Sul Corriere del 29.02.2012 Galli Della Loggia, in un suo articolo, prende spunto da un intervento di Roberto Esposito sul successo della cosiddetta Italian Theory, che con i suoi accenti radicali avrebbe ottenuto un grande successo in America negli ambienti liberal e in particolare tra i contestatori di Occupy Wall Street. Si tratterebbe di alcuni noti filosofi italiani, che si pretende rappresentino una sedicente tradizione intellettuale italiana, mentre non ne manifestano altro che la parte più pasticciona che – invece di occuparsi di quello che dovrebbe essere di propria competenza – si diletta di costruzioni letterarie e romanzesche che hanno la pretesa di presentarsi come le ultime novità nel campo della teoria politica e sociale. Il tono allusivo e sapienziale e la passione per la “tuttologia” rendono, questi filosofi neoclassici (1) decadenti, particolarmente attraenti per chi non sopporta il duro cammino della riflessione ed elaborazione scientifica che nelle scienze sociali deve combinarsi con “l’empirismo interpretativo “ della ricognizione storica. D’altra parte i nomi sono sempre gli stessi: due vecchi arnesi del degenere e degenerato operaismo italiano come Tronti e Negri, che continuano a mietere successi editoriale con le loro svaporate affabulazioni, con l’aggiunta di autori potenzialmente più capaci come lo stesso Esposito e Agamben. Secondo Esposito il successo di queste elaborazioni sarebbe dovuto, principalmente, alla loro tendenza a rompere gli steccati disciplinari, dando luogo viceversa a «un’ inventiva semantica assente in altre culture irrigidite in ambiti specialistici»; e infine alla tensione polemica che il pensiero italiano avrebbe sempre avuto nei confronti del potere, ciò che spesso lo ha condotto a una «teoria della soggettività politica orientata al conflitto». In entrambi i casi la prospettiva del nostro blog appare del tutto opposta: l’interdisciplinarietà deve sposarsi con la competenza e con un solido paradigma di riferimento se non vuole diventare vuoto blaterare e ridursi a fantasiose costruzioni che verranno ridicolizzate dagli studiosi seri delle varie discipline; l’incredibile smania di “costruire” e “inventare” presunti soggetti politici capaci di “destabilizzare il sistema” si è rivelata, poi, una delle più ridicole maniere di strappare titoloni su giornali e riviste ingarbugliando ancor più le idee, già confuse, di tanti giovani, proponendo slogan di facile consumo e alimentando un’ampia cappa di nebbia ideologica di fronte ai conflitti reali e alle strategie principali dei gruppi dominanti decisivi. Galli Della loggia ci porta alcuni esempi di questo luminoso pensiero che rende sufficientemente presente, a chi sa leggere, la quantità di “aria fritta” messa in gioco:
<<Il capitalismo, scrive Esposito, è ormai divenuto una vera e propria religione (parola di Benjamin, del 1921, cioè di circa un secolo fa: è sicuro che si tratti dello stesso capitalismo? Difficile pensarlo, ma sorvoliamo: le circostanze di tempo e di luogo sono, come si sa, ubbie fuori moda degli storici). La quale religione ci ha imposto un culto distruttivo: quello della merce, del consumo, raffigurato nel culto del brand, del marchio famoso. Poche righe sotto, per la verità, la nuova religione non è più quella del capitalismo ma quella del «capitale finanziario» (anche qui: forse sono cose alquanto diverse, ma non importa). La conclusione è un atto di fede nella politica, la sola forza capace di opporsi alla prospettiva del «mondo dentro il capitale», l’ unica capace di contrastarne la «deriva autodissolutiva»>>.
Ancora più spavaldo il tono di Giorgio Agamben il
<<cui sfoggio di erudizione filologico-linguistica lo conduce alla straordinaria scoperta che «il capitalismo finanziario – e le banche che ne sono l’ organo principale – funzionano giocando sul credito – cioè sulla fede (credito = fede) – degli uomini» (ma va?!). Proprio come – ecco il cuore della sua analisi – sulla fede funziona la religione. Insomma: fede = credito = futuro = religione. E dunque il credito governa il mondo e il nostro futuro; il potere finanziario ha sequestrato tutta la fede e tutto il futuro; il denaro, per l’ appunto, è diventato «la più irrazionale di tutte le religioni»>>.
Davvero una trovata geniale, e originale, quella di dare a contenuti veri o presunti delle ideologie dominanti la forma di costruzioni religiose ! A suo tempo il buon Karl Marx aveva – principalmente nell’Ideologia Tedesca, manoscritto lasciato notoriamente “alla critica roditrice dei topi” e pubblicato solo molti anni dopo la sua morte – ridicolizzato la mania dei filosofi giovani hegeliani di ricondurre le discussioni sui grandi problemi storico-politici a dispute puramente teologiche. E in fondo si possono condividere abbastanza, questa volta, le parole dello storico e editorialista quando critica nel suo articolo questo presunto anticapitalismo:
<<Nell’ anticapitalismo, intendiamoci, non c’ è niente di male. Ma a una condizione, direi: che esso stia ai fatti. Cioè che esso si misuri con i processi reali, metta il piede sul viscido terreno delle cause e degli effetti, che spinga il suo acuto sguardo fino a scorgere la vastità e la complessità delle forze in gioco. Troppo spesso invece, come in questo caso, l’ anticapitalismo cui periodicamente amano dare voce i filosofi diviene l’ esito ineluttabile di un’ operazione totalmente astratta>>.
Su di una cosa, però, Galli Della Loggia si sbaglia: non è qui presente, in questo vano filosofare, nessun elemento di anticapitalismo; questi popolari e pagatissimi intellettuali di moda e di successo sono i primi corifei del sistema capitalistico e svolgono la funzione, più volte da noi evidenziata, di imbrogliare le carte e di supportare i gruppi dominanti; per loro possono valere le parole che La Grassa ha usato, in un recente intervento, a proposito dei “decrescisti”, ambientalisti ecc.
<<I cantori della decrescita, gli ambientalisti, quelli delle energie alternative, ecc. li considero reazionari; e uso questa volta il termine caricandolo al massimo di valore negativo e spregiativo. Questi non sono luddisti, sono o farabutti (gli intellettuali e i capitalisti che li finanziano) o una massa di deficienti puri e semplici, ottusi e oscurantisti. E non tanto per l’atteggiamento antimodernista quanto perché servono al capitale per far dimenticare il RAPPORTO SOCIALE E LA SUA NUOVA ANALISI IN QUESTO CONTESTO STORICO>>.
(1) Per filosofia neoclassica intendo la filosofia posthegeliana che, in alternativa all’epistemologia contemporanea e alla filosofia analitica, continua la grande tradizione razionalistica classica per la quale la scienza filosofica fondamentale era ed è la metafisica. In particolare, si tratta di quel tipo di pensiero che si rifiuta di ridurre la filosofia entro i limiti del Kant della Critica della ragion pura. Con filosofia classica, viceversa, si intende la grande tradizione del pensiero occidentale che va da Platone a Hegel, ovvero dalla filosofia classica greca alla filosofia classica tedesca.
Mauro Tozzato 04.03.2012