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A bocca aperta

Creato il 09 ottobre 2014 da Signorponza @signorponza

Se ripenso alla mia adolescenza, oltre al numero sconsiderato di uomini impegnati che ho frequentato, quello che più ricordo con piacere è il bullismo. Crescere in una città di provincia non è semplice, crescere decidendo che essere gay sia un problema solo per gli altri è anche peggio. Sono stato più volte vittima di episodi denigratori causati dalla scarsa abilità di nascondere la mia omosessualità e ho reagito a modo mio, da psicotico. Ricordo con simpatia le orde di ragazzini all’uscita da scuola che mi regalavano epiteti di ogni genere, venivano a raccattare le ragazze della mia scuola e tra una partita a Snake e l’altra mi davano del frocio e cose simili. Ci sono rimasto male, poi mi sono rotto i coglioni e ho reagito.

Una mia cara amica all’epoca, quarta liceo, frequentava un ragazzo poco raccomandabile, uno di quelli che cercano stupidamente di imitare gli skinheads. Testa chiaramente rasata, pantaloni da bagno allagato accompagnati da bretelle e magliette nere. Dopo diversi inviti ho ceduto e sono uscito una sera con la mia amica e i suoi nuovi compari. Passata la prima mezzora di terrore sono rimasto colpito dal fatto che non avessero minimamente pensieri antisemiti o che non inneggiassero al Nazismo, non perché lo sperassi ma perché credevo che persone che si atteggiavano in quella maniera avessero una coerenza intellettuale. E invece no, fortunatamente la loro era solo voglia di esprimere rabbia per qualcosa che nemmeno loro avevano identificato e delle ideologie non erano nemmeno al corrente. Ragazzi di bell’aspetto vestiti come i figli dei generali delle S.S. che bevevano birra e fumavano Marlboro rosse. Io immobile ad ascoltare i loro discorsi su come la nostra città dovesse cambiare per offrire qualcosa di più ai giovani, sembrava di assistere ad un concerto di Max Pezzali vestito da Hitler. Era tutto surreale fino a quando uno di loro non mi fece una domanda e io vuotai il sacco. Raccontai loro dei miei disagi e di come alcuni ragazzi mi avessero preso di mira, un fiume di parole e lacrime che solo una persona disturbata come me potrebbe fare a dei Nazi. Il giorno dopo me li trovai fuori da scuola che stavano accerchiando quei minus habens che si divertivano a schernirmi minacciandoli di farli finire in ospedale se mi avessero rivolto ancora parola. Ancora oggi quando incrocio al reparto surgelati dell’Esselunga uno di questi minorati mentali, si volatilizza in pochi istanti. Non ho mai saputo quello che sia realmente accaduto quel giorno ma devono aver avuto argomenti molto convincenti.

Non è però dei Nazi che si fanno paladini dei diritti degli omosessuali che vorrei parlare, ma di quello che è successo una tiepida sera di ottobre. Come di consueto il giovedì mi presentavo al pub irlandese vicino casa, raduno dei miei nuovi amici, per ascoltare i loro discorsi da centro sociale e avere materiale mentale per masturbarmi tutta la settimana. Giacomo, uno di quelli più carini e con la faccia da stupratore moldavo, quella sera decise di portarmi a casa in macchina. Ti porto a casa io, tuonò, e io non ebbi il coraggio di dissentire nonostante casa mia fosse a cinque minuti di strada perché va bene che mi hanno difeso ma potrebbero sempre girargli i cinque minuti e poi ciao, ematomi su tutto il corpo. Ci mettemmo più ad arrivare alla sua macchina che a casa mia ma il bacio a stampo che mi diede ne valse la pena. Perché un ragazzo che dovrebbe avere un orientamento politico che non collima con l’essere omosessuale dovrebbe baciarmi? Povero me, ancora ingenuo ed inesperto non sapevo che la maggior parte degli uomini che avrei frequentato nella mia vita sarebbero stati sedicenti omosessuali. Potevo capirlo da un uomo sposato, ma uno skinhead proprio era inconcepibile per me. Pensai tutta la settimana a quel bacio e già mi vedevo morto ammazzato in qualche cavalcavia ricoperto di svastiche di sangue, invece il io Giacomo la settimana dopo si rivelò ancora più intraprendente portandomi nuovamente a casa. Ma prima di andare a casa ci fermammo a rimirar le stelle nel parcheggio dello stadio, abbastanza buio per non essere disturbati. Se lui non fosse stato uno skinhead sarebbe stata una serata stupenda: niente parole sdolcinate e coccole, preliminari completamente assenti, non una carezza. Ma il dramma è sempre dietro l’angolo, come insegna la cara Annabelle Bronstein. Dopo aver messo a segno i suoi colpi mi chiese di suonare un po’ il suo flauto ed io, che ero grande patito di musica, non mi tirai certo indietro. Il suo flauto però rimase vestito, coperto dalla custodia. La tragedia si consumò in breve tempo: non per vantarmi ma sono un abile musicista, con esperienza tale da impedire alla mia bocca di intorpidirsi completamente durante la mia performance. Perché allora mi si stava bloccando la mascella? Presi coraggio e chiesi al mio direttore d’orchestra se per caso il preservativo che stava indossando non fosse ritardante, perché a me pareva di succhiare un calippo immerso nella lidocaina.

- “Ma hai un goldone ritardante? Mi sembra di aver fatto l’anestesia dal dentista.”

- “Ma no figurati!”

- “Ma no un cazzo, non sento più le labbra!”

- “Forse ho sbagliato a comprarli.”

- “Forse un cazzo, portami a casa.”

Improvvisamente non vedevo più uno skinhead al mio fianco ma un semplice diciottenne con evidenti problemi di eiaculazione precoce. Dovevo liberarmene e fortunatamente la storia d’amore della mia amica finì di lì a poco e io ebbi la scusa perfetta per non uscire più con quelle persone. Quello che mi rimase però fu la sensazione che niente nella vita era quello che sembrava e che nessuno aveva il diritto di venirmi a dire come essere. 

Giacomo si veste ancora da skinhead e per quattrocento euro spezza le gambe alle persone, me lo ha detto una mia amica.

Prima di congedarvi alla prossima settimana vorrei scusarmi per la scarsa presenza sulle pagine del blog ma purtroppo non ho più sedici anni e ed essere una persona adulta è una cosa orrenda. Vi invito inoltre a scaricare la mia app ufficiale e a diffondere i miei post come fossero influenza aviaria, perché l’anno prossimo devono per forza chiamarmi al Grande Fratello o qua succede un casino. Ci vediamo la settimana prossima per il proseguimento dei miei racconti degli anni a 90.

fabrydiario2 (1)


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