Creato il 11 febbraio 2014 da Jeanjacques

Credo che questa, insieme a 2001 - odissea nello spazio, sia la recensione più difficile che mi sia mai capitato di fare. Ma si tratta di una recensione necessaria, perché nessuno che si definisce appassionato di cinema può non parlare di questo capolavoro nostrano, così come io devo per forza fare questa dannata recensione per completare l'articoletto circa i dieci film della mia vita. E comunque, dopo molti titoli recenti e recentissimi, un po' di sano 'cinema vecchio' non fa mai male, specie per alimentare le etichette coi nomi dei directors qui in basso, che deficitano ancora dei nomi più altisonanti e classici. E Federico Fellini proprio non può mancare, specie perché insieme a Kubrick è stato lui il regista che più mi ha cambiato la vita, è seguendo il suo nome che ho scoperto le pellicole più strane e oniriche che mi sia mai capitato dio vedere, così come è vedendo le sue opere che mi torna ancora un poco di speranza per la nostra cara e sofferente Italia. E' stato però anche il nome legato al mio radicalchicchismo giovanile, ma quelli sono brutti ricordi che è meglio mettere da parte prima che il loro buio ci invada. Anche perché è di ricordi che questo film parla...
Guido Anselmi è un regista quarantatreenne molto tormentato. Sta passando un periodo di riposo in una stazione termale insieme alle maestranze con le quali solitamente lavora, e intanto si sta concentrando su quella che sarà la sua prossima fatica. Ma l'ispirazione tarda a venire, anche perché a una vita giò confusa e scombussolata di suo, si uniscono i ricordi...La prima volta che vidi questo film avevo quindici anni. Forse un po' troppo pochi per iniziare la visione del più personale fra i capolavori del geniaccio italico, fin po' troppo pochi e confusionari per entrare in un mondo dal titolo 'corto' e dalla fattura confusionaria. Che poi alla fine confusionaria non lo è di certo, perché a fine visione ogni stranezza ha una sua logica, ogni passaggio anomalo ha una sua perfetta spiegazione. Così come perfetta è la spiegazione che generò la genesi di questo capolavoro. Fellini si trovava proprio nel boom della sua carriera, e stava pensando al nuovo film da realizzare. Il problema però è che il film... non c'era. La sceneggiatura non procedeva e persino ideare un titolo idoneo sembrava parecchio difficile. Poi accadde il miracolo, mentre la trouope stava sistemando i set per un film che non esisteva, Fellini fu invitato alla festa di compleanno di uno dei macchinisti. Lì, in mezzo ai giubili e alle risate, Fellini fu folgorato da un'idea: il film avrebbe parlato di quello, di un film che non esisteva. Il film di Guido Anselmi. Perché  non è altro che un'immensa, gigantesca e surreale autobiografia, a cominciare dal titolo. A quei tempi Fellini aveva diretto sei film più altri tre mezzi, ovvero co-diretti con altri registi o facenti parti di un'opera a episodi (ovvero Le luci del varietà, diretto con Alberto Lattuada, L'amore in città e Boccaccio '70), che sommati davano il titolo di questo film. Otto opere e mezzo, otto conferme e mezzo di uno stile unico e che aveva recentemente visto il suo confermarsi in totale con il capolavoro La dolce vita, vero fenomeno globale che lo aveva reso famoso in tutto il mondo [oltre che ad aver contribuito al formarsi della parola 'paparazzo'] e che qui invece vede completamente reinventarsi per raccontare qualcosa che non avrebbe sicuramente giovato di una narrazione lineare e classica, che aveva bisogno di osare per sondare l'insondabile, creando una grammatica sua e ancora più personale. Pure il buon Guido richiama i numerosi tic del regista, a cominciare dal numero incalcolabile di amanti (Sandra Milo era stata una storica amante di Fellini anche nella realtà, nonostante ciò che avesse da dire la Masina) fino alla mania di far vedere fino allo sfinimento i provini delle attrici ai produttori anche se aveva già le idee ben chiare in testa. Si parla quindi autobiografia, dei tormenti di un regista geniale che forse sapeva proprio di esserlo e che desiderava condividerli col mondo. E lo fa iniziando con una delle sequenze oniriche più bella della storia, facendo poi un continuo andirivieni fra realtà e immaginario, spesso fondendoli proprio con le idee visive tipiche della mente di un regista (menzione speciale per la scena delle 'frustate' fino al finto suicidio finale). Quello che se ne ricava è uno speciale e magnifico inno alla vita, una canzone bellissima verso quelle che sono le emozioni dell'esistenza in tutte le sue sfaccettature. Guido dovrà rinunciare a un film che non esiste per poter comprendere quella che è l'unica e sola verità: alla fine a farci diventare come siamo, a contribuire alla nostra stupidità o al nostro genio (anche se le due cose spesso si fondono), sono tutte le persone che abbiamo incontrato. Da soli non siamo nulla, anche perché, specie nell'arte del narrare, tutte le cose devono avere una loro speciale genesi che va a riscontrarsi direttamente con la realtà.Un capolavoro del quale andare fieri. Peccato però che non ce lo siamo tenuti stretto e gli americani ne hanno fatto un aberrante remake in salsa musical, il Nine di Rob Marshall.Voto: 

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