Magazine Ecologia e Ambiente

“E’ colpa nostra”

Creato il 26 settembre 2011 da Stukhtra

Poche storie: la causa del global warming siamo noi

di Marco Cagnotti

Un’intervista a Luca Mercalli è disponibile
anche nel podcast di Quarantadue

“Signora mia, non ci sono più le mezze stagioni”: lo dicono le nostre nonne e probabilmente lo dicevano anche le loro nonne. Da sempre la saggezza popolare ha rivolto la propria attenzione verso il cielo e i suoi fenomeni. Ovvio: la civiltà contadina non poteva prescinderne. Sicché cercava regolarità e anomalie. Qualche volta azzeccandoci, qualche altra no. Poi è arrivata la scienza, 400 anni fa, con il rigore delle misure quantitative. E nell’ultimo secolo e mezzo ha dimostrato che il clima sta mutando in direzione di un riscaldamento globale. Non solo: ha individuato un responsabile. E tenta pure qualche proiezione verso il futuro.

Conferenza

Venerdì 30 settembre alle 20 e 30, presso l’Istituto Cantonale di Economia e Commercio (ICEC) di Bellinzona, Luca Mercalli terrà una conferenza dal titolo

“Prepariamoci”,

organizzata dalla rivista “Confronti” e dal Partito Socialista del Canton Ticino.

“E’ colpa nostra”Volto noto della televisione per la sua presenza regolare alla trasmissione di Fabio Fazio, Luca Mercalli è un uomo pacato. Non te l’immagini lasciarsi andare a una sfuriata violenta. Eppure nella sua voce si percepisce, contenuta ma inconfondibile, l’indignazione. La stessa che emerge dai suoi libri, il più recente dei quali, Prepariamoci, è appena stato pubblicato da Chiarelettere. Indignazione per la resistenza altrui, in buona o in cattiva fede, nell’accettare un fatto palese: il riscaldamento climatico e le sue cause umane. Indignazione per l’incapacità di trarne le dovute conseguenze e per la pigrizia nell’opporsi cambiando i propri stili di vita. Ma chi è davvero Luca Mercalli? Uno che ha capito tutto sul clima oppure una Cassandra catastrofista?

“E’ colpa nostra”

Luca Mercalli. (Cortesia: Società Meteorologica Italiana)

Professor Mercalli, lei è un autorevole climatologo che si esprime a favore della teoria del riscaldamento globale e…

Calma: la fermo subito. Io mi occupo solo di una piccola parte della climatologia: lo studio del clima e dei ghiacciai nell’arco alpino. Poi, siccome m’interesso pure di comunicazione della scienza, mi faccio anche portavoce di una comunità scientifica molto vasta. In quest’ambito, il mio ruolo non consiste nel concordare con una tesi o con un’altra, ma nel portare al grande pubblico la conoscenza del paradigma dominante.

Paradigma secondo il quale il clima sta cambiando e la temperatura media sta aumentando.

Sì, il clima sta cambiando.

Ne siamo sicuri?

Il riscaldamento climatico non è messo in discussione da nessuno scienziato serio. Non solo abbiamo le osservazioni raccolte da quando le temperature vengono misurate rigorosamente, ma anche i dati della paleoclimatologia. Sono molte le metodologie raffinate che ci permettono di ricostruire la storia climatica: dai pollini fossili ai sedimenti oceanici e lacustri, fino all’estensione dei ghiacciai, che chiunque può vedere con i propri occhi. Botanici, paleontologi e chimici collaborano con i climatologi per disegnare il quadro complessivo. Dal quale si conclude, per esempio, che rispetto a un secolo e mezzo fa la temperatura media è più alta di circa 1 grado.

“E’ colpa nostra”

Il piccolo ghiacciaio della Porta (Gran Paradiso) nel 1897 (a sinistra) e nel 2005 (a destra). (Cortesia: Società Meteorologica Italiana)

“E’ colpa nostra”

Il Ghiacciaio di Pré-de-Bar (Monte Bianco) nel 1897 (a sinistra) e nel 2005 (a destra). (Cortesia: Società Meteorologica Italiana)

D’altronde nei miliardi di anni di storia del pianeta il clima è già cambiato molto e spesso. Perché preoccuparsi, allora?

Anzitutto perché stavolta l’umanità ci ha messo lo zampino: lo ha fatto in passato e lo farà ancora nei prossimi decenni. La nostra specie è un prodotto recente dell’evoluzione: i primi ominidi risalgono a 6 milioni di anni fa e Homo sapiens ha circa 200 mila anni. E l’invenzione dell’agricoltura risale a 8.000 anni fa. Però solo negli ultimi due secoli, a partire dalla Rivoluzione Industriale, abbiamo agito forzando il sistema climatico verso condizioni che non si erano mai viste prima negli ultimi 3,5 milioni di anni: 394 parti per milione di anidride carbonica nell’atmosfera.

