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A dita libere

Da Miwako
Riprendere a scrivere, a respirare, a scrivere e respirare.Anche a fare le lavatrici, comprare asciugamani e un asciugacapelli, cucinare e suonare l'ukulele. Il resto, però, lo sto facendo tutto. Mi alzo prima per fare una doccia, lavarmi i capelli o semplicemente perchè voglio godermi uno spicchio di mattino in più.Poi vado ad aprire la libreria, metto la musica, avvio i computer, sistemo i libri.Servo i primi clienti (e anche quelli dopo) col sorriso indomabile che mi si attacca in viso da quando sono nata.Curo il facebook della libreria, rispondo ad alcune richieste, aggiorno il sito con foto ed eventi. Corro in posta prima che chiudano, carica di spedizioni, col mio francese stentato e sdentato.Torno, a sistermare il carico di libri arrivato poco prima, a postare su FB l'evento del giorno dopo, a raccogliere le copie de "La collina del vento" per andare alla presentazione di Abate.Prendo la macchina di boss n.2, e guido nella Bruxelles superaffollata delle sei in zona Commissione.Piazzo, conosco, ascolto, vendo, raccolgo e riparto verso la libreria.Saluto tutti e mi precipito al live music cafè. Ci sono quei due gruppi arrivati da un pezzo dall'italia ed io sono l'unica dell'associazione che può andare a dare una mano prima degli altri.E vado, certo che vado.Anche lì, conosco, ascolto, parlo, faccio, chiedo, provo a risolvere i problemi, sempre col mio francese sdentato.
Qui i negozi chiudono alle sei, fatta eccezione per i supermercati che concedono la grazia delle 7.30/8 (addirittura 9 se si è in una zona in cui il senso del commercio è un po' meno belga della media). Lavorando -al momento- 45 ore a settimana è dura pensare di poter fare qualcosa che non sia la spesa.I giorni in cui me la cavo un po' prima, o in cui ho tre ore buche nel mezzo della giornata, vado a Porte de Namur e compro roba che non è di primaria necessità ma che, in qualche modo, riguarda cose che vorrei fare.E allora stoffa per cucire, libri da leggere, carta di riso da sporcare con la china, pennini et similaria.Le domeniche le passo fuori, a stancarmi quasi come quando lavoro ma di una stanchezza diversa, rilassata. Giro per brocantes, insieme ai belgi e ai turisti, ad annusare quell'aria di scantinato un po' ammuffito che c'è nei mercatini di Bruxelles. La roba non è nè pulita, nè presentata in maniera appetibile; il più delle volte è accatastata alla bell'e meglio o stesa su un lenzuolo a fiori senza alcun criterio.Come in ogni brocante che si rispetti c'è roba incredibile a prezzi incredibili, in ognuno dei sensi in cui questa frase è interpretabile.Sono stata capace di tornare con un arcolaio.Che non si può dire propriamente che mi serva (probabile non servisse nemmeno ai suoi precedenti proprietari, visto dove si trovava e vista la natura peculiare dell'oggetto).Non l'ho neppure comprato, l'hanno abbandonato alla fine di un mercatino, probabilmente stufi di portarselo appresso e incapaci di trovargli un padrone disposto a pagare per averlo. Fanno così in Belgio. Le persone lasciano per strada le cose che non vogliono più, così chi vuole le può prendere.Ed io l'ho preso.Memore del fascino causato dalla vista dell'arcolaio disegnato nella versione cartacea de "La bella addormentata", non sono stata capace di lasciarlo dov'era, mi sarei sentita come se avessi voltato le spalle ad un frammento d'infanzia trovato per caso in mezzo a del ciarpame.Così ora è qui, vicino al letto, usato come supporto per un mappamondo rotto e per le mie collane.Dove vivo ora ci sono due gatti. Non ho mai vissuto con due gatti. E nemmeno con una maman avec deux enfants. La casa è grande, quattro piani, scale strette e scricchiolanti, di legno, col portone di casa vagamente scardinato, la stanza dei bambini subito sotto la mia, e quella della coinquilina che non parla una parola d'inglese a fianco. I bambini sono qui una settimana su due; fanno la spola, un po' qui un po' dal papà. Io e la grande ci intendiamo; il piccolo invece non mi sopporta, ed io non posso farci niente. Dalla finestra del pianerottolo, giunti all'ultima rampa di scale, si vede il retro di queste trincee di vecchie maisons bruxelloises, gli alberi che si allungano fino al cielo, le terrazze riempite di panni fino all'inverosimile quando il sole pizzica un pochino, quella specie di capanna costruita dagli Ebrei che vivono dirimpetto e che si preparano a festeggiare il Sukot. A volte torno a casa, dove F. è ancora sveglia e mangio pancakes fatti dai bambini mentre ci raccontiamo le rispettive giornate. A volte capita di stare sedute per terra, in cucina a guardare vecchie foto dei suoi viaggi o a parlare. Altre volte non ci incrociamo per giorni, e allora le lascio un bigliettino sulla porta, attaccato con un cerotto. La situazione è surreale, piacevolmente surreale.Sto molto bene, amo questo lavoro, mi piace questa città e questa vita che, incespicando, inizia comunque a prendere forma.
Penso che bisognerebbe espatriare almeno una volta ogni cinque anni. Mettersi in difficoltà, sentirsi frustrati, aver voglia di piangere, non sapere e voler imparare; fa bene al cuore, alle ossa e allo spirito.
Chiudo questo post rivolgendomi direttamente a te.Ho provato a chiamarti. Avrei voluto parlarti, nel giorno del tuo compleanno, sentire la tua voce, sapere come stai. Capita che questi benedetti 1200km siano effettivamente un ostacolo alla comunicazione. Perciò ti scrivo qui, dove forse passerai a curiosare in questa vita di cui scrivo troppo poco.Nel pensiero, nel cuore, sai che io sono con te. E sai anche quanto voglia la tua felicità. Auguri fagiolina, auguri di cuore. Vorrei dirti mille cose, ma me le tengo dentro ancora un po', fino a che non saremo io e te da un capo all'altro del telefono.Mi raccomando, non farmi preoccupare e vienimi a trovare.Ti voglio bene.


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