7MML coinvolge professionisti dell’immagine e della comunicazione in un viaggio ispirato dal cuore e guidato dal desiderio di conoscere altre realtà, finalizzato all’aiuto umanitario, alla valorizzazione etica ed estetica del viaggiare consapevole, alla sensibilizzazione ecologica nei confronti dell’ambiente.
La prima fase del viaggio ha visto i partecipanti arrivare dall’Italia al Kazakistan. Il 15 luglio inizierà il percorso che li porterà fino in Cina, e poi ci saranno le tratte Canada-Panama, Colombia-Bolivia, Bolivia-Argentina, Sudafrica-Etiopia, Etiopia-Italia, per giungere finalmente a Milano il Primo Maggio 2015 in concomitanza con l’apertura dell’EXPO 2015.
Dal diario di Eleonora Miserendino
21 giugno
Partiamo da Nemrut, verso nord, per cominciare ad avvicinarci al confine con l’Iran e decidiamo di fermarci a Bingol, piccola cittadina dall’aspetto allegro e dalle insegne colorate di rosso. Ci accorgiamo presto di non essere in una città turistica: il nostro arrivo desta molta curiosità , le persone si avvicinano alle auto per parlare, per chiedere chi siamo e da dove veniamo sfoderando qualsiasi tipo di aneddoto che possa in qualche modo collegarli a noi. Troviamo un piccolo hotel e, dopo esserci sistemanti velocemente, alcuni di noi escono in missione: dopo dieci giorni di austerità vogliamo una birra!! Ci dirigiamo ingenuamente dentro a un supermercato. Il reparto bibite è fornitissimo: succhi di frutta, bevande di ogni colore e sapore, dalla banana all’ananas, dal lampone alla ciliegia, ma tutto rigorosamente alcol free! Ci rivolgiamo al personale per chiedere della birra supponendo che, come per esempio succede in Marocco, potesse esserci una parte riservata e più appartata dedicata alla vendita delle bevande “proibite”, ma suscitiamo solo borbottii e sguardi di disapprovazione. Decidiamo, quindi, di allontanarci velocemente dal supermercato.
Ci aggiriamo per una mezz’ora nelle via della città tentando la sorte ma sembra che a Bingol sia molto più facile trovare un telefono o una scheda telefonica della Turk Cell che trovare una birra. Dopo svariati tentativi, scegliendo di avvicinare persone e luoghi che dall’aspetto potessero sembrare i più sovversivi, ricordiamo un consiglio della nostra agente di viaggio Deborah: “niente alcol se non in hotel!” L’hotel! Come poteva non esserci venuto in mente prima? Torniamo al punto di partenza e Luca mostra all’albergatore la foto di una birra. A questo punto sarebbe stato impossibile far finta di non capire come era successo fino a quel momento. Il proprietario dell’ hotel, che assomigliava terribilmente ad Emilio Fede, accenna un sorriso e fa cenno a noi donne (Sara ed Eleonora) di aspettare. Luca si allontana con Emilio e ricompare dopo una ventina di minuti con un sacco nero in mano e il sorriso sulle labbra. Missione compiuta. Il negozio delle bevande “proibite” era nascosto in una viuzza che dall’esterno mostrava solo una piccolissima insegna recante il nome di una famosa birra. Ci spostiamo in camera per il nostro primo brindisi, che fatica! Cheers a tutti!
Giorno 22
Partiamo da Bingol verso Dogubayazit percorrendo 470 chilometri verso la frontiera iraniana. Il paesaggio è sempre più scarno e arido fino all’arrivo nella periferia della città. L’atmosfera è angosciante e polverosa: automobili bruciate, case semi distrutte, bambini delle popolazioni nomadi del Kurdistan in mezzo alla strada. Solo la via principale è asfaltata. Ci fermiamo in un hotel trovato su un noto sito di prenotazioni alberghiere faticando ad allontanarci dalle auto lasciate sulla strada per mancanza di un rifugio più sicuro. La desolazione di queste terra sembra portare con sé il senso di non appartenenza della gente che lo abita. Terra di mezzo alla mercè di chi, trovandosi da un lato o dall’altro, la sfrutta per soddisfare un’esigenza momentanea. I volti, i suoni, il movimento della città trasmettono una cupa inquietudine. Domani si parte per l’Iran!
Giorno 23
Oggi passeremo il confine con l’Iran. Ci svegliamo presto per sistemare alcune questioni pratiche come prelevare in banca (In Iran esiste una rete bancaria che può essere utilizzata solo dagli iraniani, inoltre dopo l’embargo imposto dagli Stati Uniti non è possibile utilizzare le carte di credito). A una quindicina di chilometri dalla frontiera ci fermiamo in un area di servizio per indossare l’hejab. In Iran l’Islam, religione di stato, prevede che le donne, dall’età di nove anni, coprano il capo, le braccia e le gambe dissimulando le forme del corpo. La trasgressione alla regola è punita con l’arresto. Anche gli uomini sono tenuti a coprire il loro corpo con pantaloni e camicie che nascondano gambe e braccia. Indossiamo i foulard colorati comprati a Dogubayazit come se ci stessimo preparando per una festa tra ironia e risate. Sappiamo che il rispetto è il primo passo per comprendere ed essere compresi. Il piacere di conoscere senza giudicare è l’essenza del nostro viaggio.
Arrivati in dogana davanti a noi a destra si apre una fila interminabile di camion, sulla sinistra la via delle auto è molto più agile e snella. Arriviamo al primo blocco dopo pochi minuti. Noi passeggere scendiamo per passare la frontiera dalla via pedonale sulla sinistra. Passiamo il controllo dei passaporti senza alcuna difficoltà, i militari, incuriositi e gentili, ci fissano le caviglie.