Però la stessa umanità si è trovata a dover fronteggiare situazioni climatiche molto differenti, nel proprio passato.

Sì, ma questo non significa che possa farlo sempre e in tutte le condizioni. Supponiamo per un momento che la tendenza sia invertita, cioè che ci stiamo avviando verso un raffreddamento globale. Dovremmo forse pensare di poterlo affrontare a cuor leggero solo perché 20 mila anni fa i nostri antenati hanno già vissuto nell’Era Glaciale? A quell’epoca c’erano 5 milioni di esseri umani nomadi e cacciatori. Oggi ci sono 7 miliardi di persone, praticamente tutte sedentarie. Lei se lo immagina un Nordamerica ricoperto da una coltre di ghiaccio?

D’accordo. Ma noi che c’entriamo? Insomma, come si può essere sicuri che la responsabilità del global warming sia umana?

Abbiamo 100 anni di ricerche scientifiche che ci consentono di comprendere come funziona il sistema climatico e quali interruttori agiscono sul bilancio energetico. Uno di questi interruttori è proprio l’anidride carbonica, la cui concentrazione ci è nota dai carotaggi nei ghiacci polari. Quando sviluppiamo i modelli climatici, possiamo modificare la quantità di questo gas serra nelle simulazioni numeriche. E, quando la aumentiamo virtualmente nella ricostruzione del clima del passato, scopriamo che anche la temperatura aumenta. La probabilità che l’anidride carbonica di origine fossile sia la causa dell’attuale e futuro aumento termico è elevatissima.

La probabilità, non la certezza. Già in passato i paradigmi dominanti si sono rivelati scorretti e sono stati sostituiti da altri. E se vi sbagliaste?

Non ho parlato di “probabilità” a caso. La certezza assoluta non esiste. Spesso mi sento obiettare che la climatologia non è una scienza esatta. Ma quale scienza è esatta? Forse che la medicina è una scienza esatta? Non per questo rinunciamo a curare le malattie. E che dire perfino della banale tecnologia quotidiana? Lei ha forse la certezza che la sua automobile partirà, la prossima volta in cui cercherà di accenderla? Certo che no. Si può solo dire quante vetture si rompono ogni 100 mila, non quando e come si romperà quella precisa automobile. E comunque lei domani proverà ad avviare la sua auto.

“E’ colpa nostra”

E adesso? (Cortesia: J.M. Will)

Sicché i modelli climatici attuali sono quanto di meglio la scienza è stata capace di fare finora, fino a prova contraria vanno presi sul serio e gli scienziati sono concordi nel concludere che il riscaldamento globale è un fatto e che la responsabilità è del genere umano. Eppure molti non sono d’accordo e…

Non è vero.

Lo so: non è vero nella comunità scientifica, che a grande maggioranza aderisce al paradigma. Tuttavia, anche fra i climatologi, qualche voce discorde c’è. Richard Lindzen, per esempio…

Richard Lindzen è riconosciuto come uno dei pochi fisici dell’atmosfera critici e con le giuste competenze nel settore. D’altronde le sue tesi sono variate con il tempo. All’inizio negava addirittura il riscaldamento globale, poi ha cambiato opinione focalizzandosi su altri dettagli. In sostanza, le sue obiezioni si riducono a un piccolo ambito del problema. D’altronde Lindzen è piuttosto isolato e parla solo per se stesso.

Si potrebbe dire lo stesso anche di Luca Mercalli.

Ma infatti, come ho detto all’inizio, io mi guardo bene dal dire che Luca Mercalli ha capito tutto del cambiamento climatico. Io sono solo uno specialista di un piccolo settore della climatologia alpina, nel quale faccio ricerca attiva, e inoltre mi presento come portavoce di una grande comunità scientifica, che conosco molto bene perché frequento i congressi, parlo con i miei colleghi e leggo la letteratura scientifica anche di fuori del mio ristretto ambito di competenza. Ma in generale sospetto molto di un quadro nel quale la scienza viene presentata con un uomo solo al comando, con il professor Tal dei Tali che ha capito tutto e dimostra che gli altri sono tutti scemi. Poteva andar bene nell’Ottocento, ma non va più bene oggi, perché la ricerca di punta è un lavoro di cesello svolto da équipe di decine o centinaia di scienziati.

