Anno: 2013
Durata: 243’
Genere: Drammatico
Nazionalità: Filippine
Regia: Lav Diaz
Un linguaggio potente da narratore, quello di Lav Diaz (nome completo Lavrente Indico Diaz, regista, attore e sceneggiatore filippino, classe 1958), noto per le sue opere dalla lunghissima durata (anche 12 ore), che fortunatamente, nel film presentato a Cannes 2013, sezione ‘Un Certain Regard’, Norte/La Fine della Storia si è limitata a poco più di 4 ore. Nonostante la relativa lentezza dell’azione, la pellicola scorre, e si resta avviluppati da una storia niente affatto banale che accosta, su due livelli paralleli, tratti di racconto contemporaneo – i giovani intellettuali universitari filippini, non ricchi ma benestanti, che discutono, seduti ad un caffè, di politica ed attualità, di bene e male, colti, tolleranti, con uno sguardo profondo ed ironico sulla vita – ad una trama più complessa e tragica, che fa da trait-d’union alle tante conversazioni sulla politica, la religione, la giustizia che di quando in quando letteralmente fermano l’azione.
La vicenda si svolge del Nord delle Filippine, luogo dove convive la popolazione islamica con ex-cattolici che strizzano l’occhio agli evangelici e terreno di guerriglia marxista per lungo tempo. È qui che vive Fabien, giovane brillante che ha lasciato l’Università di Giurisprudenza perché crede sia più importante l’azione e perché nulla sembra avere più senso. Frequenta sempre i suoi amici che lo considerano il loro guru, il più bravo di tutti, e vorrebbero convincerlo a riprendere gli studi. Ma un giorno Fabien, senza rifletterci troppo, uccide un’usuraia che teneva in pugno l’intero paese, soprattutto i poveri delle baracche e poi fugge lontano. Al suo posto viene incriminato (a vita) un uomo già poverissimo, la cui moglie è così costretta a lavorare il doppio per dar da mangiare ai figli. Da qui si dipanano i percorsi ramificati dei personaggi: Fabien con grandi sensi di colpa non trova il coraggio di costituirsi e finisce per appoggiarsi ad un gruppo evangelico; l’uomo in prigione diventa quasi santo e sviluppa sensibilità e bontà in dosi massicce; la donna lavora e spera, spera e lavora. La giustizia cercata individualmente diventa ingiustizia certa per gli innocenti, l’assolutismo si rivela controproducente in ogni caso.
Diaz fa parte di una generazione cresciuta con i film e gli insegnamenti di Lino Brocka (cineasta scomodo, morto in un incidente stradale in circostanze misteriose), maestro nel mostrare la storia e la politica del suo Paese attraverso ogni dettaglio di un film, nel cercare il dubbio ed il disequilibrio come valori, nel cinema e nella vita. Speriamo che, in qualche modo, sia possibile recuperare, per il pubblico dei cinefili, quest’opera così interessante e, a vari livelli, educativa.
Elisabetta Colla