La ragione per cui sono partito con l’intenzione di lavorare in Australia non erano i soldi. Certo, questi sarebbero stati i benvenuti se fossero arrivati, ma ciò che mi interessava era prima di tutto l’esperienza, osservare come funzionano le cose fuori dall’Italia e osservare come funziono io all’interno di questo mercato. Senza aspettative o pretese, ma anche senza qualifiche o grandi esperienze lavorative alle spalle, ho finito per vivere un anno in Australia e due in Nuova Zelanda. Durante questi tre anni ho cambiato sei posti di lavoro, sempre in meglio. A volte sono andato a guadagnare di più, altre mi sono semplicemente circondato di persone con cui è più facile passare le giornate, ma in tutto questo ci sono alcune cose che imparato e che, probabilmente, valgono più di molte buste paga:
1) La flessibilità è un vantaggio. Non è una cosa che siamo abituati a sentirci dire, in Italia un contratto flessibile è un contratto che scade e non si rinnova, oppure uno a chiamata dove non ti chiamano mai abbastanza. Il mio primo lavoro in Australia era a paga minima (una decina di euro l’ora al tempo), ma i patti erano chiari: puoi lavorare quanto vuoi. In un ristorante con una decina di persone assunte era facile organizzarsi. La mia idea era di lavorare il più possibile per alcuni mesi e poi partire, mentre altri preferivano prendersi più giorni liberi per andare al mare a fare surf. Bastava trovare un accordo. Sulla carta avevo una settimana di 40 ore circa, ma data l’opportunità mi avvicinavo più alle 60. Dopo due mesi avevo 5.000 dollari in tasca e un viaggio di 4 mesi che mi aspettava.
2) Il lavoro non è un regalo. Certo, quando il conto in banca iniziava ad essere magro trovare un lavoro in fretta era una priorità, ma non mi sono mai sentito in debito con un datore di lavoro per aver assunto me mentre altri sono ancora a spulciare tra gli annunci. Io ho bisogno di lui quanto lui ha bisogno di me, e, dato che so quello che faccio, forse lui ha più bisogno di me di quanto io ne abbia di lui. Non c’è nessuno da ringraziare e non c’è da piegarsi per mantenere la posizione. Il compromesso esiste solo se il rapporto non è equo, ma se si è bravi in ciò che si fa si può prendere il lavoro per quello che è: uno scambio.
3) Il tempo non è solo denaro. Nonostante sia la principale ragione per cui si lavora, ci sono molti casi in cui è giusto essere pagati meno. È normale che inizialmente si riceva una paga più bassa, perché oltre ai soldi si sta imparando qualcosa, ed è un pagamento anche quello. Se per il mio primo lavoro ho accettato una paga minima, in quelli dopo potevo chiedere qualche dollaro in più, perché le conoscenze erano aumentate. Quando si arriva al punto in cui si ha tutto sotto controllo però, in cui per svolgere la nostra mansione non c’è più niente da imparare, si deve essere pagati di più. Perché se non si va al lavoro per imparare qualcosa, allora si sta vendendo almeno la metà della propria giornata che potrebbe essere impiegata in altro modo, e questa vale molto più del minimo.
4) Non c’è niente di male a sperare in qualcosa di meglio. Un lavoro, in particolare se lo si cerca in viaggio, non è per sempre. Il motivo per cui ho cambiato diversi datori di lavoro è perché non ho mai smesso di cercare qualcosa di meglio. Nonostante fossi già stato assunto continuavo a ricevere nuovi annunci nella mia mail e continuavo ad andare a parlare con persone diverse per lavori diversi. Non ho mai smesso di cercare solo perché un lavoro già ce l’avevo e così ho potuto migliorare e guadagnare di più. La cosa interessante è stata che ogni volta che lasciavo un lavoro, a volte dopo tre mesi, a volte dopo un anno, i miei capi capivano che era la cosa ovvia da fare per me ed oltre ad una stretta di mano è sempre stato normale festeggiare con un paio di birre. Fino a quando non ho trovato il lavoro giusto e quindi mi sono fermato.
