La sua voce in un respiro di Miriam Tocci Creatura: Fantasma
I suoi occhi erano fissi sulla barra dell’EVP.Lo aveva ascoltato e riascoltato, ipnotizzato dal cursore che scorreva sulle linee crescenti e decrescenti del grafico. Alec Reed non era certo tipo da farsi impressionare dalla psicofonia. Lavorava da diversi anni con il P.I.D. - Dipartimento Investigativo sui Fenomeni Paranormali- e poteva dire di averne viste e sentite di tutti i colori. Militare addestrato, era stato scelto dal Governo per l’eccezionale rispondenza del suo profilo alle caratteristiche di un investigatore del paranormale: esperto di tecniche audio e di computer, notevole resistenza fisica e un curriculum denso di atrocità a cui aveva assistito durante le sue missioni, roba da sconvolgere l’equilibrio psicologico di chiunque, ma non il suo.E adesso, quella voce. Non avrebbe mai immaginato che un giorno sarebbe tornato a sentirla.Forse si sbagliava, ma tutto in quel timbro femminile lieve come un respiro, lo riportava indietro nel tempo: “Alec, non voglio lasciarti…”L’entità paranormale aveva pronunciato il suo nome usando proprio le ultime parole di Giselle, l’unica donna che avesse mai fatto breccia nel cuore di pietra di una macchina da guerra come lui. Non poteva permettersi legami stabili Alec, non aveva famiglia e aveva tagliato fuori i vecchi amici, da subito. Malei era riuscita a farlo cedere. Strinse gli occhi massaggiandosi la base del naso con indice e pollice.“Ancora qui?” disse Josh, il suo collega, facendo capolino dalla porta.“Sì, ne ho ancora per un po’” rispose Alec indirizzando verso di lui gli occhi color ghiaccio. Josh lo conosceva abbastanza bene da sapere di non dover aggiungere altro, ma tutta quell’attrezzatura che il suo compagno aveva davanti gli suggeriva di insistere: “A quale indagine ti stai dedicando? Sono tutte archiviate e prima di lunedì non dobbiamo occuparci di nessun nuovo caso.”,“Sto sistemando la mia apparecchiatura, mamma.” Josh sorrise in punta di labbra e alzò un sopracciglio guardandolo dritto negli occhi: “Già,come se ce ne fosse bisogno. Non fare cavolate, figliolo”rispose con la medesima ironia.Dopo venti minuti Alec era in macchina con la strumentazione in ordine nelle sue valigette di metallo.Le due di notte, poco traffico in direzione di Augusta, capitale del Maine: si trovava lì il B&B dei Warren, definizione nuova per un’antica locanda, lì dal XIX secolo, a un passo dal fiume Kennebec.Dovunque arrivasse Reed ad attenderlo c’era il mistero e la locanda Warren non faceva eccezione: ospiti terrorizzati raccontavano di fenomeni paranormali e la polizia registrava inspiegabili omicidi. Una raccolta di inesplicabili cold cases che l’arresto di un presunto serial killer non aveva fermato.Le luci erano spente e non c’era un’anima nei dintorni. Silenzioso e deciso, Alec era entrato usando uno speciale passepartout e aveva sistemato i microfoni e la termocamera nella stanza dove aveva registrato quella voce dell’EVP, quella che lo ossessionava da settimane. Seduto sul divano di velluto verde davanti al camino aveva preso a conversare.“Salve, noi ci conosciamo, sono già stato qui” era il suo saluto convenzionale. Un richiamo seducente capace di far cadere il lieve muro di separazione tra lui e gli altri.Il suo tono era calmo, la voce bassa e chiara: “Non intendo infastidire nessuno anzi, sarei lieto di sapere se c’è qualcuno qui con me.”Alle sue parole seguì un silenzio mortale, solo qualche cigolio per via dei numerosi tarli che scavavano tunnel nelle assi di legno di pavimenti e pareti. Ritentò con lo stesso fare persuasivo a chiedere l’attenzione di una probabile entità che si potesse trovare fra quelle mura. Uno schiocco e un armeggiare metallico lo fece irrigidire. Prese respiri profondi per controllarsi e ritrovare la concentrazione. Non c’era niente da fare: per quanto intrepidi e addestrati, anche gli uomini del P.I.D. rimanevano raggelati in determinate situazioni, nonostante la maschera impassibile.Le ghiandole surrenali di Alec misero in circolo una bella quantità di adrenalina quando sentì con chiarezza qualcuno avvicinarsi a lui. E una presa forte su una spalla. L’istinto di girarsi per guardare chi fosse fu immediato, aveva gli occhi sbarrati e i peli ritti sulla nuca. “Che diavolo fai, Alec?”Era Josh. Alec imprecò duramente, sia per l’agitazione e lo sforzo di dominarsi che per quell’intrusione.Josh proseguì con i suoi rimproveri:“Si chiama effrazione questa, ne hai idea? Cosa stai cercando qui, questo caso è chiuso e la strumentazione che usi è del Governo.”