Da molti giorni lotto contro l’impulso a scrivere la mia opinione sulla crisi del momento: la sentenza della Consulta riguardo alla rivalutazione automatica delle pensioni sopra i 1400 euro mensili lordi, secondo la quale il blocco dell’adeguamento è incostituzionale e il governo deve restituire una somma che si stima potrebbe raggiungere i 18 miliardi.
La vicenda è così complessa, è stata così abbondantemente discussa, ed è per me così dolorosa che continuamente, ogni volta che la tentazione di esprimermi in proposito alzava la sua testa, la facevo tornare da dove era venuta ricordando a me stessa i miei altri impegni e rimandandola a un’eventuale più approfondita trattazione futura. Ma non ce la faccio più. Questa storia ha tirato fuori i lati peggiori del mio paese – l’egoismo, la demagogia, le diseguaglianze, l’ignoranza, la resistenza al cambiamento, la gerontocrazia. Non posso tacere.
Comincio con alcune precisazioni. Non sono un’esperta, quindi chiunque abbia informazioni diverse dalle mie può eventualmente correggermi, ma comunque ho cercato di approfondire l’argomento a un livello ulteriore rispetto a quello prevalente del dibattito in corso, spesso superficiale.
Bisogna sapere che:
– i soldi delle pensioni non vengono direttamente dai contributi versati da chi ora è in pensione, ma dall’INPS che si finanzia con i contributi di chi lavora attualmente e con i soldi dello Stato che gli versa 100 miliardi all’anno di cui 50 miliardi per le pensioni (fonte: l’approfondimento Tutta la città ne parla di Radio 3 del 15 maggio, prof. Roberto Puglisi; spero sia tutto esatto perché non avendo internet a casa faccio più fatica a ricontrollare). Quindi, le pensioni pubbliche sono pagate con la fiscalità generale e con i soldi di tutti, non con i contributi passati
– un terzo degli italiani percepisce almeno due pensioni
– la sentenza è passata sette a sei, quindi con un solo voto di differenza
– non mi risulta che la Costituzione parli di adeguamento delle pensioni al costo dell’inflazione; dice: “Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.
I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria.” La Corte Costituzionale, non la Costituzione, parla di adeguazione
– molti dei pensionati attuali si sono ritirati dal lavoro quando vigeva ancora il sistema retributivo, secondo il quale si percepiva una pensione tarata sull’importo dell’ultimo stipendio, non sui contributi effettivamente versati. Questo sistema è risultato talmente iniquo e oneroso che è stato sostituito dal sistema contributivo, ma la transizione è stata lenta, parziale, e non ha intaccato le pensioni precedenti
– alcune delle pensioni sono di reversibilità, cioè percepite da vedovi o vedove dopo che il coniuge è morto. Possono essere importi anche molto generosi, lo so per esperienza, e non richiedono di aver personalmente versato questi contributi ma solo di aver sposato qualcuno che lo ha fatto, ne ha goduto, ed è morto
– a grandi linee le pensioni attualmente funzionano come una catena di Sant’Antonio, in cui chi è entrato nel sistema guadagna solo finché c’è un numero sempre crescente di persone che si aggiungono: quando questo non accade, il sistema entra in crisi.
Pensare di andare in pensione a sessant’anni o prima, percepire sostanzialmente uno stipendio senza fare nulla, consumare molti farmaci e servizi sanitari e assistenziali senza lavorare e quindi contribuire a queste spese, e vivere fino a ottanta-novant’anni, un pacchetto di aspirazioni attualmente considerate diritti, può funzionare solo in una società in continua espansione economica e demografica, mentre l’economia attuale si sta contraendo e la crescita demografica in alcuni paesi ricchi (Giappone, Germania) si è fermata, e per fortuna. Ma, oltre alla popolazione, serve che cresca anche l’occupazione: altrimenti bisogna mantenere sia i pensionati che i disoccupati, che quindi non solo non versano contributi ma sopravvivono grazie ai contributi altrui. Inoltre, anche le strategie di aumento della popolazione per pagare le pensioni hanno costi pesanti per le casse dello stato e per i lavoratori: i bambini vanno mantenuti, curati e istruiti fino almeno alla maggiore età; gli stranieri comportano a loro volta delle spese soprattutto quando appartenenti a categorie particolari come i richiedenti asilo, o in quanto la loro fertilità tende ad essere più alta. Inoltre, quando raggiungeranno l’età pensionabile vorranno anche loro, come gli italiani, riscuotere la pensione in base ai loro contributi precedenti. E allora, cosa faremo? Aumenteremo ancora la popolazione, all’infinito?