5) Il trucco è adattarsi (e lamentarsi non produce risultati). Se ne parla bene, ma l’Oceania non è il paese dei balocchi e se non ci si sa adattare si farà poca strada. Il lavoro non arriva dal cielo, ci sono situazioni in cui si ha a che fare con persone difficili e momenti in cui ciò che viene richiesto va oltre ciò per cui siamo stati assunti. Lamentarsi delle cose che non vanno non ha mai funzionato per me. Quando in Nuova Zelanda c’era da lavorare 7 giorni su 7 per mesi l’ho fatto. Quando durante l’uscita del Lo Hobbit a Wellington le giornate duravano 15 ore per la quantità di clienti che arrivavano, l’ho fatto. Questo non è piegare la testa o sacrificarsi per un attività che non è la nostra. È adattarsi alla situazione e generare rispetto nei propri confronti, che poi può essere utilizzato per fare richieste che altrimenti non sarebbero esaudite. Ad esempio per prendere tre o quattro giorni liberi per vedere i Radiohead in piena alta stagione o essere scelti per essere mandati a fare corsi speciali al posto di qualcun altro.
6) La meritocrazia funziona in entrambi i versi. In Italia è la cosa di cui si parla di più, la mancanza di meritocrazia. Se è vero che in Australia e Nuova Zelanda, con tempo e capacità a disposizione tutti possono crescere e salire di livello più facilemente che in Italia, è vero anche l’opposto. Se non hai voglia di lavorare, se non sai lavorare e se non hai interesse per quello che fai, vieni tagliato fuori. Non necessariamente licenziato, ma portato a lasciare. Se non sei produttivo le tue ore vengono tagliate, ti vengono assegnati i turni peggiori e non vedrai mai un aumento, tutte cose che quando paghi 400 € d’affitto per una piccola stanza non sono certo un vantaggio. In Italia una persona assunta a tempo indeterminato non può quasi mai essere licenziata ed è protetta da dei diritti che diventano automaticamente una lama a doppio taglio. Non che non siano giusti, ma non è un sistema che dà spazio agli ambiziosi.
7) Le ferie ad Agosto sono un po’ una cazzata. Non ho mai capito questa cosa delle vacanze forzate, in cui tutti devono andare al mare nelle stesse due settimane. È ovvio, se l’azienda chiude ci si adegua, ma questa pressione che aumenta del “devo divertirmi per forza perché poi ho un altro anno di lavoro davanti” non è molto stimolante. In Oceania, se volevo potevo continuare a lavorare durante tutti i 12 mesi, e le ferie accumulate mi venivano pagate. Al contrario, se trovavo un biglietto in offerta a Marzo, se avevo un amico che mi veniva a trovare, se volevo noleggiare una macchina in bassa stagione perché mi conviene, bastava chiedere i giorni e mettersi d’accordo, e la mia vita me la potevo gestire da solo.
8) Sai quanto vali. La prima volta che mi sono trovato a chiedere un aumento non sapevo bene come impostare la domanda. C’è stato un po’ d’imbarazzo, ma sia io che il mio capo sapevamo che era il momento. La seconda volta che ho chiesto un aumento ho dovuto essere un po’ più convincente, ma sapevo anche come funziona. Sapevo che altri colleghi avevano ricevuto un aumento, ero impiegato già da 9 mesi, non avevo mai preso un giorno libero e sapevo fare il mio lavoro. È arrivato. La terza volta che ho chiesto un aumento stavo svolgendo il lavoro del manager che se ne era andato e credevo di meritarmelo. Si trattava di pochi soldi, ma dato il numero di ore che lavoravo a fine mese avrebbe fatto la differenza. Non è arrivato, forse ho puntato troppo in alto. Così ho cambiato lavoro.
9) All’estero è meglio. Lavorare all’estero è meglio per un sacco di motivi. I soldi sono l’ultimo, perché non sempre sono tanti. Le cose funzionano, forse con alcune contraddizioni, ma il sistema gira e c’è spazio per muoversi. Non sono però i diritti, gli stipendi o le opportunità a fare la differenza. È la gente, gente che invece di passare le giornate a lamentarsi, quando si trova di fronte qualcosa che non va, la cambia.
Exploremore ha pubblicato due guide al trasferirsi, lavorare e viaggiare in Australia e Nuova Zelanda con un visto Working Holiday. Se hai già un biglietto in mano o hai in mente di partire, al loro interno troverai tutto ciò che è necessario sapere per sopravvivere downunder. Leggi la presentazione qui e qui.