John è reduce dall’esperienza terribile del manicomio, dove è stato ricoverato negli ultimi due anni su richiesta di sua zia Marta, la cui sorella (madre di John) si è suicidata.
Il giovane dopo la morte della madre era scappato e aveva girovagato per l’Europa, vivendo di espedienti e furti. Arrestato, era stato condotto davanti ad un giudice che ascoltata la zia aveva disposto il suo internamento in un istituto psichiatrico.
Qui il giovane aveva vissuto macerato dall’odio e dominato dal desiderio di vendetta fino al giorno in cui un giudice aveva deciso la sua temporanea scarcerazione e l’affidamento a sua zia Marta, unica parente che vive in una splendida casa con le tre figlie.
La donna che vive su una sedia a rotelle conseguenza di una paralisi in realtà odiava profondamente la sorella, alla quale rimproverava una condotta a suo modo di vedere profondamente immorale.
Così John arriva nella splendida casa di Marta, dove ad accoglierlo ci sono anche le cugine Therese (che disprezza John), Esther (che prova attrazione e affetto per lui) e infine Maria che fa da contraltare alle due sorelle; la ragazza infatti prova sentimenti contrastanti per suo cugino, con il quale ha avuto rapporti sessuali durante l’adolescenza.
In questa atmosfera John, che è profondamente provato dalle sue esperienze precedenti, prepara quella che dev’essere la sua vendetta nei confronti di quella famiglia che ritiene responsabile delle disavventure sue e di sua madre.
Non a caso, all’uscita dall’ospedale psichiatrico, John ha portato con se due vecchie foto, simbolo del suo legame con il passato e anche memoria futura per non dimenticare l’accaduto.
Trova un lavoro, all’interno di un mattatoio, dove assiste alla macellazione di animali e alla fine del lavoro presa la sua paga comunica al proprietario che non tornerà più, in quanto non ha più nulla da imparare.
E’ una rivelazione di quella che è la sua strategia per la vendetta.
Iniziano così i meticolosi preparativi per la vendetta, ma il giovane cosa farà davvero?
Questa la trama (per tre quarti) di un film molto particolare, un horror metafisico che si distingue da molti altri prodotti del genere per un’accurata preparazione, per un’atmosfera plumbea e di attesa che fa da preludio ad un finale davvero sorprendente e che non svelo proprio per lasciare allo spettatore il gusto di seguire le vicende di un giovane che al primo apparire da la sensazione di essere un folle, ma che è viceversa personaggio ricco di sfumature.
Claudio Guerin Hill, regista del film A due passi dell’inferno, molto popolare in Spagna con il titolo La campana del infierno e nel resto del mondo come A bell from hell dirige un ottimo film denso di atmosfera e a tratti angosciante, usando spesso i topos tipici della cinematografia horror ma con una padronanza del mezzo tecnico davvero impressionante.
La storia si sviluppa in maniera angosciante man mano che prosegue nel suo lento e sepolcrale svolgimento, tra boschi immersi nella nebbia e atmosfere piovose lugubri come quelle dei film vampireschi, ma con un occhio di riguardo alla lucida follia di John, in un gioco delle parti dove è praticamente impossibile stabilire chi siano le vittime e chi i carnefici.
L’inizio stesso del film sembra fatto apposta per immergere lo spettatore in un’atmosfera inquietante, con la MDP che mostra il lavoro di John intento a costruire un calco del suo volto, prima di inquadrare la faccia stessa deformata in un ghigno diabolico; a seguire, vediamo John alle prese con le dimissioni dall’ospedale mentre ritira i suoi effetti personali e strappa la foto della cugina davanti allo sguardo perplesso dell’anziano addetto.
In un’atmosfera sempre più angosciante, seguiamo il giovane alle prese con l’album di foto che ricordano un passato anche felice, in netto contrasto con l’ambiente lugubre, scarsamente illuminato e silenzioso in cui si trova. Poi, via via, il lavoro al mattatoio, la campana in bronzo issata sulla chiesa del villaggio, l’ingresso delle tre giovani sorelle in un’atsmosfera resa livida dalla nebbiolina e dalla pioggia mentre John è a tavola con lo psicologo e con sua zia Marta, il registratore a bobine sul quale John ha registrato la voce di Maria, la chiesa del villaggio con i due campanili, ripresa per un minuto nel silenzio più assoluto e sempre immersa nell’atmosfera liquida e ansiosa che pervade la pellicola,il beffardo e finto tentativo di stupro di Maria da parte di tre cacciatori, il folle scherzo cinematografico di John che finge di strapparsi gli occhi e via via tutte le sequenze che si alternano sullo schermo.
