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A gentile richiesta (L'uomo calvo...)

Da Bartel
A gentile richiesta (L'uomo calvo...)E' stato liberatorio uscire dalla sala, surriscaldata dalle emozioni di quell'umanità perduta, salutare frettolosamente, beccarsi qualche pacca sulla spalla e ritrovarsi a camminare alla luce dei lampioni. Smetto di essere uno dei tanti e  torno ad essere io. E non è bello. Non so più scrivere. Quindi sono normale. Quindi i miei giorni saranno finalmente tutti uguali. Figa e soldi, soldi e figa. Mi incammino verso la metropolitana con una pietra nel petto, respiro a fatica l'aria del traffico serale. All'improvviso una mano sulla spalla.  Mi volto di scatto e sento che il mio cuore galoppa. "Ciao Bartel...ti ricordi di me?"
L'uomo è calvo, rasato, alto quanto me, un pò sovrappeso e ha due grandi occhi scuri circondati da tristezza notturna.
"Allora non ti ricordi?"
Nel mio archivio c'è un gran lavoro per confrontare quegli occhi e quella voce con quelli siglati con il nome "amici", sottosezione scuola elementare, media, liceo, università, lavoro...niente. Poi si passa al file "conoscenti" , sottosezioni quartiere, poi metropolitana, supermercato, villaggio vacanza...ho saltato la sezione "nemici", quelli sono pochi e me li ricordo benissimo."No...mi spiace...". Lo guardo meglio e osservo la piega amara e delusa che gli si forma ai lati della sua bocca quasi femminile. Sul mento la fossetta centrale diventa più evidente...BANG!
Fossetta, mento, barba, prima barba, rasoio a lametta wilkinson, acqua calda, quindici anni, tagli, orgoglio virile, la linea del mento, il mento, il mento di Joshua l'ebreo che aveva più barba di tutti...
"Joshua!"
Joshua l'ebreo sorride. Mi ritrovo abbracciato ad un uomo calvo sotto un lampione nella zona impalpabile che separa la sera dalla notte. E' l'uomo calvo che si mordeva il pugno in prima fila. E' Joshua , noi lo chiamavamo l'ebreo perchè quella era la sua religione, non era un peiteto razziasta. Nella mia combriccola c'eravamo io, Joshua l'ebreo, Marty il grasso, Silver la puzza, Ted lo zoppo, e altri tre-quattro appartenenti ad una immmaginaria corte dei miracoli. Io ero Bartel la forfora. Non c'era cattiveria nei nostri soprannomi, solo sfottò, eravamo tutti uguali e amici.
Lo tengo per le braccia e lo allontano da me sorridendogli.
"Joshua...Jo, che ci facevi li? Ma da quanto tempo? Ma dimmi..."
Lui mi riabbraccia felice. Io mi guardo intorno imbarazzato.
"Bartel, Bartel, come sono felice...lo sapevo che eri tu...lo sapevo! Sono due mesi che vado li...sono due anni che non scrivo..."
Me lo dice a capo chino senza guardarmi in viso. So di cosa parla e so anche cosa non mi dice.
"Jo, è un brutto periodo per tutti...coraggio....."
"No Bartel, no tu non capisci...senti ora devo correre a casa..."
Si fruga nelle tasche, estrae il portafogli e da questo un biglietto da visita che mi allunga. Mi prende la mano destra e me la chiude intorno al biglietto.
"Scusa Bartel, devo andare, scusa è tardi...."
I suoi occhi smarriti mi guardano un attimo, il tempo di una pacca sulla spalla poi si volta e trotterella via. Resto fermo dotto la luce del lampione e lo osservo andare via . Dopo cinquanta metri si volta una frazione di secondo e sparisce dietro un angolo. Sono tentato di corrergli dietro, non capisco questo repentino cambio d'umore, ma nella mia vita non capisco molte cose, quindi un apiù una meno non fa differenza. Mi ricordo del biglietto e apro la mano. Le lettere del biglietto sono elegantemente inclinate. Joshua Levi. Tassidermista. Joshua fa l'imbalsamatore. Non l'avrei mai detto. E poi a cosa servono gli imbalsamatori al giorno d'oggi?

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