sconfiggerai. Nella realtà sono il guerriero che distruggerà la tua razza e la tua famiglia.»«Davvero?» c’era solo stupore sul viso rubizzo «E perché mai?»«Perché sarò a capo dell’Impero più potente dell’intero pianeta, l’impero del male.»«Non mi sembra un fine tanto gradevole. Chi ti costringe a farlo?» l’ingenuità della principessina era disarmante.«Costringere? Nessuno. Io sono degno erede di mio padre. Perseguo i suoi ideali e i suoi obiettivi.»«E i tuoi ideali quando li seguirai?»«I miei?» Vilmaro ebbe un istante di esitazione «I miei ideali camminano di pari passo con quelli della mia stirpe.»Romea abbassò lo sguardo pensosa: «Quindi sei spesso in guerra. Lasci sola la tua famiglia. I tuoi bimbi sentiranno tanto la tua mancanza!»«Io non ho figli» s’indignò Vilmaro «ho da conquistare il mondo, non cerco distrazioni!»Romea si avvicinò al giovane e gli sfiorò la mano con una carezza, fu a quel punto che un brivido la scosse e i suoi occhi si riempirono di lacrime. «Cosa fai, perché piangi?» ruggì il re ritraendosi.«Piango per te Vilmaro, per la tristezza e la solitudine che mi confida il tuo animo.»«Io non sono triste, né solo. Allontanati da me!» gridò l’uomo spingendola via in malo modo.«Quale mestizia traspare dai tuoi occhi! La solitudine è in ogni dove! Io piango per te, perché ora so. Fino a oggi non avevi nessuno che ti amasse, ora capisco perché sono qui.»«Sei folle. Probabilmente ti hanno scacciato dal tuo regno per liberarsi di te.»«Oh! No, mia madre non potrebbe vivere senza di me e mio padre adora i miei abbracci stritolanti.» dicendo questo la piccola di slancio afferrò una coscia del re e la strinse forte tanto che Vilmaro non riuscì ad allontanarla e mosse un paio di passi trascinandosela dietro.«Piccola peste! Come osi toccarmi? Provaci ancora e sei morta!»«I tuoi occhi sono buoni ma la tua voce e la tua espressione vogliono dare a pensare il contrario.»«Ti ucciderò e consegnerò i resti a tuo padre. Saranno l’ultima cosa che vedrà prima di morire per mano mia!»«Sento già di volerti bene, sai?»Vilmaro si infuriò, sguainò il pugnale e glielo puntò contro. Come se neanche lo avesse visto Romea si asciugò le lacrime con il dorso della mano e tornò a sorridere. «Hai mai avuto un amico prima d’ora?»Vilmaro non rispose, ma si rese conto di aver avuto tanti servitori, attendenti, sudditi, mai un amico. «Sai che il mio signor padre è un uomo amabile? Quando tornerò al mio regno gli parlerò di te e gli chiederò di essere tuo amico. Andrete a caccia insieme e conoscerai mia zia, le piacerai e insieme avere quei bambini per i quali non desidererai più recarti in battaglia. L’alleanza sarà di gran lunga più fruttuosa della guerra.»«Tu non tornerai al tuo regno. Non rivedrai i tuoi genitori!» Ora Re Vilmaro era davvero fuori di se. Altro che prescelta, quella piccola petulante era un flagello mandato a perseguitarlo! «Prendimi la mano Vilmaro.» Romea infilò il suo piccolo palmo in quello calloso del re e strinse forte. Vilmaro sentì un calore improvviso attraversargli il braccio e invadergli il torace fino al cuore che accelerò i battiti. Il sangue gli affluì al viso e iniziò a sentirsi strano come mai gli era capitato prima. Abbassò lo sguardo e interrogò la bambina.«Trasferisco amore, è questo il mio dono. Ecco come ci si sente quando si è amati. E’ una sensazione che non conosci, seguimi e io farò di te un uomo nuovo. Conoscerai quelle meraviglie e quelle gioie di cui sei stato privato fino a oggi. Non sei malvagio, ma solo un uomo senza amore. L’odio è il male e il male è privazione del bene, assenza di amore. Da oggi in te non ci sarà più odio perché ti sto trasmettendo tutto l’amore di cui dispongo.»Vilmaro sentì un senso di smarrimento impadronirsi del suo animo la paura montargli dentro. Strinse di nuovo il pugnale e lo puntò alla gola di Romea.
Seduto su di un masso, oltre il confine della foresta di Shelden, Vernante era immobile da due giorni e due notti. Attingeva calore ed energia dal fuoco perpetuo che aveva animato a pochi passi da sé. Meditava cercando quel refe impalpabile che lo univa a Romea. Ora temeva il fallimento della profezia. Immaginò Vilmaro uccidere l’eletta e un brivido lo scosse.Schiocchi di rami spezzati. Vernante fissò il punto da cui proveniva il suono. Lo stallone nero bardato con i colori del casato degli Arnolfi D’Alisea si avvicinava lento. Vernante vide Romea, sedeva gioiosa in groppa al destriero insieme al Re. Lui la proteggeva con la sua cappa, cingendola in un abbraccio. Vernante scrutò il volto del tiranno, aveva tagliato la lunga barba effigie di appartenenza alla Lega dell’odio. I loro sguardi s’incrociarono e Vernante seppe che il miracolo era avvenuto, l’impero del male era stato annientato.

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