Tuttavia, al di fuori della comunità dei climatologi, la questione del riscaldamento globale e della responsabilità umana viene presentata come se fosse controversa. Come se i fatti non fossero ancora accertati. Così almeno descrivono il problema i mezzi d’informazione.

Se lei fa un esame del modo in cui i media descrivono i grandi temi oggetto di dibattito, dalla fecondazione assistita agli OGM, dall’eutanasia all’energia nucleare, si accorgerà che le controversie sono ovunque e che c’è una grande superficialità, che deriva dalla semplificazione. Ma semplificare non è possibile. Consideri solo quante parole sto spendendo io con lei, in quest’intervista, e soltanto per grattare la superficie del problema. Invece la stampa e la televisione vogliono sempre semplificare. Prenda il caso, per esempio, del presunto optimum termico medievale…

Già, il Medioevo: è stato un’epoca dal clima molto mite, vero? Lo si legge dappertutto. E di sicuro non era colpa dell’inquinamento. Quindi perché preoccuparsi se anche adesso la temperatura si alza un po’?

L’optimum climatico medievale è uno dei grandi luoghi comuni sul clima. Si è diffuso all’inizio del Novecento, basandosi sui dati alpini, quando si diceva che una volta erano facilitati i transiti attraverso i colli alpini. Ma le teorie più recenti ci dicono che in realtà l’optimum climatico medievale non c’è mai stato, almeno non così come si crede. E questo è proprio un argomento sul quale io stesso faccio ricerca. Di fatto, il Medioevo è stato un periodo leggermente più mite di quello che l’ha preceduto e di quello che l’ha seguito, la cosiddetta Piccola Era Glaciale, ma è stata solo una fluttuazione momentanea e circoscritta all’Europa. Se noi consideriamo la temperatura media del Medioevo, ci accorgiamo che oggi l’abbiamo già superata. Però il Medioevo caldo è uno di quegli argomenti sui quali ci si accontenta di quattro battute nei discorsi da bar. Come quando si sostiene che l’aumento dei furti è colpa degli immigrati. Ma la climatologia è proprio una disciplina nella quale non ci si può permettere di semplificare. E ci vogliono professionalità, dati, misure.

Professionalità che nei mezzi di comunicazione manca. Così tutti danno credito a tutti e…

Guardi, un fatto definitivo, che va al di là dell’opinione di Luca Mercalli o di Richard Lindzen, è la posizione sui cambiamenti climatici dell’Intergovernmental Panel on Climate Change: una struttura di elevatissimo livello creata apposta per dirimere la questione con equità e per arrivare a una mediazione scientifica rigorosa su tutta la conoscenza sul clima. Una struttura che però, forse anche per difficoltà sue nella comunicazione, qualcuno ha cercato di screditare. Dobbiamo però ricordare che l’IPCC è un’emanazione diretta delle Nazioni Unite. Questo significa che i 193 Stati rappresentati nell’ONU ne sottoscrivono le conclusioni. Significa che i 193 governi dichiarano che il mutamento climatico c’è ed è grave. Poi Richard Lindzen e Luca Mercalli possono esporre la propria opinione, ma nei fatti il dibattito è chiuso: non c’è più alcun Paese moderno che neghi il problema ambientale. L’Unione Europea fonda tutta la propria politica su questo presupposto. E, anche se Obama ha vita difficile a causa dell’opposizione della lobby del petrolio, nessuna persona seria mette in discussione il global warming e la responsabilità umana.

Abbiamo parlato del passato e del presente. Ora tocca al futuro. Come lo descrivono i modelli climatici? E, anzitutto, questi modelli sono affidabili?

In questo caso rispondo solo come portavoce della comunità, perché non sono un modellista. Se vuole saperne di più deve chiedere a un modellista. Però, da quello che mi assicurano i colleghi specialisti di modelli, posso dirle che sì, i modelli sono affidabili e vengono continuamente perfezionati. In questo momento ci sono ricercatori che lavorano proprio per dare ai modelli una maggiore affidabilità.

E a quali conclusioni portano i modelli?

I risultati sono drammatici. L’intervallo di variazione possibile della temperatura media nei prossimi 100 anni è compreso fra 2 e 5 gradi. Ora, che si avverino le ipotesi più ottimiste oppure quelle più pessimiste, comunque noi vedremo cambiare i connotati alla faccia del pianeta. E questo non va bene per niente, perché l’ambiente è già confrontato con criticità importanti, come le crisi alimentari, la scarsità d’acqua, le disparità di benessere fra le varie regioni del mondo. Ci troviamo già in una condizione di grande fragilità. Proviamo allora a pensare che cosa accadrebbe se si sollevassero gli oceani o se si fondesse il permafrost. Tutti speriamo di essere così bravi da poter contenere la variazione in 2 gradi piuttosto che in 4, ma quello che importa davvero è il segno positivo della variazione. Smettiamo di baloccarci con i decimali, di discutere se il cambiamento sarà di 2,8 oppure di 3,5 gradi. L’importante è che stiamo uscendo dalla variabilità climatica naturale dell’Olocene. E ciò avrà conseguenze importanti sulla nostra vita.