Pur di non ridimensionare le pensioni, quindi, o di posticiparle, si cercano soluzioni che peggiorano o spostano in là il problema senza risolverlo, quali l’immigrazione, l’aumento del tasso di fertilità delle donne, o, come in Italia, la rinuncia a spendere in altri settori per accontentare i pensionati. A farne le spese, quindi, sono ambiente, nuove generazioni e immigrati, che stanno sostanzialmente partecipando a questa catena di Sant’Antonio con garanzie soltanto formali per il loro futuro, perché in questo futuro i soldi potrebbero non esserci più.
Ho già detto in passato che considero sbagliato incentivare le persone a non lavorare quando sono in grado di farlo, anche se a ritmi ridotti, e che quindi la pensione andrebbe abolita e sostituita da un reddito di cittadinanza (e residenza di lungo corso) universale, anche per chi lavora, molto modesto ma universale, con un aumento leggero e graduale del versamento dai sessant’anni circa in poi, fino a raggiungere un tetto ben inferiore alle pensioni più alte che ci sono adesso. Finanzierei questo reddito con un’abolizione di quasi tutte le forme di welfare attuale, troppo dispersive e selettive per essere eque (cassa integrazione, mobilità, pensioni, indennità di disoccupazione, carte famiglia…), con i conseguenti risparmi burocratici, e con una seria redistribuzione delle ricchezze. Chi vuole avere di più di quello che io offrireri con questa proposta può risparmiare o investire il proprio denaro, avendo garantito, in parte, il risparmio, cioè l’accantonamento di denaro, ma non l’investimento che è più redditizio ma anche più rischioso.
Facciamo finta, però, che io non sia contro l’istituzione pensionistica in quanto tale. In questo caso, comunque, vorrei che fosse innanzitutto più proporzionata ai contributi versati. Ora non lo è, per due motivi. Uno è molto ovvio, ma non lo dice mai nessuno: non tutti vivono lo stesso numero di anni dopo la pensione. Chi muore prima di aver raggiunto l’età pensionabile, o poco dopo, lascia quello che ha versato agli altri. Chi vive fino a novant’anni se lo prende. Lo dico perché capire questo renderebbe i pensionati, forse, un po’ meno egoisti e un po’ più consci del fatto che avere la pensione, come essere vivi, dipende non solo da loro ma anche dalla società che li sostiene, e a questa società devono essere disposti a contribuire in base alle sue necessità, e non solo alle loro.
In secondo luogo, non sono riuscita a trovare informazioni dettagliate in proposito ma da quello che ho capito anche una pensione calcolata sul sistema contributivo tende a superare, e non di poco, la metà dello stipendio pre-pensione. L’unica cosa di cui sono certa dopo aver provato a districare questo sistema complicatissimo è che nessuno paga in tasse più di metà del suo stipendio, e che tra le tasse pagate non ci sono solo i contributi pensionistici ma anche una enorme quantità di altri servizi garantiti dallo Stato, dalle Regioni e dai Comuni – tra i quali, tra l’altro, c’è l’erogazione degli stipendi che poi vengono tassati – molti dipendenti pubblici si lamentano delle tasse eccessive dimenticando che è solo ed esclusivamente grazie alle tasse che loro hanno uno stipendio. Uno dei casi di rimozione di fatti ovvi ma scomodi che sembra la forma mentis predominante in questo paese.