Come sfondo, una musica lugubre appena accennata.
Il sole è una rarità, così come non ci sono scene naturali che mostrino una natura quieta e tranquilla; anche quando il giovane è vicino al mare, lo stesso è agitato e si infrange sugli scogli con formidabile violenza.
E’ in questo momento che Guerin sceglie di simboleggiare con l’immagine della natura in tempesta quello che evidentemente si agita nel cuore di John, che vediamo scavare una fossa mentre una nenia infantile assolutamente incongrua si sostituisce all’organo.
Lentamente, ma inesorabilmente, il film si inerpica verso la parte centrale del racconto, sempre spiazzando lo spettatore con quelli che sembrano gesti folli di un John che è ripreso anche mentre all’interno del mattatoio sistema i ganci scorrevoli usati per appenderci il bestiame in attesa di essere squartato.
Il regista è lento metodico e ossessivo anche quando riprende il giovane a tavola con la zia e con le cugine immerso in dialoghi freddi e senza sorrisi; introduce anche un elemento che sembrerebbe normalizzare gli eventi quando mostra John spingere la carrozzella di sua zia Marta in giardino e offrirle un fiore, simbolo di una riappacificazione assolutamente falsa.
Il finale devo ometterlo, come già detto, ma conferma l’ottima struttura mantenuta fin dall’inizio; il giovane attore Renaud Verley che interpreta John da al suo personaggio nel corso del film sfumature che permettono di cogliere solo in parte i travagli dell’animo che agitano John, contribuendo in maniera determinante alla riuscita dell’impianto narrativo, così come la recitazione di Viveca Lindfors rende particolamente affascinante il personaggio dell’ambigua zia Marta.
Molto bene Maribel Martín, Nuria Gimeno e Christina von Blanc rispettivamente nei ruoli di Esther, Therese e Maria; il resto del cast fa professionalmente da contorno.
A due passi dall’inferno ha avuto da subito la fama di film maledetto.
A contribuire in maniera determinante ci fu la morte sul set del regista Claudio Guerin, che nell’ultimo giorno di riprese cadde dal campanile dove stava girando le ultimissime riprese.
Una morte davvero singolare, almeno come raccontato da chi era presente sul set.
Pare che Guerin stesse iniziando le riprese quando il suo assistente gli chiese 5 minuti per cambiare le impostazioni delle macchine da presa. Guerin acconsentì e salì sul campanile. Sembra che la campana abbia suonato all’improvviso facendo perdere l’equilibrio al regista, che precipitò al suolo.Alcuni dei presenti, convinti si trattasse di un espediente di scena applaudirono, ma ben presto si resero conto che non si trattava di un trucco scenico. Quando accorsero sul posto dove Guerin era caduto, poterono solo constatarne la morte.
Aveva solo 34 anni e sicuramente prospettive eccellenti, come del resto già si era notato dal film precedente del regista stesso, quel Un solo grande amore con protagonista la nostra Ornella Muti uscito nel 1972.
Per chi volesse seguire la ricostruzione degli ultimi drammatici momenti di vita del regista, consiglio questo video disponibile su You tube all’indirizzo http://youtu.be/2q3gThdMLMc in cui il programma spagnolo Cuarto milenio suggerisce quella che è l’ipotesi più probabile slla sua morte.
Le ultimissime scene del film vennero riprese da Juan Antonio Bardem, che per rispetto a Guerin non figura nemmeno tra i crediti; qualcuno probabilmente ricorderà Bardem per L’altra casa ai margini del bosco.
Un film che consiglio, aldilà delle speculazioni sulla sua fama maledetta e su tante ipotesi soprannaturali seguite alla tragica morte di Guerin; un film claustrofobico e funereo nel suo svolgimento come raramente mi è accaduto di vedere.
A due passi dall’inferno
Un film di Claudio Guerin Hill. Con Renaud Verley, Viveca Lindfors, Alfredo Mayo, Christine Betzner Titolo originale La campana del infierno. Horror, durata 106 min. – Spagna, Francia 1973.
Renaud Verley … John nella versione inglese, Juan in quella spagnola
Viveca Lindfors … Marta
Alfredo Mayo … Don Pedro
Maribel Martín … Esther
Nuria Gimeno … Teresa
Christina von Blanc … María (as Christine Betzner)
Erasmo Pascual …Il prete
Susana Latour … La madre di John
Regia: Claudio Guerin Hill
Soggetto:Santiago Moncada
Produzione: Robert Ausnit, Claudio Guerín, Luis Laso
Musiche: Adolfo Waitzman
Editing: Magdalena Pulido
Costumi: Maiki Marín