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Attualità si diceva, anche no a dir la verità. Il secondo film in ordine cronologico del regista thailandese è datato 1999, e allora si potrà parlare di un’attualità contestualizzata in quel preciso periodo storico. Tuttavia la prima impressione che potrebbe suggerire un’impostazione filmica da simil-denuncia viene assolutamente sgretolata dal costruirsi da sé di una vicenda avvolta nelle oblunghe e tentacolari forme del grottesco accompagnate da situazioni più amene controbilanciate da altre maggiormente gravose che globalmente vanno a comporre una pellicola estremamente godibile.
Pellicola che ha il suo fulcro nell’appartamento di Tum (Lalita Panyopas che ritornerà in Ploy, 2007), la quale dopo aver sognato più volte la morte (sua, per giunta) si trova a doverla affrontare a causa di disdicevoli eventi. Veniamo trascinati in un bilocale dove reminiscenze del buon vecchio zio Alfred emergono da quella pozza nera in cui si nasconde l’orrore; il fatto che vi sia un morto nascosto dentro a una panca-tavolino mi ha felicemente ricordato Nodo alla gola (1948) oltre che Last Life in the Universe (2003) dove viene riproposta una situazione identica. E proprio da quello che probabilmente è il film più conosciuto di Pen-Ek si può qui ravvisare un’esponenziale tendenza a invischiare la vita di una persona qualunque con la malavita organizzata made in thai. Per quanto riguarda i delinquenti, non si tratta di personaggi austeri/freddi, certo sono dei killer ma la loro resa pende di più dalle parti delle risa che da quella delle lacrime; con un paragone incerto mi verrebbe da confrontarli alle figurine che calcano le scene dei CAT III hongkonghesi, anche se comunque gli “uomini cattivi” di Ratanaruang hanno uno spessore molto ma molto più convincente. Ad ogni modo sono farseschi nella loro stupidità – le circostanze in cui tutti muoiono è attendibile quanto la puzza di palle! – poiché stereotipizzati al massimo nella scala degli stereotipi viventi.
Ad accompagnare questo bailamme di deliziose canaglie c’è tutta una schiera di personaggi secondari egualmente spassosi e lucidamente incastonati all’interno della sceneggiatura.
La bellezza sta nel fatto che nel suo procedere il film riesce a dare lo spazio necessario a tutti loro. Alcuni sono un gradevole surplus tipo lo spavaldo poliziotto, altri delle chicche niente male tutte da carpire (lo stesso poliziotto si intrufola in casa per stanare due ragazzi che fanno uso di droga per poi vedere successivamente in un fotogramma uno di essi disperato per l’overdose dell’amica), ed altri ancora concretamente funzionali alla storia, vedasi gli impicci della vicina che portano all’esasperazione Tum (splendida la scena “verniciata” di rosso prima del taglio della gamba), e infine, impossibile da non menzionare, il maniaco telefonico protagonista di una gag esilarante con uno sgherro sordo.
Insomma tutto sto popò di materiale umano, tra l’altro protagonista nel finale di un ottimo stallo alla messicana (Tarantino gongolerebbe), trova la collocazione necessaria all’interno di un film dalla struttura solidamente ballerina poiché poco importa se una donna così fragile riesca ad uccidere dei nerboruti omaccioni, se la stessa donna bisognosa di un passaporto si rechi proprio in casa del boss che la sta cercando, e per tutte le altre imperfezioni rintracciabili su cui si può soprassedere grazie alla stuzzicante matrice comica a cui si rifà, la quale contiene, in ogni caso, spilli di goduriosa violenza.
Per che scrive una delle migliori fusioni fra dramma e commedia di sempre.
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