Se quindi un lavoratore percepisce più di metà del proprio stipendio precedente dai 60 ai 90 anni, e ha lavorato, mettiamo, dai 30 ai 60, cioè tanto quanto sta in pensione, mi sembra evidente che percepisce molto, ma molto di più di quello che ha versato. O sono scema io, o questo non è un paese che sa far di conto.
Una cosa che mi ha enormemente scoraggiata è che le uniche parole sensate sulla vicenda che io abbia sentito dal mondo politico sono state quelle di Elsa Fornero, che ha detto che evidentemente la Costituzione non tutela le generazioni giovani e future, e di esponenti del governo Renzi secondo i quali sarebbe iniquo restituire tutto, e quindi si comincerà a restituire partendo dalle pensioni più basse. È evidente che nessuno dei due poteva dire altrimenti: la Fornero si è già scusata per gli esodati, non può rinnegare tutto quello che ha fatto, e il governo non ha sedici miliardi in più da spendere per restituire tutto il cosiddetto maltolto, e questo i partiti di opposizione e i sindacati dovrebbero saperlo bene. Invece o non lo sanno, e allora sono degli incompetenti, oppure fanno finta di non saperlo, e allora sono disonesti, e quindi dal Movimento 5 Stelle a Fratelli d’Italia, dalla Lega a SEL, da Forza Italia a tutti i sindacati è un coro inascoltabile di: ladri!!! Ridateci i nostri soldi!!!
Ora, di nuovo:
– i soldi non sono dei pensionati ma del paese
– il debito italiano ha toccato un nuovo record, e la Grecia ci sta mostrando dettagliatamente cosa succede a un paese che si è indebitato troppo
– sedici miliardi sono tanti, ma tanti.
Se si deve restituire qualcosa, e io non penso sia giusto restituire niente, 1750 euro lordi potrebbe essere un limite ragionevole (si tratta di dare i soldi alle due fasce più basse tra quelle interessate, una delle quali percepisce 1088 euro netti al mese, l’altra 1196, e costerebbe 4,5 miliardi in tutto, fonte: uno specchietto del Messaggero Veneto del 7 maggio 2015). Ma sono l’unica a pensarlo, evidentemente. E finché Il Giornale, così ho sentito durante una rassegna stampa in radio, dedica una prima pagina ad ammonire che è sbagliato considerare chi ha duemila euro al mese “ricco” (vada a dirlo in Africa), scuoto la testa ma non mi aspetto altrimenti. Ma faccio davvero fatica a capire come sia possibile che i partiti di sinistra, o popolari come vorrebbero essere Lega e Fratelli d’Italia, e i sindacati possano impiegare così tante energie per chiedere soldi che lo Stato non ha per persone che, spesso senza averle versate, percepiscono somme mensili che per la maggior parte dei giovani sono un sogno irragiungibile – questo mentre il paese precipita nella povertà e nella disoccupazione cronica di massa.
Al già citato programma di Radio 3 di qualche giorno fa un pensionato ha lanciato la seguente proposta: io voglio rinunciare al rimborso a favore dei giovani, chiedo che sia possibile fare questa scelta. Molti hanno risposto dicendo che erano d’accordo, ma molti altri hanno risposto all’italiana, e cioè: “no, quei soldi sono miei”, “paghino i politici/corrotti/chiunque non sia io”, “io già aiuto i miei figli e nipoti”. Altri hanno telefonato dicendo cose tipo: prendo due mila euro al mese, non è chissà che ma non posso lamentarmi, posso anche fare a meno di ricevere il rimborso. Meglio che niente, ma un po’ poco: carità, non giustizia. E carità con soldi non propri: trovare un tesoro, conoscerne il proprietario e offrirsi di restituirgliene un po’. Solo un po’.
Ma i pensionati direbbero: eh no, mi si sta chiedendo di rinunciare a un diritto acquisito. Quei soldi sono miei!
