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A cry for freedom

Creato il 11 marzo 2012 da Lundici @lundici_it

Il 1968 è un anno che la retorica della storia ufficiale mitizza ed eleva a sentimento comune, coscienza collettiva, come se in quel frangente l’essere umano
si fosse tutto ad un tratto svegliato e avesse percepito che la struttura dello status quo avrebbe dovuto essere modificata e modellata sul calco di un ordinamento più libero, più giusto, più equo.


Questa rubrica si ispira ai metodi di una corrente della storiografia che identifica le cause del divenire storico negli ampi movimenti economici, politici e sociali che trascendono i singoli uomini e/o che coinvolgono diverse generazioni.
Ogni contributo della rubrica riassume e “iconizza”, in antitesi con i dettami della scuola delle Annales, in un singolo fatto o personaggio l’accadimento descritto.Se volete contribuire, mandate il pezzo alla redazione.
A cry for freedom

Tommie Smith (sul gradino più alto) e John Carlos alzano il pugno alla premiazione dei 200 m. alle Olimpiadi di Città del Messico

Le immagini che simboleggiarono questo fermento mondiale (in realtà un fenomeno statunitense, poi globalizzato ante-litteram) sono quelle che venivano dalle buone università d’oltreoceano: studentelli, freaks, hippies o figli dei fiori che dir si voglia, piú o meno impegnati a sperimentare l’attivismo politico, le droghe, il sociale, le manifestazioni, il sesso, il ciclostile e il rock and roll.
Non ci soffermeremo sullo sfacelo che produsse la copia all’italiana di questo movimento, una generazione perduta che ancora asfíssia lo Stivale ormai putrefatto.

Ci interessa invece ricordare che la causa di tanto attivismo e partecipazione fu la condizione dei neri, dei negri, dei “niggers” in quei tempi di espansione imperiale capitalista, inizio della felicità del consumo e atterraggi sulla Luna. Il “movimento del 68” o come lo si voglia chiamare, nacque infatti nei primi anni ‘60 proprio come “movimento per i diritti civili” negli USA, impegnato principalmente nella denuncia dell’ipocrita segregazione razziale ancora radicata in ampi settori della società a stelle e strisce.

Solo nel 1963, per esempio, lo stato dello Utah aboliva la legge che proibiva i matrimoni misti: era infatti vietato ad un “white” sposarsi con un  negro (Black American) o un mulatto (metà nero) o “quadroon” (un quarto nero) o un  ”octoroon” (un ottavo nero).

La società americana ribolliva unita e divisa: il movimento per i diritti civili e quel che ne seguì divennero sempre piú appannaggio dei bianchi WASP, Malcom X e Martin Luther King Jr. venivano uccisi violentemente e le ideologie “black power contribuivano a modellare una nuova coscienza di sé dei Black Americans USA.

Oggi sono passati 43 anni, 5 mesi e un numero imprecisato di giorni dalla rappresentazione piú normale e allo stesso tempo piú forte di questo conflitto razziale. Un negro texano e uno di Harlem che lasciano una traccia fissata nella fotografia, alcuni segni in filmati rovinati e sgranati ma, avrebbero salmodiato i semiologi di quegli anni, iconici.

Il pugno chiuso e coperto dal guanto nero, la faccia reclinata in basso
mentre le note di “The Star Spangled Banner” rintoccavano retoricamente, come solo l’inno degli americani sa fare, nello stadio olimpico di Città del Messico, durante l’Olimpiade del 1968. Il gesto che si affastellò nel deposito denso della crisi del conflitto interno americano: quei pugni avvolti in guanti di pelle neri, ficcati nell’aria e fiaccanti la medesima, in alto verso il cielo, fieri. Il gesto che, ripetiamo, divenne poi il simbolo del riscatto dei blacks e delle loro lotte.

Tommie e John sono stati e sono ancora il simbolo di rivalsa per moltissimi oppressi, e il loro gesto, la rappresentazione, l’icona e l’ispirazione per milioni di coloured in tutto il mondo. Persone che non volevano o molto piú probabilmente non potevano complicarsi l’esistenza con la militanza e la rivendicazione, potevano e possono riassumere il loro disagio, la loro lotta guardando una foto.

Il talento di Tommie,  corridore capace di tutto: correre i 200 metri sotto i venti secondi, e correrli anche nella distanza doppia, quattrocento metri, e sempre con il record mondiale, quarantaquattro secondi e cinquanta centesimi. E anche quello di John, il piú politico, militante fra i due, che sfregia il rigido protocollo della premiazione olimpica slacciandosi la giacca della tuta in segno di solidarietà con i “blue-collar workers” (come disse poi, sia neri che bianchi). Entrambi scalzi, forse per rappresentare la povertà che andava di pari passo con la segregazione sofferta dai loro fratelli.

Non ultimo in quanto a coraggio, tra i due, c’era l’australiano Peter Norman, che si appuntò al petto, sorretto da un gagliardo stile di solidarietà, una spilla dell’”Olympic Project for Human Rights”,  il Progetto olimpico per i diritti umani. Tutti e tre furono redarguiti, rimbrottati, martirizzati dalle loro rispettive federazioni sportive, ottuse nel seguire il motto, sempre tetragono, dei panni sporchi da lavare in famiglia. Risultato: a Peter Norman andò poco meglio, fu solo umiliato e sgridato dalle alte sfere australiane – come osi essere solidale con due che non contano niente? – John  Carlos e Tommie Smith espulsi dal Villaggio Olimpico per aver commesso un’azione che oltraggiava l’Olimpiade e il loro Paese d’appartenenza, o forse per aver detto semplicemente la propria opinione. Nel video sotto, Smith però dice anche che probabilmente Norman avrebbe fatto di piú, ma che venne escluso dal “gesto”.

Tommie e John fecero quindi la fine scritta dei reclusi della Storia che alzano la testa. Emarginati dalla società che avrebbe dovuto concedere loro il merito della presenza. Invece niente, solo interviste nei seguenti anni quando come dice uno straordinario personaggio interpretato dal grande Philp Seymour Hoffman nel film “Almost Famous” “La guerra è finita, ha vinto il nemico. Hanno vinto loro!”. Proseguirono, entrambi, una vita scossa anche da minacce di morte, da perseguitati del Ku Klux Clan, e comunque una vita  “piana”.

Tommie e John hanno insegnato che manifestare e difendere la propria opinione può portare a gravi conseguenze: sarai escluso (forse), sarai visto come uno a cui non va bene mai niente, guardato a vista dal conformismo che si scandalizza, e tutte le cose saranno più difficili da raggiungere. Ma hanno avuto il coraggio di non farsi spaventare e inscenare e fare la storia, ad un prezzo altissimo. Ma  questo, signori, oltre a non avvizzire il cervello, è il prezzo della libertà.

Nelle stesse parole di Tommie, “a cry for freedom”.

BBC4 interview


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