Ho due, doverose premesse da inserire in cima alla mia lista di ragioni per andare al cinema a vedere The Hateful Eight.
La prima è che non sono un esperto di 70mm o di pregi della pellicola rispetto alla registrazione in digitale.
É difficile non inserire la tematica all’interno di una riflessione sull’ultimo film di Tarantino, che dal punto di vista del suo autore è quasi un inno al valore e all’importanza cruciale della pellicola per il cinema.
Da parte mia, appartengo ormai ad un target di pubblico che ha visto la maggior parte dei film della sua vita sul monitor di un computer. Come pseudo-addetto ai lavori, pensare di utilizzare la pellicola nel settore audiovisivo nel 2016 è assolutamente ridicolo: è considerato un lusso e un vezzo da autore, e si tratta di uno strumento assolutamente fuori tempo.
La seconda premessa è che, per una volta, mi sarebbe potuta andare a genio una traduzione in italiano del titolo originale: “Gli Odiosi Otto” ha il sapore di un film così smaccatamente Spaghetti Western che lo stesso Quentin ne sarebbe andato fiero.
Peccato; magari un giorno un erede di Leone o Corbucci butterà fuori un nostalgico “I Notevoli Nove” e la poetica degli omaggi tarantiniani al western italiano avrà compiuto il suo giro.
Detto ciò, questi sono gli Otto motivi per cui vale la pena andare a vedere Gli Odiosi Otto.
1. É il miglior film di Tarantino degli anni 2000
La filmografia di Quentin Tarantino è tanto conosciuta quanto stra-catalogata: i miei preferiti sono (come per molti critici) Pulp Fiction e Jackie Brown, ma amo molto anche Le Iene e ho un debole per quell’imperfetto, meraviglioso pasticcio che è Bastardi Senza Gloria.
Kill Bill sta un po’ a metà, mentre posiziono tra i meno riusciti il comunque godibile Death Proof e il mediocre Django Unchained.
Forse Hateful Eight è più lezioso ed autocompiaciuto, ma è anche divertente, teatrale e non si vergogna di fare puro intrattenimento: è un film solido come una roccia e azzecca praticamente tutto, cosa che non si può dire dei suoi compagni post-ventesimo secolo.
2. Non si avverte mai e poi mai il peso della durata
The Hateful Eight è lungo quasi 3 ore, ma sono le 3 ore meno invadenti e più divertenti che abbia passato davanti a un film da parecchio tempo a questa parte: la storia scorre liscia e ti sorprendi a non avere sentito il peso del minutaggio, pensando anzi che avrebbe potuto esserci anche di più.
La capacità di imbottigliare una storia semplice in 3 ore di perfetta esecuzione è magistrale, e il film mantiene salda una tensione di fondo degna del miglior giallo; c’è un delitto, dei sospetti, un’indagine e degli uomini che si trovano nel posto sbagliato al momento sbagliato.
Molti hanno parlato di atmosfere alla “Dieci piccoli indiani”, ed è verissimo: The Hateful Eight è la consapevole sfida di uno scrittore che ricama da un tessuto classico e presenta situazioni e personaggi con i quali è perfettamente a suo agio, prendendosi tutto il tempo che vuole per raccontarli e farli interagire.
3. I dialoghi non sono ricchi e brillanti come in passato
Esatto, il punto n.3 non è esattamente lusinghiero nei confronti del film.
A mio modo di vedere, The Hateful Eight è peggiore dei suoi predecessori sul piano della pura scrittura dei dialoghi: non mi ricordo scambi o monologhi particolarmente memorabili, alla Di Caprio con il teschio o alla David Corradine con Superman.
Ricordo però dialoghi tesi e serrati che evocano un senso di tensione e urgenza costante: qualcosa di più vicino alle due “scene-madri” di Bastardi Senza Gloria: il primo capitolo, con Landa nella fattoria, e quello ambientato nell’osteria con i bastardi travestiti da nazisti.