Vorrei soffermarmi un attimo sul concetto tanto di moda di diritti acquisiti. I diritti sono un costrutto umano. Non sono un’estrapolazione delle leggi di natura e hanno una base religiosa solo in alcune loro formulazioni molto a grandi linee; inoltre non tutte le religioni hanno gli stessi principi e non tutti sono religiosi. Una parte dell’umanità ha elaborato i diritti come principi e linee guida, ma questo non significa che la storia non andrà mai avanti, che non saranno mai superati o che siano condivisi da tutti. Inoltre, entrano spesso in contraddizione e non possono essere rispettati tutti simultaneamente. Anche per chi li accetta in linea di principio, quando si tratta di applicarli presentano grosse difficoltà, e più si espandono più si ingarbugliano. Quando cozzano con i limiti fisici vanno rivisti: non può esserci il diritto all’acqua in un deserto.
Una società non può funzionare se non è disposta ad adattarsi. L’idea di diritto acquisito fossilizza parti della società fino, nei casi estremi, a soffocare tutto il resto. Le condizioni che rendono qualcosa possibile possono venire meno, e in quel caso onorare promesse passate può significare tradire il presente e il futuro.
Se noi garantiamo pensioni e vitalizi troppo generosi perché “ormai li abbiamo promessi” (questo è in parole povere il significato di “diritto acquisito”), indipendentemente da tutto il resto, e soprattutto dalla crisi economica e dai limiti delle finanze pubbliche, solo per tutelare un principo astratto che di fatto è diventato un privilegio, noi impediamo alla società di sopravvivere alla crisi. Una parte uccide il tutto. Concretamente: per tutelare le pensioni più alte dobbiamo rinunciare a molte altre cose, cioè un aiuto per chi rischia la povertà o ci è già caduto dentro, giovane o vecchio che sia, la sanità, l’istruzione, la manutenzione delle infrastrutture, e così via. Un aspetto che nessuno ha criticato, sempre che io sappia, in questo dibattito, è l’idea che le pensioni siano qualcosa di completamente avulso dal presente e dalla società. I pensionati sono vivi, sono in questo mondo, mangiano, si spostano, si curano, hanno famiglie, quindi dipendono completamente dalla società, eppure pretendono di non essere soggetti alle medesime condizioni di questa stessa società Questo mi pare molto strano e quasi folle. Come si può accettare di trovarsi in una situazione in cui non si contribuisce a mantenere un sistema, ma ci si aspetta che questo sistema continui a mantenere noi indipendentemente da se stesso?
Mi veniva in mente la storia biblica delle vacche grasse e vacche magre, in cui Giuseppe interpreta un sogno del faraone preveggendo sette anni di abbondanza e sette anni di carestia, e gli dà consigli su come accantonare parte del surplus in vista dei sette anni di scarsità. Poi mi immaginavo il pensionato biblico ultranovecentenario che andava dal faraone durante i sette anni di carestia a dire: “io ho un diritto acquisito alle vacche grasse: fuori le bistecche.” “Mi dispiace, sono rimaste solo vacche magre. Su consiglio di Giuseppe abbiamo risparmiato, ma ci serve per sfamare tutto il popolo.” “Sfamare il popolo?? Questo dovrai spiegarlo alla Consulta!”
Durante la trasmissione radiofonica di Radio 3 ho avuto più volte la tentazione di spegnere la radio perché era fisicamente doloroso per me ascoltare certe cose. Ho dovuto esercitare considerevole autocontrollo per riuscire a sentire fino alla fine quello che veniva detto. Vedere cosa pensa la società in cui vivo, che concetto di giustizia ha, a quali valori si ispira, è stata una tortura praticamente fisica. La parte peggiore è che sono sola in questa sofferenza: la mia posizione è di gran lunga minoritaria, mentre la difesa dello status quo, e quindi del diritto inalienabile a una pensione consumistica, è quasi un articolo di fede di questo paese.
