Leggo sul blog 'TRE COSA CHE SO' (
http://trecose.blogspot.it/ ) un bell'articolo, passionale, intelligente e ben scritto, sulla mostra di Armodio a
Palermo ( vedi:
http://lastanzaprivatadellarte.blogspot.it/2012/10/a-proposito-di-armodio-la-dimora-delle.html).
Un'analisi efficace, da una prospettiva da non addetto al settore, vista con gli occhi di una appassionata collezionista...
riporto:
(articolo originale su:
http://trecose.blogspot.it/2012/10/armodio.html )
giovedì 4 ottobre 2012
Armodio
(Tornata dalle emozioni di Palermo ho scritto, scritto, scritto. Ed
atteso, perché visto che oggi 04 Ottobre è il compleanno del Maestro
Armodio, volevo che il post ci cadesse dentro, come una torta con le
candeline. Curioso poi, così vicino al compleanno di Scuffi – ed al mio,
tra l’altro. Tutti nati sotto ad una ramata foglia d’autunno. Auguri!)
Sono estremamente in imbarazzo. Ho dunque partecipato all'inaugurazione
della Mostra di Armodio "La dimora delle verità silenti", all'interno
del Palazzo Reale di Palermo, e sono rimasta senza parole. Io, a bocca
aperta.
Sono seduta qui a scrivere, tassativamente convinta di fare come al
solito: far fluire le mie emozioni, leggere i quadri con l'occhio del
fruitore-che-per-lavoro-fa-altro, raccontare l'esperienza della "persona
normale". E non mi viene in mente niente di "pratico"!
Perchè Armodio altri non è che LA PERFEZIONE. Non ci puoi girare
intorno, non puoi fare paragoni con nessuno, non puoi farlo scendere
dall'Olimpo, dove per diritto divino la sua abilità risiede, e
mescolarlo ai comuni mortali; credetemi, non sono impazzita, se volete
vi parlo un pochino di R.C. Auto così vedete che sono sempre io. E'
Armodio che sta una spanna sopra, e mi rende la cosa davvero molto,
molto difficile. Finisci per impostare il discorso con termini da
critico professionista, ma anche in quel caso ci esci perdente, basta
guardare il catalogo: all'inizio quasi quattro pagine - figure escluse -
scritte fitte fitte dalla Somma Acidini (mai viste così tante da lei), e
poi da Daniela Brignone, Giovanni Faccenda, e pure Stefano Zecchi, mica
quelli dell'ultimo banco. Ed alla fine l'antologia critica: venti
riassunti di esegesi dal 1970 in poi, di quindici critici diversi. Hanno
fatto davvero le cose in grande, per questa Mostra, a cominciare
dall'ambientazione (le Sale Duca di Montalto) davvero spettacolare, che
si sposa a meraviglia con la pittura del Maestro, con i suoi tratti
senza tempo e le sue cromìe. Penso a molti pittori contemporanei, anche
ottimi, che pur "stonerebbero" come una pianola scordata in quelle sale,
perchè usano colori troppo accesi, perchè hanno gestualità violente,
perchè non sanno camminare in punta di piedi
(ma non Scuffi, Scuffi no, anche lui ci starebbe gran bene).
Venti quadri più qualche pezzo già visto al Chiostro del
Bramante l'anno
scorso (visto da altri, non da me). Non moltissimi, quindi, ma me ne
sarebbero bastati anche metà per capire che Armodio è un genio. Parlo
solo delle tempere, neanche sono riuscita a soffermarmi troppo sui
disegni e sulle carte anticate, sui quali lui schizza il bozzetto e fa
la prima lavorazione (allora lo vedi che la Perfezione, il Genio,
partono puntualmente dal saper disegnare bene "sotto", come affermo
sempre anche io! Sarò un'assicuratrice che si occupa di cose non sue ed
ogni tanto straparla, ma non sono del tutto scema!); già solo con le
tempere avevo il nodo in gola. Ci siamo anche temporaneamente separati,
io e mio marito, cosa che di solito non facciamo mai nei Musei, nelle
Fiere, nelle Mostre, perchè leggiamo l'emozione l'una negli occhi
dell'altro, per comprenderla e viverla meglio, io con più razionalità e
spirito di osservazione, e lui tutto istinto e spirito di rinnovamento.
Non so perchè, forse ci vergognavamo pensando al rischio di beccarci
reciprocamente ad asciugare una furtiva lacrima, oppure con la bocca
aperta, se non direttamente svenuti alla Stendhal.
