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A love story. Capitolo 2: l’eterno Capodanno

Creato il 27 agosto 2011 da Naimasco78

Non esiste un momento giusto per dirsi addio. Non esiste un’età, nè una stagione. Nessuno riuscirà mai a dire al proprio compagno: “Ecco, adesso sono a posto. Puoi lasciarmi”. Per una storia che finisce o per un matrimonio che salta, i figli sono sempre troppo piccoli o troppo fragili, al lavoro è sempre un momento di notevole stress e ci sarà sempre in famiglia una situazione che ti porterà a dire: “proprio adesso, non poteva scegliere momento migliore”. Evidentemente l’andamento delle storie d’amore avanza di pari passo alla teoria della collana di perle: quando se se ne sfila una si sfilano tutte. Quindi i momenti difficili non sono mai determinati da un problema solo, ma da una serie di eventi sfortunati che sembrano accanirsi solo e unicamente su una persona sola. D’altronde però, la vita è fatta anche di questo, da momenti belli che si alternano a momenti duri e la difficoltà vera sta proprio in questo: nel saperli affrontare. E qui arriva il bello, per modo di dire, cioè il nodo della questione: non tutti sono in grado di affrontare le difficoltà che la vita ti propone, in un susseguirsi di corse ad ostacoli e percorsi da addestramento del corpo dei marines. Chi si ferma è perduto, si è soliti dire, chi non ce la fa, cade. Ma qual è il vero campo dove tutto viene messo continuamente alla prova? I rapporti di coppia, che come delle spugne assorbono le ansie, i problemi, e li rilasciano sotto forma di dubbi. Al primo intoppo sono proprio i rapporti a rimetterci, sono la prima cosa in assoluto che viene messa in discussione. Umberto Galimberti, nel suo saggio “Le cose dell’amore” sostiene che il problema sia di percezione: nel senso che tendiamo sempre a trovare problemi esterni per giustificare una eventuale crisi di coppia, ad esempio l’entrata in scena di una terza persona, i figli che assorbono totalmente l’energia delle donne trasformandole troppo in “mamme”, un lavoro eccessivamente impegnativo, ecc…

Stesso discorso, se visto dall’altra parte. Un rapporto a due sembra funzionare se c’è passione. Solo la passione viene considerata il motore trainante: se la passione svanisce, allora non rimane più nulla. Ma come si risolve il problema se, come dice Galimberti, la passione è nemica del matrimonio in quanto alimentata da un’altissima componente di imprevedibilità, mentre la primaria essenza del matrimonio è per forza di cose la certezza che risiede nella banale e ordinaria quotidianità? Ovvero, è possibile creare un perfetto equilibrio tra la variabile passione e la costante certezza? Se avete un po’ di tempo da perdere e volete investirlo in un costruttivo sondaggio sottoponendo ad un campione di popolazione la suddetta domanda, vi accorgereste con non poco scoraggiamento che il “no” vincerebbe quasi a suffragio universale. Il luogo comune per antonomasia è “il matrimonio è la tomba della passione” che diventa una specie di mantra per quella deliziosa schiera di uomini dai quaranta ai cinquant’anni in rilancio che vivono la liberazione dal matrimonio come una vera e propria “rinascita della fenice” e che non vedono l’ora di togliersi questo bruciante e maledetto anello dal dito compiendo dei veri e propri riti di purificazione dalla vita di coppia. “Si è spenta la fiamma” dicono questi nuovi yuppies in giacca e blue jeans, scalpitanti dal desiderio di riaprire la stagione della caccia. Perchè è questo, fondamentalmente, che manca alla abitudinaria vita di coppia: la caccia, la possibilità di nuovi incontri che possano riaccendere quella curiosità, che aggiungano pepe alla monotonia della vita a due. Sono così desolata nel sentire che chiunque, anche i meno sospettabili, siano potenziali soggetti a rischio e possano da un momento all’altro subire il richiamo delle sirene di Ulisse; doveva esserlo anche Woody Allen, all’epoca, poco sospettabile…

A love story. Capitolo 2: l’eterno Capodanno
Nel giro di pochi mesi sono venuta a conoscenza dell’irrimediabile destino di due coppie, due uomini e due donne, che per un niente, un transitorio bisogno di leggerezza, hanno deciso di buttare all’aria una vita assieme. Quando è una terza persona a subentrare nel binomio coniugale è sempre troppo difficile mantenersi fermi sulla carreggiata, ma si comincia a pensare che forse l’altro è in grado di regalarci ancora quella magia, quell’avventura che vedevamo così lontana ormai, anni luce. L’immaturità ci porta a pensare di dover per forza assaporare ogni occasione che la vita ci propone, ogni attimo fuggente, per sentirci vivi e per poter dire che stiamo vivendo la vita come deve essere realmente vissuta. Ma siamo così sicuri che la vita debba essere vissuta a tutti i costi in maniera egoistica a scapito di chiunque ci stia attorno, figli, compagno, ecc…? Oppure siamo noi che non siamo in grado di accettare il fatto che non siamo capaci di costruire l’avventura e la novità all’interno del rapporto di coppia stesso, giustificando quindi l’avvento della noia e la dispersione dei sentimenti sempre con un’accezione fatalista? Evidentemente le persone pretendono che la vita di coppia sia un eterno Capodanno, e l’amore lo spumante di mezzanotte. Personalmente, a me di Capodanno ne basta uno, una volta all’anno. Per il resto, una birra e due chiacchiere sono sufficienti a farmi sentire una persona felice.



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