“Vattene. Voglio restare solo a fare questa cosa.”“Escluso” rispose Josh al buio. Accese una torcia illuminando le varie parti del salotto per individuare la strumentazione. Non disse nulla.“Se non vuoi andartene resta seduto su quel divano e stattene zitto, ok?”Sempre senza parlare Josh illuminò il suo viso con la torcia in risposta, facendolo apparire spettrale e torvo. Erano amici, facevano lo stesso mestiere e quello era un lavoro che non si poteva fare da soli. In più Josh, alto e magro con i capelli corvini fino alle spalle e gli occhi scurissimi, era nella squadra per le sue doti di Medium. Come facevano spesso, spense la torcia girando la ghiera per allentare il contatto con la batteria. La posizionò sulla mensola del camino in pietra e prese posto sul divano. Alec ricominciò a sollecitare le possibili presenze chiedendo loro di rivelarsi muovendo oggetti o riaccendendo la torcia. I respiri dei due uomini erano i soli rumori intorno. Dal corridoio che portava alla cucina arrivò un suono ovattato. “Eri solo?” chiese Alec.“Certo. Aspetta. C’è qualcosa,più di una presenza,poli opposti” mormorò Josh. Con lui,Medium eccezionale,la strumentazione era quasi di contorno,anche se cercava di usare sempre gli apparecchi per non farsi trattare come un fenomeno da baraccone.All’improvviso Alec si sentì attraversare da qualcosa di gelido su un braccio ed emise un gemito quando qualcosa lo graffiò. Nel buio totale, Josh sbarrò gli occhi afferrandolo per la maglietta. “Stammi attaccato, questo non è uno spirito amichevole e ce l’ha a morte con te. Che diavolo cerchi Alec, dimmelo!” gridò schivando gli attacchi dell’entità ostile. Alec sudava freddo. Mentre quell’essere li sfiorava sentiva nella testa l’eco di una voce profonda e maligna che lo chiamava per nome e minacciava di strappargli l’anima, così aveva detto.“Lo hai sentito anche tu?”“Sì. Chi è?” chiese Josh. Senza rispondergli Alec riprese a parlare con il suo tono freddo e condiscendente: “Giselle? Sei qui? Per favore, ho sentito la tua voce e voglio sapere chi è che ci sta minacciando. Giselle, accendi la torcia per me.”La torcia si accese illuminando la fronte e i corti capelli scuri di Alec, se possibile ancor più ritti del solito.“C’è una presenza positiva, ti avevo detto che erano opposte. Sta cercando di difenderci,mi chiede…oddio mi chiede di farlo entrare in me per trattenerlo, vuole parlare con te. Chi è lei, Al?”Alec si voltò verso l’amico,faccia a faccia, guardandolo con gli occhi ormai abituati all’oscurità.“Lei era…io l’amavo”Seppure al buio, Josh era stato in grado di leggere nella voce e nell’espressione del compagno tutto il dolore e la nostalgia che stava provando. Decise alla svelta. Diede uno spintone ad Alec così forte da farlo cadere a terra, intercettò la presenza malefica e la provocò al punto da indurla ad attaccare. Corse verso la cella frigorifera della cucina. “Chiudimi dentro! Ora!” gridò ad Alec che si stava rialzando. Era sconcertato, Josh si sarebbe fatto possedere da quell’abominio, per lui.“Può riuscirci”, disse una voce nella sua testa.