Tra l'altro, c'è da dire che non siamo propriamente una coppia mondana,
le nostre serate fuori sono da tempo ridotte al lumicino (io, poi, sono
per natura un po' orsa, piuttosto che discoteca o roba simile firmo con
il sangue per una serata di chiacchiere a quattro, con pizza e libri in
casa); le emozioni che ci aveva riservato la serata al Chiostro del
Bramante per Balsamo, giusto la settimana prima, non erano ancora
sopite. Non posso assimilare tutto troppo in fretta, rischio davvero di
star male per aver fatto indigestione di bellezza; una serata come
quella di
Roma mi dà una carica che dura per un mese, e sovrapporci così
presto qualcosa di altrettanto forte dal punto di vista emotivo mi
sballa. Deve essere qualcosa del genere la sensazione di chi fa uso di
sostanze strane; praticamente mi sono fatta un sorta di trip d'arte!
E mi stringe il cuore se penso a coloro che vivono questi eventi come
"la normalità", magari per timbrare il cartellino, o per dire "io
c'ero", o peggio ancora "mi hanno visto anche lì" (il vestito, le
scarpe, chi sta con chi): quante perle gettate, quante. Per mantenere
nell'anima a vita anche una sola goccia di certe emozioni, io sarei
pronta a dare un braccio, non c'è paragone, tanto mi resterebbe sempre
l'altro (cosa ce ne facciamo di braccia, gambe, occhi, bocca, se dentro
siamo inariditi, o peggio ancora svuotati?).
Piccola nota da sociologo, su una curiosa differenza che è saltata al
mio occhio molto provinciale comparando queste due serate, entrambe
profondissime, in due città entrambe ricche di storia, cultura ed
intelligenze: Roma patisce molto la “notorietà” (la fama, il vip),
Palermo invece il “potere” (dato dalla politica, dal ruolo, dal denaro).
Buffo. Meglio non scavare più a fondo, e continuare a far da parete.
ARMODIO: è proprio vero che non sbaglia mai, ogni tavoletta è un
miracolo di eccellenza, non c'è un millimetro quadrato fuori posto, non
puoi aggiungere o togliere niente, sono tutte un unico equilibrio di
purezza. I soggetti sono strani: pentole, caffettiere, mele secche,
uova, ma com'è facilmente immaginabile sono fatti perchè lo sguardo vada
oltre (anche se a dire il vero pure il fermarsi lì basterebbe a
riempirlo di bellezza assoluta). A prima vista mi ha dato la sensazione
di veder scorrere cartoline e fotografie d'altri tempi, mi sono
immaginata il Maestro accovacciato in una qualche soffitta polverosa,
mentre estrae dal classico baule magico (è tipico di tutte le soffitte
polverose avere almeno un baule magico nascosto da qualche parte) tante
piccole meraviglie
avvolte dalle ragnatele del tempo, mentre le lucida,
le prepara una ad una per la gioia dei nostri occhi, ma in fondo anche
dei suoi.
Poi ne abbiamo parlato con lui in persona, chiedendogli il perchè di
queste scelte così singolari e minuziose, e ci ha raccontato il suo
percorso (è tutto nel suo Sito Internet, di cui va molto fiero, e
parliamo di un uomo nato nel 1938... come mi sono sentita impedita...),
quando abbandona le prime esperienze surrealiste alla Dalì, ed approda
ai cicli dei ritratti immaginari perchè "voleva inventarsi le facce dei
suoi avi che non aveva mai visto" (parole sue); e visto che Armodio
sotto sotto è uno che ti fa l'occhiolino, che si diverte ad interagire
con chi guarderà la sua creatura, secondo me anche quando dipinge il
ciclo delle scarpe, o delle librerie, continua in realtà a studiare
facce, bocche, sguardi, e lo stesso fa con queste caffettiere: sono
tutte dei ritratti (io ci vedo il bambino, il notabile, la coppia
scoppiata, il militare, la ragazza innamorata, la nonna che fa la
maglia...). Oserei dire addirittura che possono essere autoritratti,
tante smorfie buffe di Armodio che gioca a fare il camaleonte con chi lo
guarda, lo legge, lo cerca dietro ogni più piccolo particolare: la vite
arrugginita, il filo rosso, la venatura del marmo, la piega della
stoffa, la polvere. Tutto perfetto, come quegli sfondi da antiche
pareti, ora sabbiose ora spugnose, dove appunta come con uno spillo da
sartoria d'alta moda il cartellino con il suo nome, lasciandoci il
dubbio se lui sia il brillante stilista, o piuttosto il rigoroso sarto
dalle mani d'oro, o ancora sia lui, e non noi, il Cliente per cui quella
meraviglia è stata commissionata, in attesa di un ritiro o di un
ritorno a casa.
