Ci si muove a ritmo di jazz, le frange degli abiti dondolano ed i locali fumosi vibrano di giovinezza, l’aria è leggera e le parole non servono. Tutto sembra possibile. Poi arriva un giovedì. È il 1929. La borsa crolla e l’America, prima, tutto il resto del mondo, dopo, sprofondano in una grave crisi economica. È il 2012 e le cose non sono cambiate di molto. Il mercato finanziario continua a contrarsi e si ritrova in un periodo nero. Oggi come allora il capitalismo si rivela profondamente instabile, un sistema economico mostruoso, giganteggiante sull’uomo, disoccupazione, tasse, salari troppo bassi, costo della vita troppo alto rendono oscuro il presente ed incerto il futuro. Oggi come allora è vivo il desiderio di rifugiarsi in decadenza e bellezza, anche solo per due ore, anche solo indossando un abito che ricordi fasti lontani, libertà e speranze per il futuro.
Il cinema e la moda del 2012 hanno scelto come luogo dell’anima i ruggenti anni Venti. L’epoca delle flappers, del proibizionismo, delle feste sfrenate, ma anche della mobilità, dell’indipendenza, dei mutamenti economici, della produzione di massa, delle nuove fabbriche, dell voto alle donne. Sono gli anni in cui inizia l’ossessione per bellezza e magrezza, ma anche quelli di donne intraprendenti, Edna ST.Vincent Millay, la tennista Suzanne Lenglen o ancora la pilota Amelia Earhart. Non a caso i ’20s sono anche il periodo in cui vengono ambientati i films di maggiore successo degli ultimi mesi, Midnight in Paris di Woody Allen ed il pluricandidato agli oscar The Artist. L’era del jazz sicuramente potrebbe rivaleggiare, forse, con la Belle Epoque. Non è un caso se il personaggio di Marion Cottilard in Midnight in Paris scelga di barattare con essa i ’20s. L’opera di Michel Hazanavicius, invece, con Jean Dujardin e Bérénice Bejo, è un omaggio alla sofisticata leggerezza del cinema muto.
Negli anni ’20 Hollywood è ai suoi albori. La cinepresa si apre ad un mondo nuovo, stanco di sacrifici e morte e desideroso di libertà e divertimento. Protagonista delle pellicole è un tipo di donna forte,vitale: la flapper. Il termine, che originariamente indica il rumore dello sbattere di ali degli uccellini al loro primo volo, è legato al fruscio dei vestiti delle ragazze che ballano il charleston. Sono giovani donne emancipate, che, con il loro comportamento disinibito ed irriverente sfidano le convezioni sociali. Sono soggetto di alcuni degli scatti più interessanti di fotografi indimenticabili, dai reportage sulla vita di Brassaï, alle distorsioni di Kertesz, dall’eleganza formale di Edward Steichen e Man Ray fino ad arrivare a Dosneau.
Le flappers si vestono con abiti corti, pratici, ma glamour: perline di vetro, frange di seta, scollature. Il punto vita si sposta all’altezza dei fianchi, il seno viene schiacciato, i capelli cortissimi, la magrezza, si vuole richiamare l’idea di pubertà, di eterna giovinezza, cosa che rimane di grande attualità ancora oggi.
Quintessenza della flapper è sullo schermo Clara Bow: carina, sfacciata, smaliziata, impudente, spesso poco vestita e dotata di uno splendido talento per la vita. Clara nasce a Brooklyn da una famiglia disfunzionale, la madre soffre di schizofrenia, il padre, quasi sempre ubriaco, abusa sessualmente della figlia. La piccola si rifugia nella finzione del cinema. Ha sedici anni quando, dopo aver vinto un concorso per volti nuovi indetto dal giornale Motion Picture Classic, la Paramount la nota e mette sotto contratto.
Lo studio prende quel maschiaccio della periferia di New York e trasforma la sua immagine in una flapper. I capelli si accorciano ed acconciano con bobs o finger waves, lo stesso fanno i vestiti, lasciando vedere le gambe e le calze in rayon color carne. La figura si orna di perle e frange , sul viso compaiono black kohl, blush e rossetto rosso, ai piedi le immancabili le Mary Jane. «Avevo creato una Clara Bow – dice la stessa attrice – in parte essendo me stessa,in parte rispecchiando il desiderio e l’immaginazione del pubblico». Non ha l’aspetto tipico degli anni ’20, non è congelata nella pubertà di Mary Pickford, né possiede l’esotismo di Theda Bara, né l’intoccabile glamour di Gloria Swanson. Quella della Bow è una franca sensualità, è magnetismo, vitalità, vibrante bellezza. Poco prima dei 18 anni lascia la grande mela per Hollywood. Una notte mentre sta dormendo e la madre cerca di tagliarle la gola con un coltello da macellaio, « Ti ucciderò. Sarà meglio» le dice. Di lì in poi inizierà a soffrire d’insonnia.
