Magazine Diario personale
Mio nonno era un militare: Maresciallo dei Bersaglieri. Dentro l'armadio di quella moglie devota che era mia nonna, si conserva ancora il ciuffo del fez e la sciabola dell'alta uniforme. Obbediente come ogni soldato di qualsiasi rango, poco convinto come molti all'epoca, aveva fatto la Guerra d'Africa. In Abissinia era stato, tra l'altro. Ma negli ultimi periodi della sua carriera e della sua vita stava al distretto militare di Perugia. Un compito tranquillo, ma di responsabilità, il suo, portato avanti con rigore e serietà (due delle sue caratteristiche più tramandate): era addetto al reclutamento e alla destinazione.
E' da quei ricordi che so che a mio padre, che all'epoca non era proprio uno stinco di santo, lo minacciava sempre dicendogli che se non si fosse dato una calmata, l'avrebbe spedito a fare la naja a Canicatti. Che era il posto più remoto dalle morbide e conturbanti tagliatelle di casa.
E ho pensato subito al nonno, quando ho saputo che il CSM aveva deciso per Ingroia, o Aosta o niente. Che, sebbene l'inversione di polarità, Aosta da Palermo (dove voleva andare) disti più di Canicatti da Perugia, non serve di aver avuto bei voti in geografia per capirlo. Così come che tutto - seppur legittimato dalla questione dei collegi di candidatura - puzzi un po' di punizione tipo quella di mio nonno, è altrettanto supponibile. Non credo che là in procura tra le valli incantate delle Alpi, ci sia grande spazio per esprimere il proprio talento investigativo.
Quello che invece sarebbe un bene dire in modo sottolineato, è che il CSM percorre la scelta giusta.
Vado oltre - con ogni probabilità - ai principi applicati da Palazzo dei Marescialli., principi giuridici attuali: mentre i miei sarebbero semmai dei riferimenti legislativi futuri.
La mia felicitazione per questo àut àut, riguarda un pensiero personale che porto avanti da un po': ritengo che sia inverosimile in un paese civile che un magistrato si candidi alle elezioni, appena aver concluso la conduzione - con breve parentesi guatemalteca del caso - o addirittura in corso di conduzione, di indagini delicate anche su ambiti politici avversari e istituzioni democratiche. Ed è ancora più inverosimile se possibile, che appena celebrate l'elezioni, quello stesso magistrato uscito sconfitto, possa decidere di tornare placidamente e immediatamente al proprio mestiere (o ad occupare posizioni di guida in enti politici, non per meriti tecnici acquisiti, che nel caso possono anche profumare di contentino, ma questo è un altro discorso e lascio perdere).
Il problema riguarda gli equilibri dei poteri democratici, che si intrecciano al limite della contaminazione e quindi il problema riguarda in toto questa Repubblica. Perché nessuno può garantire come quel magistrato - con ogni beneficio e buon pensiero - possa usare alcune delle informazioni che ha ottenuto indagando e come potrebbe gestire la propria influenza politica in quelle (o in altre) indagini.
E non significa impedire ai magistrati di fare politica. Molto più semplicemente credo che sarebbe ben fatto richiedere, in casi sensibili che riguardano soprattutto magistrati di un certo tipo, di fare una scelta decisa e univoca. Di campo, come si suol dire. Senza entrare e uscire dalle porte posteriori delle istituzioni. Come dire: "se vuoi fare il politico, scegli e da adesso in avanti fai il politico". Non si tratta di limitare la libertà di nessuno, si tratta semplicemente di acquisire completa consapevolezza di quella libertà a scanso d'interessi del momento, e di preservare questo Stato - e il sistema democratico che lo regge- dalle incontrollabili debolezze umane. Ripeto, con il rispetto sull'integrità etica e morale di tutti. Non è questione di sfiducia, anche se ci sarebbe un certo empirismo che potrebbe darmi ragione. La cosa riguarda la chiarezza, uno degli appigli certi che deve essere fornito alla società. Chi decide di fare politica, soprattutto ad un certo livello, matura una scelta con determinatezza e sceglie di passare al livello massimo della rappresentanza civile. Simile a quello della Magistratura, ed è per questo che va fatta la scelta.
In attesa di una normazione legislativa che forse mai arriverà, comunque sarebbe veramente una rivoluzione civile, se Ingroia decidesse di rinunciare alla toga e poi di continuare con la politica: ritagliandosi uno spazio proprio, identitario e, quello sì, assolutamente legittimo.
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