É ormai il terzo film di fila che Tarantino propone questo giochino di lenta, inesorabile attesa “verbale” di uno stand-off la cui risoluzione sarà inevitabilmente violenta. È indubbiamente un giochino che gli riesce alla grande, ma rischia di diventare ripetitivo.
4. Daisy Domergue
Il personaggio interpretato da Jennifer Jason Leigh è pura malvagità, forse la più odiosa degli otto e sicuramente quella che non ha bisogno di giustificare la violenza che perpetra con pretese di legalità o morale. Se altri personaggi travestono il loro razzismo o la loro sete di vendetta coprendosi dietro la scusa della giustizia, Daisy Domergue uccide per piacere: in questo, è la rivendicazione femminile di una tipologia di personaggio che, fin dai tempi di Sergio Leone, è puramente maschile.
Questo tipo di approccio al ruolo (non è scritto per essere interpretato da un uomo o da una donna, ma da una persona) è particolarmente raro nel cinema moderno.
5. Ci sono Kurt Russell e Channing Tatum. Insieme. Nello stesso film
Che ve lo dico a fare. Devo davvero commentare? Il Jack Burton del passato, e quello del futuro. Due attori che per il sottoscritto vogliono dire “cinema” più di tutti gli altri otto odiosi messi insieme.
Channing Tatum, direte voi? Sì, Channing Tatum. Tenetevi i vostri Johnny Depp e Eddie Redmayne, io voto tutta la vita Channing Tatum.
Hanno scene insieme? Non ve lo dico.
I baffi di Kurt Russell sono tanto gloriosi come appaiono nei trailer? Sì.
Il mio amore per Channing Tatum è sospetto e la mia ragazza dovrebbe farsi delle domande? Forse.
6. Il film è ambientato quasi interamente in un solo ambiente. Ma lo spazio appare vissuto, ben raccontato e “informa” lo spettatore
L’elemento davvero brillante, nella modalità di raccontare la storia di The Hateful Eight, è che ogni gesto di un personaggio ha ricadute quasi immediate sugli altri per il fatto stesso che 8 persone condividono loro malgrado uno spazio comune.
L’espediente non è gratuito e fine a sé stesso, ma serve davvero alla storia e allo spettatore. Sicuramente c’è un mistero da risolvere e un luogo che nessuno dei personaggi coinvolti può abbandonare, ma non si tratta solo di questo.
La locanda di Minnie costringe al confronto, limita ed espande allo stesso tempo il focus su un personaggio.
7. Walton Goggins è nato per fare film come questo
Walton Goggins è un caratterista noto in particolare per ruoli televisivi in The Wire e Justified. È anche un attore meraviglioso e la combinazione di genere western e materiale messogli a disposizione da Tarantino è una delle cose più interessanti che abbia visto da parecchio tempo.
Il suo personaggio, per quanto mi riguarda, ruba la scena a praticamente chiunque e si appropria del film in modo assolutamente inaspettato.
8. La tematica razziale è affrontata decisamente meglio che in Django
Django Unchained è un film profondamente schizofrenico e incerto sul suo destino: a tratti chiaramente sopra le righe e favolistico (c’è il classico drago da uccidere e una principessa da salvare), aveva l’ambizione di parlare di roba impegnativa come schiavitù, razzismo e memoria storica senza mai dare l’idea di immergersi del tutto nelle questioni che desiderava affrontare.
The Hateful Eight parla apparentemente di tutt’altro, ma di fatto il razzismo emerge in modo coerente e naturale dallo spirito e dalle parole dei suoi personaggi, che “abitano” l’argomento in maniera realistica rispetto al periodo storico e alla situazione nella quale sono calati.
Forse l’elemento della lettera che il personaggio di Samuel Jackson porta con sé poteva avere un ruolo maggiore e più significativo nell’economia finale della storia, ma il commento svolto da Tarantino stavolta è estremamente più interessante e sottile.
Davide Mela
Segui Tagli su Facebook e Twitter