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Purtroppo non è una sciocchezza passare sopra ad un paio di irrigidimenti che si presentano immediatamente nella storia: le due sorelle si siedono al tavolino con uno sconosciuto, quella grassa (il titolo inglese è Fat Girl!), Anaïs, si ordina un mega gelato, quella magra, Elena, inizia a limonare col tipo. L’intenzione è quella di chiarificare da subito quali siano le prospettive, Anaïs è la pre-adolescente ingombrante che si perde in cantilene da far invidia a Schopenhauer e passa da un paletto all’altro come fossero amanti invisibili, Elena è la sorella che sebbene filiforme riesce ad oscurarla con la sua naturale bellezza, ciononostante quello a cui assistiamo è un’improbabile approccio maschile, che tra l’altro riesce, con una grande cifra irrealistica. Bisogna lavorare fin da subito oltre il mero piano della diegesi, e tale atteggiamento va tenuto anche nel prosieguo dell’opera.
Anzi, la scena più lunga di una pellicola piuttosto breve, necessita di una riflessione che va oltre la rappresentazione della Breillat. Si ascolta un dialogo tra Fernando ed Elena imbevuto di luoghi comuni dove lui è il maschio italico con una lunga carriera amatoria alle spalle mentre lei è una sedicenne ancora vergine che pende ripetutamente dalle sue labbra. In successione si odono tutte le manfrine più subdole e scontate per poterla deflorare (“con te sarà diverso”, “ti insegnerò cos’è l’amore”), e quando Fernando realizza che il foro vaginale, considerato – a torto – la via immediata per arrivare a una donna non è praticabile, opta per quello anale (“non ti preoccupare lo fanno tutte”) mentre Anaïs è lì a due passi che sente tutto. L’abuso di siffatti cliché rende questo segmento filmico quasi fastidioso per la sua arida superficialità e innaturalezza nello svolgimento, il quale sottende però chiaramente una stigmatizzazione del comportamento maschile nei confronti di una personalità vulnerabile a lui assoggettata. Insomma, è nuovamente necessario distaccarsi dalle immagini e concentrarci su ciò che c’è dietro.
In un quadro solondziano, ma se il film avesse avuto un pizzico in più di amara ironia come è d’uso nel cinema di Solondz sarebbe stato meglio, la figura di Anaïs, sempre denudata di fronte alla mdp per renderci partecipi della sua poca grazia, subisce letteralmente l’amore estivo di sua sorella tanto da dire che la prima volta sarà con un uomo che non ama, e i suoi singhiozzi con la coppia che fa sesso in secondo piano sono l’immagine più dolente dell’opera.
Ma essendo questa una storia tra due “innamorati” si obbliga automaticamente a mostrare anche il momento divisore che separa Fernando e Elena, ed è una spiegazione ben poco plausibile dove il dono di un anello provoca le ire della mamma di casa. Senza soffermarci sulle forzate motivazioni del rientro in Francia, la famiglia senza padre, gli uomini sono praticamente estromessi da tutta la pellicola, si avvia su un’autostrada in cui la macchina contenente le tre donne sembra dover essere schiacciata da un istante all’altro da enormi camion attraverso una sequenza gestita con maestria dalla regista che crea una cappa tensiogena frantumata dall’epilogo inaspettatamente brutale ed eccessivo ma forse proprio per questo ancora più esplicativo: l’età del disincanto giunge nella boscaglia con il corpo pesante circondato da foglie secche (“non farmi del male…”), fermo immagine sul viso di Anaïs, quella non è più una bambina, è diventata una donna.
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