A pensare male si fa peccato, e non ci si azzecca
Qualche giorno fa è apparsa su Twitter un’immagine pubblicata da @DesignTimes, che puntualizza: “No comment necessary”.
La foto mostra alcuni ragazzi che fissano gli smartphone al Rijksmuseum di Amsterdam, accanto al dipinto di Rembrandt “La ronda di notte”.
Trarre conclusioni frettolose è semplicissimo.
Soprattutto grazie allo sfavillante mondo dell’informazione che ci bombarda ogni giorno con, nell’ordine: mancanza di valori, disinteresse nei confronti del sapere, incapacità di concentrazione e mancanza di abilità sociali delle nuove generazioni.
E’ talmente convincente che quasi quasi crediamo davvero che “Presto le vecchiette aiuteranno gli adolescenti che chattano ad attraversare la strada” (cit).
E se invece non fosse così?
Supponiamo, ad esempio, che i ragazzi non stiano chattando su WhatsApp ma stiano leggendo informazioni sulle opere, magari attraverso la app che il museo mette a disposizione.
E mettiamo che sia stato proprio l’insegnante a suggerirgli di farlo, nella consapevolezza che questo metodo di apprendimento è per loro più efficace rispetto alla vecchia visita guidata.
Personalmente condivido la visione di Massimo Mantellini sul Post:
Molta della critica che siamo soliti leggere all’utilizzo delle nuove tecnologia origina da un vizio di partenza. Quello di sospettare tutto il peggio delle cose che non conosciamo. O di quelle che un giorno, dentro i nefasti labirinti della nostra età adulta, abbiamo osservato e sperimentato senza riuscire a capirle. Perché come scriveva Natalia Ginzburg nel suo saggio “La vecchiaia”, che io cito sempre come fosse Vangelo, eravamo troppo impegnati “a non meravigliarci più di niente” (Il Post).
In poche parole abbiamo guardato il dito, mentre il saggio indicava la luna.