Va bene: smettiamo di baloccarci. E che facciamo?

Si possono fare tante cose. Per cominciare, si possono tagliare gli sprechi: una scelta che sarebbe eticamente dovuta e tecnicamente possibile. Lo spreco non fa bene a nessuno, salvo a chi ci vende la roba che sprechiamo. Viviamo in una società molto inefficiente, perché dilapidiamo energia e materie prime. Invece potremmo fare le stesse cose, ma farle meglio. Non si tratterebbe di spegnere la luce, ma di accenderla solo quando serve e utilizzando una lampadina a risparmio energetico: avremmo la stessa qualità di vita, ma senza sprecare. Poi c’è il passo successivo: la sobrietà. Che consiste nel chiedersi se davvero tutti questi consumi sono necessari. Ho davvero sempre bisogno di accendere quella lampadina? Già se non sprecassimo e fossimo un po’ più sobri potremmo ridurre le emissioni del 30 per cento. Poi magari verrà addirittura l’epoca delle rinunce vere e proprie. Ma in ogni caso ne varrebbe la pena. Anche se ci sbagliassimo.

In che senso?

Se anche per assurdo la teoria dell’origine antropica del riscaldamento globale fosse sbagliata… ecco, anche in quel caso i provvedimenti presi sarebbero comunque positivi. E’ una strategia win-win: ci sarebbe solo da guadagnarci. Risparmieremmo sulla bolletta e sui danni alla salute. Perché quello che esce dalle ciminiere fa male al clima ma anche ai polmoni.

Messa così, sembra facile: si cambia e via. Perché allora tante resistenze?

Perché è un cambiamento che richiede mutamenti profondi di abitudini e di punti di vista. Perché tutti cercano di crearsi degli alibi per non cambiare. Prenda il caso del fumo, per esempio. Fino agli Anni Settanta si sosteneva che il fumo non faceva male alla salute. Gli attori erano sollecitati a girare scene con la sigaretta in mano anche se non erano fumatori, per lanciare un messaggio di virilità e di modernità. Inutile ricordare com’è andata a finire. O consideri il caso dell’amianto. A Casale Monferrato ci sono voluti 30 anni per chiudere uno stabilimento che ha provocato migliaia di morti: non c’è famiglia senza un caso di mesotelioma pleurico. E migliaia ne provocherà nei prossimi 30 anni. Eppure l’amianto continua e essere usato nei Paesi meno sviluppati. Perché? Perché ci sono interessi e opposizioni ideologiche. E lo stesso vale per il clima.

In conclusione, dovremmo modificare le nostre abitudini.

Non dovremmo: dobbiamo. E’ una questione di irreversibilità.

Irreversibilità?

Certo. In linea di principio, se devo scegliere una linea di condotta, io m’interrogo sempre sulla reversibilità delle sue conseguenze. Se posso correggere un errore, allora vale la pena provare. Se invece il cambiamento è irreversibile, il rischio è inaccettabile. Siccome, se continuiamo così, ci troveremo di fronte a un mutamento irreversibile nelle condizioni del pianeta, dobbiamo necessariamente cambiare le nostre abitudini e vincere le nostre resistenze ideologiche.


Chi è

Luca Mercalli ha studiato agrometeorologia in Italia e climatologia in Francia, specializzandosi nella ricostruzione dei climi e nel monitoraggio dei ghiacciai delle Alpi. Presiede la Società Meteorologica Italiana, associazione nazionale fondata nel 1865, dirige la rivista di settore “Nimbus” e svolge attività didattica per scuole, università e corsi di formazione. Ha una vasta esperienza di giornalismo scientifico e comunicazione ambientale, con oltre 1.000 articoli scritti per “la Repubblica”, “La Stampa”, “Donna moderna”, “Il Caffè”, “Gardenia”, ed è ospite fisso dei programmi televisivi “Che tempo che fa” su RAI3 e “TGR Montagne” su RAI2. Tra i suoi libri divulgativi, Filosofia delle nuvole (Rizzoli), Che tempo che farà (Rizzoli), Viaggi nel tempo che fa (Einaudi), Prepariamoci (Chiarelettere).


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