Adesso dico una cosa su di me. Non tutti miei coetanei sono nella mia stessa situazione, la generazione è sbriciolata e ognuno arranca per sé, ma io ho calcolato che riesco a vivere con circa quattrocento euro al mese di media comprensivi di affitto, bollette, cibo, legna per scaldarmi, e qualche piccola spesa come la corriera per andare a Udine. Non posso comprarmi una casa né far fronte a imprevisti, ma se io riesco a sopravvivere con una somma del genere, com’è possibile che un pensionato, che ha avuto tutta la vita per risparmiare, che ha già preso la liquidazione, che ha avuto un’eredità, che gode di sconti su molti servizi e percepisce dai 1400 euro al mese in su, non ce la faccia?
I pensionati che conosco percepiscono tutti somme varie volte superiori a quella che spendo io. Certo, se sono parenti ogni tanto mi danno qualcosa, come viene costantemente ricordato nel dibattito: i pensionati sono l’unica fonte di sostentamento di molti giovani che non trovano lavoro o ne trovano solo sotto forma di sfruttamento. Ci si dimentica il fatto per me lampante che se i giovani non riescono ad andare avanti è anche perché tutti i soldi ce li hanno i vecchi. Quindi questa funzione di amortizzatore sociale, questa “generosità” dei pensionati, non è altro che il risultato di uno squilibrio a cui non si riesce a porre rimedio. Se i soldi fossero presi da chi ne ha e dati a chi non ne ha, con una redistribuzione sia di classe che generazionale, i giovani potrebbero investire sul proprio lavoro, sulla formazione o su qualche attività. Così invece prendono piccole elemosine e devono anche rendere conto di quello che fanno.
È estremamente umiliante dover ricevere soldi da nonni e genitori e non poterseli guadagnare da sé. La società dovrebbe tutelare tutti compatibilmente con principi non solo di carità, ma anche di equità e di interesse generale. Sono i giovani ad avere forza, energie, spirito rivoluzionario. Vanno messi in condizione di lavorare, investire, produrre, creare, e questo non può succedere finché sono costretti ad accettare lavori sottopagati e degradanti perché non hanno altro modo di sfamarsi, oppure elemosine dai più vecchi che bastano appena per vivere.
È urgente istituire un reddito minimo garantito in qualche forma – non i 780 euro mensili chiesti dal Movimento 5 Stelle, che sono troppi, ma qualcosa per permettere almeno di sottrarsi alle forme peggiori di sfruttamento e non essere costretti a rubare. Chiunque pensi che se si vuole un lavoro “basta cercarlo” non è mai stato disoccupato e non ha mai provato la disperazione di non trovare nulla o di dover accettare condizioni di sfruttamento assoluto pur di far qualcosa.
Alla fine, Renzi dice che per ora restituiranno cinquecento euro (gli piacciono le cifre tonde) a quattro milioni di pensionati, per un totale di due miliardi presi dal fondo che sarebbe servito per la lotta alla povertà, che quindi viene rimandata pur essendo molto più urgente. Se lo specchietto sopra citato è corretto e non mi sfugge qualcosa, questo significa che il limite per il rimborso, al momento, è 2500 euro lordi al mese (1857 netti), esclusi. Riassumendo: si rinuncia ad aiutare le moltissime persone in Italia che non riescono a pagarsi da mangiare, che non hanno fonti di reddito e sono veramente disperate, e a cui basterebbe una piccola somma almeno per sopravvivere, per dare dei soldi ulteriori a chi percepisce già tra i 1400 e i 2500 euro al mese oltre a godere di sconti e servizi. Non è finita qui. Quei 500 euro sono solo un antipasto: ci vorranno ben 11 miliardi di euro per restituire tutto alla fascia prescelta. Ci vorrebbero altri tre miliardi e mezzo solo per la fascia dai 3000 euro in su. Per questa restituzione parziale ci siamo giocati un intervento sulle povertà, e l’unica cosa che sindacati, partiti di tutto lo spettro e gentili pensionati trovano da dire è: fuori anche gli altri soldi.
