9 maggio 1978

A 33 anni dalla Liberazione l’evento più cruento e minaccioso che l’Italia dovette sostenere: il rapimento e l’uccisione di Aldo Moro, Presidente della Democrazia Cristiana, cinque volte Presidente del Consiglio, in procinto di diventare il futuro Presidente della Repubblica.

Furono 55 giorni tragici, il paese tremò, si sentì alla mercé delle Brigate Rosse, un’organizzazione di terroristi ufficialmente responsabile del sequestro di uno degli uomini politici più importanti della Repubblica. Dopo molti anni le nebbie non si sono ancora diradate, i retroscena che portarono all’assassinio di Aldo Moro restano non del tutto limpidi, protagonisti della scena politica di quei giorni (Zaccagnini, Cossiga, Andreotti) sono morti portandosi in tomba tante, troppe verità, e altri personaggi implicati nella vicenda hanno detto una parte di ciò che sapevano, per opportunismo o per vigliaccheria. Gli autori del delitto furono davvero le Brigate Rosse oppure altri soggetti ordirono un attentato ai danni dello Stato celandosi dietro un’organizzazione terroristica? Dal 1978 non si contano più i libri e gli articoli pubblicati sull’affare Moro, ma una buona percentuale di questi scritti sono soltanto cacata carta, autentiche cortine fumogene innalzate da “cantastorie” improvvisati forniti di un Ego smisurato e poco pensante. Chi ha provato coraggiosamente a fornire ipotesi alternative alla “verità” ufficiale non ha avuto tanta fortuna, o per mancanza di prove, o per ostacoli di varia natura.

Ogni 9 maggio mi pongo le solite domande in attesa di risposte convincenti, e ogni 9 maggio, da 37 anni a questa parte, mi convinco sempre di più che l’Italia non solo ha la vocazione ad insabbiare la verità, ma sembra addirittura orgogliosa di questo atteggiamento frivolo, incivile e ipocrita. Ciò che dovrebbe ferire a morte tutti noi è constatare quanto sia stato vano il sacrificio di Aldo Moro e di molti altri italiani che hanno dato la vita, forse illusi di aver lottato per rendere migliore il nostro paese.

mvg