Magazine Cinema
Norvegia, USA, 2014
28 minuti
In una località costiera di villeggiatura, durante la stagione invernale, una donna cerca d'ingannare il tempo aggirandosi con fare inquieto e disorientato per le vie spopolate e per i caffè, dove quelle poche persone che li occupano sembrano accorgersi solamente della sua presenza. Alla sera, dalla finestra della sua camera d'albergo è solita osservare la ferrys wheel illuminata che domina su un parco giochi; qualcosa che sembra catturare in modo particolare la sua attenzione...
Film curioso A Blank Slate, o per meglio definirlo, un esperimento visuale che si (s)compone di sguardi molteplici. La filmmaker di Oslo, Sara Eliassen (formatasi in cinema sperimentale all'Art Institute di San Francisco), ci coinvolge in un attento gioco di riflessi atto a ridisegnare la figura della donna, osservata all'interno del contesto e della storia cinematografici sotto svariati punti di vista. La protagonista che seguiamo nel suo tormentato deambulare, sembra in effetti aver perduto le proprie coordinate individuali, proprio perchè in qualmodo simulacro dell'intero universo femminile catturato nel mondo in celluloide (c'è un sentito omaggio all'attrice culto Karen Black, e un riferimento solo trasversale - almeno così si spera - alla sposa/Turman del Kill Bill tarantiniano) attraverso un tempo, che sembra estinguersi da subito nella fattualità dell'ambiente privato (la camera d'albergo), per riformarsi poi all'esterno, attraverso una dimensione propiamente finzionale. Tant'è, si potrebbe considerare A Blank Slate come una sorta di cortocircuito dell'identità che scatta già al concludersi della prima sequenza, e cioè, nel momento in cui lo schermo diventa improvvisamente rosso lasciando campeggiare il titolo (interrompendo bruscamente anche la componente musicale fino a quel momento udita), per poi deframmentarsi in segnali enigmatici (il display pubblicitario sul parcheggio del supermarket; l'equivoca conversazione al bar - scena che sfiora il geniale) che verranno gradualmente ricomposti solamente con il procedere del film. Ma la sequenza chiave (anche concettualmente*) per subentrare il nuovo spazio dimensionale che intrappola la protagonista, risiede certamente nell'alto di quella ruota panoramica ferma, sospesa nel vuoto (e nel silenzio che si genera col progredire della notte), dalla quale la donna osserva esattamente se stessa tra le braccia di un amante immaginario, proprio attraverso la finestra della sua camera d'albergo, allo stesso modo in cui era solita osservare dall'interno quell'imponente attrazione luminosa. E la vita, appare ora come un'immagine intrappolata; un riflesso speculare della propria individualità che oramai, sembra sopravvivere esclusivamente in modo simulato, all'interno dei freddi monitor di uno studio televisivo.
*L'idea originaria prende spunto da un paragrafo del romanzo La ragazza dello Sputnik, di Haruki Murakami, dove la protagonista, rimasta appunto bloccata di notte su una ruota panoramica, vede se stessa fare sesso con un uomo attraverso la finestra di casa sua.
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