Ho scoperto da questo catalogo (perchè io li leggo, i saggi di esegesi,
scritti da quelli bravi, e ne vale la pena, sempre) che la Somma Acidini
ama definire ogni arte con il suo specifico linguaggio d'espressione,
quindi in teoria mai mischiare pittura e letteratura o poesia o musica,
come faccio puntualmente io. Che figura (lei in realtà parla dei termini
da usare, ma l'ho vissuta interiormente come una penna blu). Proprio
non ci riesco, per me il sentire è immediato, è un unico binario: come
faccio a guardare le tempere di Armodio e a non sentirmi risuonare nelle
orecchie Pascoli ed il suo Fanciullino? Quel fanciullino che vive
ancora di stupore e meraviglia, di intuizione e di ricordi, e che
"scopre nelle cose le somiglianze e le relazioni più ingegnose". E' un
furbacchione, Armodio, ci lancia sorridendo un'esca per vedere se
sappiamo ancora "vedere", "guardare", "sognare"...
Gusto mio, assolutamente personale, ma già che ci sono assegno il mio
podio, come Giovanni Faccenda quando fa gli Speciali da Orler: sono
andata fuori di testa per i dipinti con lo sfondo scuro, rosso cupo,
come di cuoio, sul quale le parti metalliche delle due caffettiere
risaltano come venature nel pellame. Ergo, prendendo la copertina del
catalogo come una ipotetica scacchiera, D1 e A2 a pari merito per l'oro
(Re e Regina). L'argento alla D4, con la mela e la brocca accomunate
dall'aleggiare della ruggine, con quel rametto che non sa da melo (ecco
lo scherzo di Armodio) ma è più un tralcio di vite (o forse di vita?)
che visto dal vivo e non sulla pagina patinata sembra sbucare fuori. E
il bronzo in D2, un'opera talmente bianco
latte che fa luce già sulla
copertina rispetto alle altre, dal vivo è uno squarcio di meriggio, con
quel ricciolo di metallo così solido che non puoi fare a meno di
chiederti come l'abbia dipinto, se usando un pennello o spremendolo
direttamente fuori dal cuore della tempera. Armodio muove e vince in
quattro mosse!
Gli ho anche chiesto se potevo toccarle, le tavolette, perchè il
polpastrello ha una sua voluttà che non sempre l'occhio soddisfa, e lui
mi ha lasciato fare, spiegandomi come il suo uso tutto personale della
tempera la fa sembrare come oli, con una densità che può ben
rappresentare un gradino come un vero gradino, una piega come una vera
piega, in rilievo addirittura.
Una persona squisita, il Maestro Armodio, pensatore estremamente colto e
raffinato con un aspetto da incredibile bonaccione, da locandiere che
non diresti. Per me neanche lo immagina di essere un genio, quando
glielo dici allarga le braccia come per dire "bravo forse, il resto chi
lo sa". Bravo sa di esserlo, ad ogni modo, e con mio marito poi in hotel
discutevamo di tanti artisti che si definiscono "concettuali" perchè
sono in realtà vere frane a dipingere, e quindi è comodo buttare tutto
sul significato, sull'"idea", per nascondere carenze tecniche paurose.
Signore e Signori, esiste Armodio, scompaiono tutti: c'è l'idea, c'è il
concetto, c'è il pensiero, c'è il messaggio (vogliamo prendere ad
esempio la tavola con i due barattolini ciclopici, freschi di nozze,
ancora con la mano nella mano, e già con una parte del loro "sì" che va a
farsi benedire? Dice niente a nessuno?), e ci sono anche una perizia,
una capacità, un risultato senza paragoni. Metafore umane dipinte da
mani non umane.
Se usiamo il sistema più crudo ed antico, dividendo il mondo tra
simpatici ed antipatici, è evidente che Armodio casca coi primi. Uno che
scherza, che sorride, che se vai sul discorso quotazioni fa la battuta
sul fatto di essere ancora "pittore vivente". E' ovvio ed immediato, per
me, pensare a Marcello Scuffi e paragonare le due diverse forme di
"umanità",
grande e fortissima
in entrambi, in Marcello tutta toscana, in Armodio tipicamente emiliana
fin dalla parlata. Che ne so, è come mettere in tavola il maialino di
cinta (lo so che è senese, ma sempre
Toscana è) ed i tortelli alla
piacentina: son due portate totalmente diverse, ma entrambe ghiotte! Ti
fai fuori primo e secondo, e lo vedi che parlare di locande non era poi
così fuori luogo.
