A volte è triste dire l’avevamo detto. Se ci rileggiamo i racconti fatti da Gilberto e da Titti su Haiti pubblicati in questo blog troviamo le premesse (e predette) del nuovo scandalo che ha investito l’industria dell’assistenza italiana.
“La onlus Agire, che comprende 12 altre organizzazione del terzo settore, apre una sottoscrizione a cui partecipano nove sue associate: Save the Children, ActionAid, Cesvi, InterSos, Gvc, Terres des Hommes, Coopi, Cisp. Ma soprattutto Vis, Volontariato internazionale per lo sviluppo, ong della galassia Don Bosco. Il sistema per effettuare le donazioni è facilissimo: basta un sms per donare da 2 a 3 euro. In breve vengono raccolti 14,7 milioni di euro, cui vanno aggiunti 6,5 milioni ricevuti direttamente dai sostenitori. Oltre la metà, 11 milioni e mezzo, viene investita già nel corso del 2010 in interventi nel settore educativo, agricolo e sanitario. Parte delle somme raccolte invece viene destinata a progetti a più largo respiro (?) e, in attesa che questi vengano realizzati, rimangono in cassa 9 milioni. E qui entra in scena Dino Pasta, fondatore nel 2001 della ReteManager, società assicurativa specializzata nel «private insurance” a cui vengono affidati i soldi.
Questi nove milioni, malgrado i bisogni e le emergenze descritti dalle ONG per raccogliere fondi e salvare il mondo e i lamenti per la diminuzione dei fondi pubblici per la cooperazione internazionale, invece di essere destinati ad Haiti, alla Somalia o alle altre situazione di grave disagio, sono finiti nelle mani di una società d’investimenti privata, gestita da un personaggio che fra feste, spese pazze e donnine, già era noto per tutto meno che per la sua filantropia.
Ricordiamo che il terremoto ad Haiti è stato nel gennaio 2010, cioè quasi due anni orsono e che i bisogni erano descritti come necessari e immediati.
“Pasta però nel 2010 era stato denunciato da una società di assicurazioni irlandese per cui stipulava contratti. Secondo l’accusa però a persone inesistenti, o ignare: Retemaneger versava la prima rata, incassa la provvigione e poi nessuno pagava più. Per questa accusa ieri l’uomo è stato rinviato a giudizio e la sua società dichiarata fallita”.
Malgrado queste referenze le Onlus gli hanno affidato euro 9 milioni e, infatti è scappato con la cassa , alla faccia dei sagaci dirigenti delle ONG coinvolte, dei donatori telefonici e dei bambini di Haiti a cui i soldi, prima di finire su presunti fondi d’investimento londinesi, dovevano essere destinati.
Questo evento ripropone argomenti già triti e triti in questo blog. Gran parte delle ONLUS e ONG non sono, di fatto, enti senza scopo di lucro perché i dirigenti e il personale, a volte strapagato, deve assicurasi il futuro e, come ogni imprenditore, fatturare (raccogliere donazioni) per mantenersi. Questo spiega come si raccolgono fondi per oltre bisogni e, sempre, con lo scopo di guadagnare s’investono speculativamente. Questa vicenda è esemplare.
Poichè l’industria dell’assistenza non risponde a logiche di efficienza, in assenza di verifiche oggettive (nel caso del profit il mercato) sulla qualità del prodotto (risultati per i beneficiari), nè a controlli qualitativi o quantitativi indipendenti (gli enti di controllo di fatto non esistono) anche la selezione dei managers avviene per conoscenze, camarelle politiche, circuiti autorereferenziali. Infine la necessità (per ricevere soldi dallo stato UE, fondazioni, regioni e comuni) di essere integrate nel sistema politico-affaristico locale o nazionale, impone sponsor politici che devono restituire favori e prebende.
Quest’ultimo scandalo conferma incompetenza e, forse, interessi non chiari da ricondurre In questo blog sono stati raccontati fior di casi che rientrano in queste casistiche.
Queste questioni, in assenza di un autorità indipendente di controllo efficace, dovrebbero porsele tutti i donatori. C’è da augurarsi che l’attuale strozzata economica porti a una salutare selezione di organizzazioni e di personaggi anche in questo settore. L’industria dell’assistenza dovrà affrontare il calo degli investimenti e, come altri comparti dell’economia, iniziare a ridurre benefits, salari e sprechi. Un bene, alla lunga, anche per i beneficiari.