“Giselle?” Nessuna risposta. Alec stava impazzendo e il rimorso per il gesto del suo compagno lo stava divorando. Perse la sua freddezza e si immobilizzò al centro della stanza in un bagno di sudore: “Parlami! Giselle, parlami adesso” gridò.Sentì l’aria spostarsi attorno al suo viso e un profumo di fresie e lavanda, inconfondibile. Accanto alla finestra una sagoma traslucida si materializzò assumendo i contorni di una donna alta e sottile, con i capelli lunghi. Nella cella frigorifera si udivano tonfi e grida disumane, come se si stesse consumando un delitto tremendo. Alec aveva già fatto un passo verso la figurina eterea tanto familiare, ma si era dovuto fermare per quelle grida. Spostò il viso per chiamare Josh continuando a guardare la sagoma con la coda dell’occhio. Temeva di perderla.“Il tuo amico sa cosa fare, lo sta contenendo”disse il fantasma con la sua voce femminile, tenue come un respiro. Era più vicina. Alec sobbalzò facendo un passo indietro. Gli occhi azzurri di Giselle lo guardavano, i capelli biondi, scintillanti come fili d’oro, le accarezzavano le spalle, il petto, fino ai fianchi. Sembrava vestita di un’ombra azzurrina, ma i suoi contorni e lineamenti erano sempre più evidenti. Qualcosa di caldo scivolò sulle guance di Alec. Il ghiaccio degli occhi sembrava essersi sciolto nelle lacrime che gli rigavano il viso. La sua Giselle. Tutti i rimpianti, tutto l’odio che aveva provato verso se stesso per non essere riuscito a salvarla dal suo assassino, riaffiorarono nitidi. Avrebbe voluto togliersi la vita Alec, ma sopravviverle sarebbe stata la giusta punizione per non averle impedito di morire. Levò una mano per toccarle una guancia e ci passò attraverso, fendendo l’aria.Strinse gli occhi uccidendo un sorriso sul nascere. Qualcosa di freddo gli sfiorò la fronte aggrottata che si distese per la sorpresa.“Non è colpa tua.” Il respiro divenne voce vera e il tocco del fantasma di Giselle divenne palpabile fra le mani di Alec. “Come puoi dirlo… io dovevo difenderti con la mia vita, la mia!”disse con un tono che trasudava angoscia e rabbia. Giselle era stata rapita, lui doveva salvarla, ma il rapitore lo aveva ferito gravemente torturando e uccidendo la donna davanti ai suoi occhi. Lei gli accarezzò il viso.“Ti sento, riesco a sentire le tue mani” le disse piano,come se alzando la voce potesse svegliare il destino momentaneamente sopito che gliel’avrebbe portata via ancora. Giselle gli sorrise brillando di luce chiara, adamantina. “Sei così bella…”Le grida di Josh erano cessate e si udì un tonfo sordo.“Ti prego,aiutalo,chi è quello spirito? Cosa gli sta facendo?” la implorò.“E’ l’uomo che mi ha ucciso e che tu hai ammazzato. Voleva te, uccidere me faceva parte del suo piano.”“Può farti ancora del male?” chiese lui con fare protettivo. Come un tempo.“Non a me, né al tuo amico. Devi perdonare te stesso e lasciarmi andare. Se io troverò la strada, lui troverà la sua e tu sarai al sicuro vivendo la tua vita. Ti avevo detto che non volevo lasciarti e non l’ho fatto, ero sempre con te. Ora però devo andare, per salvarti.”Alec crollò sulle ginocchia. Lei gli prese la testa fra le mani, poi si abbassò per guardarlo in viso. Gli occhi di lui erano chiusi. Due labbra morbide si posarono su quelle di Alec. Profumi, sensazioni del passato lo percorsero su tutto il corpo come un brivido. Era un addio, il saluto che non aveva mai dato a Giselle, il bacio che aveva sognato ogni notte. Intenso. L’ultimo.Nella sua mente, apparvero i fotogrammi dei momenti trascorsi con lei e vide chiaramente le volte in cui la sua figura gli era stata accanto per difenderlo da quello spirito ostile che voleva torturarlo. Un senso di pace caldo come il riverbero di un fuoco lo riempì dal centro del corpo. Era pronto a lasciarla andare a dispetto di quanto atroce suonasse quel rinnovato distacco, era pronto per quell’ultimo atto d’amore. Giselle gli sorrise e asciugò le sue lacrime mentre Josh usciva illeso dal suo nascondiglio.L’anima nera lo seguì incombendo su di loro, trasparente, rarefatta. Quando vide l’espressione serena di Alec, con un ringhio si dissolse nell’ombra.“Ora posso lasciarti”disse la voce di Giselle, di nuovo tiepida come un respiro. Il chiarore della sua figura illuminò la stanza mentre baciava ancora, teneramente, il suo Alec.