A dirla tutta il Maestro Armodio mi ha tanto ricordato una persona che
vive dalle mie parti, un omone grande e grosso che è abbastanza
conosciuto da noi indigeni perchè gestisce un agriturismo
particolarissimo: ha un solo tavolo (mediamente per una decina di
persone). Se vuoi andarci a mangiare devi prenotare anni prima; noi ci
siamo riusciti una volta sola. La sua non è cucina: è passione, è
follia, è arte. Ti porta in tavola i vari piatti spiegandoti come li
prepara, cominciando dal tipo di pastone che fa mangiare all'oca, di
come la vede crescere, fino a quando te la serve, con tutte le fasi
intermedie. Lo stesso con la pasta, le verdure, tutta roba dei suoi
orti, ed i vini. Lì non mangi: vivi un'esperienza sensoriale.
Armodio uguale: parla dei suoi dipinti e si illumina. Li conosce uno per
uno come figli, e non sono moltissimi, te li spiega pennellata per
pennellata, particolare per particolare. Ti fa capire la ricerca che ci
sta dietro. E' immenso, non so trovare altro termine. Mi sarebbe
piaciuto tanto stare seduta vicino a lui a cena solo per
ascoltarlo,
perchè poi ci hanno anche invitato con loro - gentilissimi - i signori
della Casa d'Arte San Lorenzo, ma giustamente se lo sono coccolato i due
curatori, Daniela Brignone e Giovanni Faccenda, uno alla sua destra e
una alla sua sinistra come con Gesù - e come li capisco. Che poi io a
cena stavo anche male, sarà stata l'emozione ma avevo lo stomaco
bloccato, avrò fatto la figura di quella carina e muta, cioè il mio
esatto contrario in verità! (anche se devo dire che mi ero preparata
davvero bene per la serata: mi sentivo, dentro e fuori, bellissima –
anche in confronto alle “bellissime” per tacito accordo – infatti chi ha
rivisto il giorno dopo la mia versione “diurna” senza un filo di trucco
e con le MBT incorporate da passeggio praticamente non mi ha
riconosciuto).
Oppure era l'effetto dell'overdose di prima, visto che ho ormai
definitivamente accettato l'idea di essere drogata d'arte, di bello e di
chi lo predica. Troppo in una volta sola.
Già che ho nominato Gesù, gli chiedo scusa per il paragone ma mi viene a
fagiolo una citazione evangelica che mi ha ronzato nella testa per
tutta la sera, perchè io e mio marito siamo collezionisti recenti ed
impulsivi, tendiamo a comprare tante piccole cose piuttosto che
accantonare la grossa cifra che ci permetterebbe di avere in casa il
nome importante/storicizzato. Lo facciamo con nomi ed opere che ci
piacciono, senza guardare al valore sia in termini di denaro che di
fama, e difatti abbiamo preso qualche cantonata, opere che resteranno -
seppur piacevoli - pura e semplice decorazione, ma ci sta, uno non può
arrivare ad Armodio dal nulla, neanche lui fosse un casello autostradale
che fagocita centinaia di vetture all'ora, una dopo l'altra e via.
Armodio è un rifugio montano isolato, di quelli che raggiungi con la
fronte imperlata di sudore dopo ore ed ore di camminata in salita, ora
sotto spuntoni di roccia, ora su per sentieri umidi, finchè lo vedi
apparire lì davanti, che si staglia sull'enormità del cielo terso ed
azzurro, immenso e desiderato quanto il cielo stesso. E' per pochi
eletti, gente che lo sappia capire. "Il Regno di Dio è simile ad un
tesoro nascosto in un campo. Un uomo lo trova, lo nasconde di nuovo, poi
pieno di gioia corre a vendere tutto ciò che ha e compera quel campo.
Il Regno di Dio è simile ad un mercante che va in cerca di pietre
preziose; quando ha trovato una perla di grande valore, egli va a
vendere tutto quel che ha e compera quella perla" (Matteo 13,44-45).
Ecco, direi che Armodio, dopo che hai smesso di balbettare, ti fa capire
come fare un primo salto verso un collezionismo di bellezza e valore
più consapevole (ma consci che i nostri otto adorati Scuffi resteranno
dove sono). Amen.