Un paese così fa schifo. Fa schifo perché soffoca le sue forze più fresche, perché queste forze sono così intontite da non riuscire nemmeno a ribellarsi, perché nessuno si rende conto di dovere il suo benessere alla società e non soltanto a se stesso, e perché l’egoismo e la miopia hanno vinto ancora una volta.
Molti dicono che non è giusto trasformare questa questione in scontro generazionale. Però lo è. C’è uno scontro generazionale in atto e anche se non è bello dirlo è peggio far finta che le cose siano diverse da quello che sono. Faccio un piccolo esempio. Ultimamente è stato lanciato il progetto “Garanzia Giovani”, che finanzia esperienze lavorative, tirocini e studi di giovani prescelti presso aziende e istituti in Italia e all’estero. Sono già partite le prime proteste: molti giovani coinvolti dicono che i soldi non sono mai arrivati. Però quando si tratta di aumentare le pensioni (perché l’adeguamento è sostanzialmente un aumento), i fondi saltano fuori subito.
Certo, si potrebbero trovare quei soldi riducendo la spesa militare, la burocrazia, le grandi opere inutili, i costi della politica e mille altre cose. Peccato che questi tagli andrebbero fatti comunque, per ridurre il debito (soldi alle banche, non dimentichiamolo) e investire invece nella sistemazione di un paese devastato e nella tutela delle fasce più malmesse; peccato che tagliando queste spese si creerebbero ulteriori disoccupati che poi andrebbero in qualche modo risarciti, e risarcire costa.
Però di mezzo c’è una sentenza.
L’equilibrio dei poteri è fondamentale per il funzionamento di una democrazia, ma non è semplice farlo funzionare e adesso non sta funzionando. La rappresentanza sta saltando, un colpo dopo l’altro, il popolo è disinformato, gli esecutivi appaiono dal nulla senza legittimazione popolare, le leggi vengono fatte dai governi anziché dal parlamento, e le corti non sono immuni da corruzione pecuniaria o morale. La Consulta, come sottolinea il sito Lavoce.info, è un nido di privilegiati e strapagati: che questo possa influire sulle sue sentenze?
E, comunque, non mi sento vincolata eternamente da quello che è stato scritto nella Costituzione. La Costituzione è fatta da uomini e in quanto tale è fallibile; è nata guardando a un orizzonte di espansione, non di contrazione, in un momento storico recente ma molto diverso da quello attuale. Riconoscerne il valore storico e morale non significa considerarla immodificabile.
Forse il blocco delle rivalutazioni non era il sistema migliore, però qualcosa per ridurre le pensioni, partendo dalle più alte, va fatto, e in fretta. Mantenere livelli di pensioni così alti adesso significa solo perpetrare le iniquità. Non è solo una questione di conflitto tra generazioni, perché ci sono anche pensionati con la minima e giovani che prendono troppo; è una questione di conflitto generazionale che si sovrappone con conflitto di classe. Chi percepisce grosse pensioni, o anche solo pensioni medie, si gode la vita e spende per sé, ma quello che resta lo dà ai suoi parenti, che quindi saranno avvantaggiati rispetto agli altri, ai parenti dei pensionati più poveri, che già faticano a trovare lavoro e a guadagnare decentemente perché assumere costa e costa perché le tasse sono alte ed è anche colpa delle pensioni, e così il paese piano piano diventerà uno strano mostro in cui la ricchezza è concentrata in alcune famiglie e ai vertici della piramide generazionale, dove meno serve. Oppure, ed è forse più probabile, il paese crollerà sotto il peso del debito pubblico, della crisi economica, del dissesto fisico, della sovrappopolazione e dell’emergenza ormai ingestibile dell’immigrazione. Alcuni non ci faranno caso, perché la Consulta e i sindacati si sarano premurati di proteggerli fino alla tomba. Molti altri se ne accorgeranno, e si guarderanno in giro alla ricerca di mezzi per risolvere tutti questi problemi, ma non sarà rimasto più niente.