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92. Parlarti

Creato il 17 giugno 2012 da Fabry2010

Pubblicato da fabrizio centofanti su giugno 17, 2012

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Hai deciso di provarci: in fondo, che cos’hai da perdere? In Quai de Dion Bouton c’è una scaletta che porta dritta alla banchina. Il fiume scorre lento, con le rughe da vecchio saggio che la sa lunga sulle cose del mondo. Di fronte, c’è il verde degli alberi e dei prati, una villa in legno con le tende spioventi e il tetto bianco; sulla destra, un ponte in ferro blu conduce dalla città dei palazzi a quella dei boschetti di querce; ti sembra un simbolo adatto al desiderio di ritrovarti con te stesso, di rinunciare alle nevrosi quotidiane per sbarcare il lunario e rimediare uno straccio, almeno, di amore. Ti sei seduto a gambe larghe, penzolanti sull’acqua densa di riflessi. Gli occhi si chiudono, la stanchezza dei giorni trascorsi, la ricerca di un bandolo nella matassa intricata della vita, ti piombano addosso all’improvviso. Ascolti il rumore della Senna che ti culla, che forse ha intenzione di parlarti; sì, sei certo che ti stia rivolgendo la parola; è una voce da bambino: non ti saresti aspettato che un fiume così nobile e glorioso, fonte d’ispirazione per pittori, fotografi e registi, potesse avere un tono infantile come questo. Sono parole che ti sembra di avere già sentito:
- Questa è la vita vera o è solo fantasia?
Già: t’illudi di sfuggire ai tuoi doveri, di trovare tra le sponde umide l’antidoto all’aridità della tua vita. Eppure, cosa sarebbe il mondo senza fantasia? Come avresti resistito alla routine di un lavoro precario e privo di soddisfazioni, con un amore perso e l’altro pure? Chi ti avrebbe dato la forza per  andare avanti?
Travolto da una frana senza scampo dalla realtà, apri gli occhi, alza lo sguardo al cielo e vedrai.
Forse ha ragione, sei troppo preso da te stesso. Dovresti provare a cambiare prospettiva, guardare verso il cielo, una massa bianca di nuvole arrivate qui da chissà dove, mentre il sole è una macchia di luce che ti acceca. Alzare gli occhi vuol dire già liberarsi dal peso della terra, diventare un angelo capace di volare sul disegno regolare delle strade, comprendere che la città è avvolta da una mano azzurra che la guida e, insieme, l’accarezza.
Sono solo un povero ragazzo, non ho bisogno di essere capito, perché mi lascio trasportare; sono un indolente, un po’ su un po’ giù. Comunque soffi il vento, a me non importa.
Come fa a sapere così bene come stai e chi sei? Devi venire più spesso in riva al fiume a prendere consigli, a conoscere te stesso. Sarà sempre così? Avrà ancora desiderio di parlarti? O tutto è accaduto in un momento in cui era libero da impegni, un’ora nella quale i ragazzini lo lasciano in pace, gli innamorati sono ognuno nel suo ufficio e ai pazzi e agli ubriachi non viene in mente di mettere le gambe a mollo nell’acqua fredda del mattino?
Mamma, la vita era appena iniziata, ma ora l’ho lasciata e l’ho buttata via. Mamma, non volevo farti piangere: se non sarò tornato a quest’ora domani, va avanti, va avanti, come se niente fosse stato.
Senti un rumore sordo alle tue spalle, non vorresti voltarti; coraggio, non puoi passare il resto della vita a chiederti chi possa essere stato a parlarti in un mattino di giugno, lungo il fiume.


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