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91. Il tuo nome

Creato il 16 giugno 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su giugno 16, 2012

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Romolo, Romolo. Le hai provate tutte: lo scrittore, lo psicologo, l’uomo dagli occhi grandi e azzurri che hai visto svanire nel nulla, sulla torre. Ti chiedi se sia possibile trovare uno spiraglio, una via d’uscita al muro che inibisce ogni finale. Sei in un vicolo cieco, l’esito previsto della tua vita inconcludente, trascorsa a inseguire una bambina che non ha voluto rivelarti il nome. Se almeno ricordassi com’è cominciato, tutto questo, cosa provasti al vostro primo incontro. Ti ha stregato, ma non sai spiegartene il motivo. Hai la sensazione che ritorni in ogni pagina di libro, come una specie di fil rouge, di trait d’union tra i sogni e la vita quotidiana. A proposito, hai fatto un sogno strano: tuo padre diventava piccolo, sempre più piccolo, al punto che avresti potuto prenderlo nel palmo di una mano: che può significare? Si muove qualcosa? Che la sensazione di non poter dire l’ultima parola, di non riuscire a esprimerti davvero, cominci a regredire, a lasciare il posto a un’altra fase, in cui il tuo più autentico si faccia finalmente strada? Romolo, Romolo. Fino a oggi hai avuto la mente ingombra di domande: potresti fermarti, dare alla risposta che attendi il tempo di raggiungerti, per esempio nel locale all’angolo di Quai des Gesvres, dove campeggia una tenda rossa con la scritta Bistrot Marguerite. L’aria è tersa, il cielo è di un azzurro chiaro come gli occhi di Fofner; forse è proprio lui che ti accompagna, che non è capace di abbandonarti per sempre al tuo destino. Le macchine scorrono lente sulla strada in ombra, un uomo è seduto accanto a te, col motorino parcheggiato poco oltre il tavolo di legno, un altro si affaccia dall’ingresso come in attesa di qualcosa che non sa. Non ti capaciti di come sia successo: un evento di quelli che accadono senza legami con ciò che segue e precede, ma sono lì, con l’evidenza del sole che spunta dietro la massa bianca della case, del passero che si posa sulla sedia per beccare le briciole di pane. Quando è apparsa, da lontano, hai sentito che qualcosa invadeva il tuo campo di attenzione, che urgeva mettere a fuoco la figura agile, decisa, che percorreva il tratto dove finiscono i palazzi e comincia la grande aiuola verde scuro, e ti è sembrato un sogno, antitetico rispetto a quello di tuo padre che diventava piccolo, minuscolo; qui l’immagine cresceva, i tratti erano più riconoscibili, e per un attimo hai pensato che i due momenti fossero collegati chissà come, quello del sogno e quello della donna in bicicletta che passava ora, proprio ora, avanti a te, e tu eri preso da non so che istinto, ti alzavi di scatto dal tavolo del bar, al punto che il cameriere ti guardava preoccupato, pensando che volessi evitare di pagare il conto, e allungavi il braccio, puntavi il dito verso lei, che stava per svanire come un refolo di vento, e con tutta la voce che ti restava in corpo, soffocata solo in parte dall’emozione che t’invadeva senza scampo, le chiedevi, gridavi: dimmi il tuo nome! mentre il cielo azzurro sopra Quai de Gesvres si posava sull’asfalto, lasciando una macchia diafana e umida di nuvole.


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