A come Aprire il cuore

Creato il 20 settembre 2013 da Stefania Cunsolo @stefystillwords

Gange, Varanasi


Il barattolo che conteneva un chilo di miele si è vistosamente svuotato negli ultimi giorni, segno che l'autunno (insieme ai miei adorati tè e infusi caldi) è arrivato. Le conseguenze più vistose sono, nell'ordine: abbassamento repentino di 10 gradi della temperatura, arrossamento e bruciore di gola ma, soprattutto, il temutissimo e famigerato cambio di stagione nell'armadio!
A volte vorrei essere Mary Poppins.
Invece della pillola con un poco di zucchero io ho usato la mia consueta omeopatia per curare il mal di gola (che è sparito in un paio di giorni) e ho provato a schioccare le dita perché i vestiti si mettessero a posto da soli, ma niente da fare. L'armadio è ancora lì, tronfio della sua estate.
In compenso nelle vetrine di Old Town e in DC ci sono già gli abiti di lana e le zucche di Halloween.
In questi giorni di quasi inverno, il cuore ha bisogno di essere un po' scaldato, onde evitare che la creatività si congeli e smetta di fluire nelle parole.
Uno dei posti più raggelanti in cui sia mai stata, capace allo stesso tempo di riscaldarmi il cuore, è l'India.
Nel corso del mio viaggio in India il mio sistema nervoso è stato messo duramente alla prova, in ogni senso.
L'udito: la mia misofonia, innanzi tutto, ha dovuto fare i conti con i rumori del traffico nelle strade, persistenti e incuranti di chi prova a dormire.
L'olfatto: provate a individuare, lungo la strada, quali sono le spezie e quali gli escrementi delle sacre mucche.
Il gusto: adoro il cibo indiano, ma provate a mangiare per quasi un mese cibo piccante e speziato e poi raccontatemi del vostro colon senza scendere nei dettagli.
Il tatto: la pelle è iper-stimolata, tra mosche che ti si poggiano ovunque, tra le rughe di un elefante e le mani ruvide di un bambino, dal cibo caldo (prasad) che si mangia con le mani ai freddi soldi che offri alla gurdwara dei Sikh nel Punjab, dal viso che punge per il freddo dell'alba sul Gange a Varanasi ai piedi scalzi al Tempio d'Oro di Amritsar, ammassati in fila alle tre del mattino, stringendosi ad altri sconosciuti essere umani.
La vista: si può aiutare ogni singolo essere umano sulla Terra, evitandogli di soffrire la fame e la mancanza di vestiti, risparmiandogli la vita che gli vedi passare per strada?

Varanasi, India


La risposta è no.
Il modo peggiore per liberarsi dai blocchi è combatterli. Il modo migliore per lasciare tutto com'è e non muoversi di un passo è volere cambiare.
C'è un momento, quando si praticano certe meditazioni di kundalini yoga in cui il sistema nervoso viene duramente messo alla prova, oltre il quale ti arrendi e non trovi più niente di cui lamentarti.
L'India fa questo.
Ai rumori ci si abitua, diventano parte del tuo silenzio, dopo un certo punto.
L'odore di sudore, escrementi, spezie, smog, viene processato esattamente come il nostro corpo, se sano, sa processare il cibo che ingeriamo: come entra, così esce. Cosa c'è quindi tanto da stupirsi di fronte a un po' di cacca? La facciamo tutti.
Oggi vivo negli Stati Uniti, ieri vivevo in Italia, e c'è una cosa che persiste: adoro il cibo indiano e lo mangerei in continuazione. Basta imparare ad ascoltare il proprio corpo: a volte è meglio non irritarlo, a volte gli serve proprio uno di quegli scossoni per funzionare meglio.
Stringersi ad altri sconosciuti esseri umani nelle fredde ore prima dell'alba: c'è qualcosa da aggiungere? Alle tre del mattino, tre ore in piedi in fila, tutti nella stessa unica linea verso il Guru, uguali col capo coperto e scalzi, per una preghiera, un inchino, una benedizione: faceva freddo, eppure il cuore era caldo e totalmente aperto.
Di fronte a un blocco creativo, di fronte a una pagina che sembra non volerne più sapere delle nostre parole, di fronte a una conversazione che non porta da nessuna parte, si può prendere un bel respiro e dire A. 
Inspirare profondamente e lasciare uscire la vocale "A" dalla propria voce, proiettandola dal centro del petto per tutta la durata dell'espirazione: qualche respiro così, qualche A, e il cuore si apre davvero, con grande sollievo per la mente.
Lo scopo è lasciare andare le fissazioni, spostare l'attenzione dal controllo (che la mente tende a esercitare) alla spontaneità (che è quella del cuore e, di sicuro, ha molto più a che fare con la creatività).
Per distrarre la mente si può anche prenderla per mano e portarla a spasso altrove, lontano dalla pagina o dalla conversazione: si può proprio cambiare argomento, oppure stare nella natura, guardare le vetrine, mangiare un po' di frutta, meditare, prendere a calci il sacco da boxe... quello che si vuole, ma prendendo le distanze dalla fissazione per un po'.
Così poi si può tornare alla pagina o al dialogo freschi come una rosa: accettando i blocchi, non ostinandosi a volere per forza finire il discorso, la creatività fluisce e la comunicazione è più chiara perché la mente riposa e lascia parlare il cuore. E il nostro interlocutore (lettore o ascoltatore) ringrazia.
C'è una cosa che, chiacchierando con un bramino a Jaipur, mi è rimasta impressa: a suo dire (non è un dato ufficiale, certo) il numero di persone che muoiono di fame in India è ridicolo se comparato agli altri motivi di decesso, perché nessuno rifiuta di dare qualcosa da mangiare a chi bussa alla porta. Ne va del loro karma.
Dare incondizionatamente è un altro dei modi per aprire il cuore. E per sentire che Dio si manifesta in noi piccoli esseri umani, persino con una semplice A.

Gange, Varanasi



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