Finalmente ci fanno raggiungere gli altri. Stanno cercando di inventarsi qualche problema per non farci passare. Le strategie sono varie. Inizialmente ci dicono che in Iran non è possibile guidare un’ automobile di cui non sei proprietario. Mostriamo e spieghiamo l’autorizzazione alla guida, sono in difficoltà, cosa dire adesso? La prendono, la portano in ufficio e dopo essersi consultati decidono che per loro quella è comunque carta straccia. Ma niente paura, c’ è un uomo che ci aiuterà. Eh sì, ci dicono che c’è uno di loro che di lavoro “aiuta” i viaggiatori a passare la frontiera senza problemi presunti, supposti o del tutto creati dall’immaginazione, un lavoratore instancabile insomma!
Così cominciano a portare alcuni di noi in una stanza al piano di sopra. Inizialmente non ci rendiamo conto di cosa questo volesse significare poi capiamo che probabilmente volessero controllare lo scambio di denaro tra noi dalla telecamera, secondo tentativo di capire quanti soldi abbiamo addosso. Noi aspettiamo. Avevamo già separato i soldi che avevamo deciso di pagare. Dopo una mezz’oretta ci vengono a chiamare. Ciò che avevamo separato non era abbastanza, ce la caviamo comunque con venti euro per auto.
Appena attraversiamo il confine ci fermiamo per orientarci e per cambiare la valuta. Un euro vale 34.000 lire iraniane, cambiando poche centinaia di euro ci riempiono di banconote enormi che non entrano nei portafogli. Siamo milionari nel 1393 (in Iran si utilizza il calendario persiano calcolato dal primo giorno di primavera dell’anno dell’Egira)!
Parttiamo in direzione Tabriz. Ci accorgiamo subito che ciò di cui eravamo stati avvisati rispecchiava esattamente la realtà, gli automobilisti sono spericolati, guidano a fari spenti ed effettuano manovre improbabili. Decidiamo quindi di non proseguire il viaggio al buio e sostiamo in un parcheggio cancellato di un’area di servizio dove siamo accolti con molto entusiasmo da un uomo anziano che ci offre dei dolci fosforescenti dal sapore chimico che dopo ore di digiuno ci appaiono deliziosi.
26 giugno
Percorriamo 170 chilometri e arriviamo a Teheran. Il traffico anche solo in entrata è intenso. Ci mancano le mappe del gps e, a parte qualche cartina del centro, ci muoviamo con difficoltà. La notte a Teheran è prenotata, a causa dei visti, in un hotel molto noto e riconosciuto dalle ambasciate, quindi ci è facile chiedere indicazioni. Un uomo si offre di accompagnarci fino all’hotel scortandoci con la sua motocicletta dove ci fanno parcheggiare in un cortile pieno di auto incastrate a tetris.
La sera incontriamo gli amici iraniani di Resul, la nostra preziosa guida ad Istanbul, già contattati in precedenza. Morad e Alì ci portano a cena in un ristorante tradizionale dove mangiamo nuovamente del Dizi, bevendo ayran, accompagnato da squisite olive in pasta di noccioline, melograno e menta. Un anziano personaggio da carte dei tarocchi ci serve il cay con maestria circense, sorreggendo in una sola mano dieci bicchierini e utilizzando gli stessi piattini incastrati a fiore, come vassoio.
Dopo essere stati lasciati in hotel per andare a dormire, diamo sfogo alla curiosità di scoprire la leggendaria seconda faccia di Teheran. Nella città dove tutto è proibito, esiste una vita underground, tanto da essere rinomata come capitale gay. Purtroppo la curiosità verrà frustrata da un semplice tour in taxi, senza sosta nella città deserta.
28 giugno
Ci svegliamo all’alba e percorriamo, senza sosta, 980 chilometri nel deserto per raggiungere Mashhad, la città più sacra dell’Iran. La sera crolliamo nei nostri letti senza pranzo e senza cena.
29 giugno
Ci prendiamo tutta la giornata per visitare Mashhad, è il primo giorno di Ramadan. Il punto di riferimento della città, nonché nota meta di pellegrinaggio per tutti i musulmani, è il santuario all’Imam Reza che visitiamo durante la caldissima mattinata. Arrivati all’ingresso siamo fermati dalla polizia e dalle guardie del santuario in chador nero. Non possiamo entrare con gli zaini né con le macchine fotografiche. Dividono uomini e donne, che entrano da ingressi separati, e fanno cenno a noi ragazze di aspettare in un angolo. Dopo circa una mezz’ora di attesa, una delle guardie in chador arriva sorridendo con due sacchettini di plastica e ci serve la tortura con eleganza e cortesia. È un chador. Nel luogo sacro non possiamo entrare con il solo hejab, ma dobbiamo coprirci completamente. La guardia ci veste con i terribili lenzuoli a fiorellino e il caldo lì dentro diventa ancora più insopportabile. Il travestimento odioso, gli zaini, l’attesa della guida turistica e la comprensione in sé della situazione, per quanto questo possa essere possibile, ci costa più di un ora sotto il sole cocente (45 gradi).
La sera, al calar del sole, nella strada si riversano fiumi di persone che finalmente possono bere e mangiare. Osserviamo la sfilata di uscita dei fedeli dal santuario da una terrazza in cima a un hotel dove ci era stato possibile trovare del cibo (tutti i ristoranti fuorché quelli degli hotel erano chiusi per osservanza alla “festività” religiosa). Dopo una breve passeggiata nei pressi del santuario, vero e proprio fulcro della vita cittadina, torniamo all’hotel stanchi, domani ci aspetta la frontiera turkmena.
Leggi la puntata precedente: in viaggio intorno al mondo per beneficenza.