La sua carriera inizia ad ingranare, il suo agente Max Alton la definisce una macchina emotiva, è energia, è viva, degna di un quadro di Tamara De Lempicka. È una delle prime donne ad interpretare ruoli forti, ragazze lavoratrici, che addomesticano gli uomini. Nella commedia “It”, tratta da un racconto di Elinor Glyn, impersona Betty Lou Spencer, commessa di un grande magazzino, la Bow, si innamora del suo capo. È questo ruolo che la consacrerà diva. L’“it” del titolo può essere inteso come sinonimo del sex appeal, ma è anche altro, è la qualità che distingue dagli altri, é fiducia in se stessi e disinteresse del giudizio altrui. Le ragazze la imitano, i ragazzi la amano, gli anziani la vedono come un segno dell’apocalisse: tutte condizioni per essere una star. È influente a tal punto che l’eroina dei fumetti Betty Boop verrà disegnata ricalcando le sue fattezze.
Milioni di fans, indossano quello che lei indossa, fanno il broncio alla sua stessa maniera, ballano come lei, si truccano a suo modo. Sulla sua popolarità dice: «Non credo di essere molto diversa da qualsiasi altra ragazza, eccetto per il fatto che lavoro di più ed ho sofferto di più. E ho i capelli rossi». Ma qualcosa in più lo ha, un quid che la rende anche l’attrice preferita di Al Capone. Sono infatti i locali dove si beve alcool di contrabbando e si balla fino all’alba quelli che Clara frequenta e che sono tornati ad incantare il pubblico oggi nello stupendo serial “Boardwalk Empire” dove proibizionismo, gangsters e belle donne la fanno da padroni. Già nel ventennio il cinema diventa un veicolo per fare degli spettatori dei consumatori e La Bow è una macchina da propaganda, è una trend setter ante litteram, spianando la strada a tutte le future it girl, da Audrey Hepburn ad Alexa Chung. Lancia i sailor pants, le gonne a pieghe, i capelli alla garçonne. Il pubblico la segue al cinema e nelle vicende sui fan magazines, legge dei suoi amori con John Wayne, Bela Lugosi, Gary Cooper e Victor Fleming. Negli anni in cui Freud inneggia all’abbattimento delle proprie inibizioni, è proprio il vociferato desiderio sessuale che la rende credibile nelle parti scandalose e la marchia sullo schermo come la ragazza sexy, tanto da venir definita la Madonna dell’era del jazz. Ha quello che William Wyler chiamerà “l’impatto carne”.
Clara è flapper al cinema, ma, a dispetto dei pettegolezzi, non nella vita. È troppo oscura, malinconica, inquieta al limite dell’isteria. Spente le luci della ribalta è sola, come in un quadro di Hopper. La sua gioia più grande è il lavoro. Le pellicole che gira si susseguono e la tecnologia cinematografica fa passi in avanti. Arriva il sonoro. È il 1929 ed un nuovo ostacolo compare sulla strada della scarmigliata star: il microfono. La Paramount le concede solo due settimane di prove. Clara è spaventata dal nuovo mezzo, la sua voce le sembra troppo stridula, l’accento di Brooklyn troppo marcato. “The Wild Party” segna il suo debutto con il sonoro, “Salve a tutti“ è la sua prima battuta. Poi arriva la depressione economica e la gioia consumistica che aveva incarnato sembra ora inopportuna. La Paramount prende la palla al balzo e le rescinde il contratto. Fa alcuni films con la Fox, ma la sua carriera è finita. A 23 anni Clara Bow è la prima star in America, nel’31, a 28 anni si ritira, dopo aver sposato l’ex stella-cowboy Rex Bell, in un groviglio di scandali.
La sua vita prosegue tra insonnia, ipocondria, tentativi di suicidio, fino a che nel ’49 le viene diagnosticata la schizofrenia. A chi la intervista, anni dopo il suo ritiro dalle scene, confida: «Noi avevamo personalità. Facevamo ciò che ci piaceva. Facevamo le ore piccole. Vestivamo nella maniera che volevamo. Ero solita andare giù per Sunset Boulevard nella mia Kissel decapottabile, con alcuni Chow a pelo rosso che facevano pendant con i miei capelli. Oggi,sono assennati e attenti alla salute. Ma noi ci divertivamo molto di più». Muore davanti alla tv mentre guarda un film con Gary Cooper diretto da Fleming, quando si dice segno del destino.
La sua ascesa e caduta è collegata da un filo con quella di Marilyn Monroe, a tal punto che la bionda attrice renderà omaggio alla star del muto travestendosi da Clara in un celebre scatto di Avedon. Entrambe famosissime, iconiche, imitate, chiacchierate, unite da un famelico bisogno d’amore. Entrambe con madri instabili, una psiche fragile ed una vita colma di solitudine.
La flapper torna attuale oggi. Dall’eleganza senza tempo di Emporio Armani ai toni pastello di Ralph Lauren, dalle riprese geometriche, in bianco, nero ed oro di Gucci. Marchesa, Marni e Etro catturano lo spirito charleston con modelli sfavillanti di frange, mentre Alberta Ferretti e Marc Jacobs fanno sfoggio di cloche in un revival romantico e sofisticato.
Il glamour delle flappers diventa una necessità per le donne. Clara Bow resta emblema, a volte dimenticato, di un silenzio eloquente. Resta simbolo di un’epoca irripetibile fatta di Freud, femminismo, produzione di massa, jazz, proibizionismo in cui, dopo le privazioni della guerra, trionfò l’Art Decò, la moda libera ed innovativa di Chanel e Patou, la letteratura di Fitzgerald e Henry Miller, ma soprattutto una donna libera e forte di cui tutte siamo figlie.