“A proposito di eleganza. Una guida allo stile maschile” (Mondadori) di Tommaso Di Benedetto è una delle ultime uscite editoriali sul campo dell’eleganza che sono entrate nella libreria della nostra redazione.
Tra quelle a cui ci siamo avvicinati recentemente, è forse la seconda, insieme a quella di Glenn O’Brien che ci abbia colpito davvero per trasversalità d’intenti e di contenuti.
Tommaso Di Benedetto, infatti, traccia un paesaggio pittorico decisamente incentrato sul classico, ma lo fa con un senso di “criticità” inappropriata per la maggior parte degli autori (o degli arbiter elegantie) che trattano questa difficile tela.
Se il mondo in cui si muove la narrazione è di chiara matrice anglosassone, ci sono degli excursus più ad ampio respiro, coadiuvati (ma tutto il libro è un ricco viaggio iconografico mappato dalla collezione privata di riviste d’epoca del suo autore) anche da splendide illustrazioni tratte da Esquire e Apparel Arts.
Con eccentricità quasi snobista, la lettura corre veloce e appassionata verso la fine, con un sottofondo di bonaria “acidità” che la dice lunga sula penna che ha saputo tracciare in modo così attento il fil rouge di questo volume.
A proposito di questo, non potevamo esimerci dall’incontrare Tommaso per quattro chiacchiere: con l’uomo, lo scrittore, lo pseudonimo e l’amante dell’eleganza.
Tommaso Di Benedetto in un inedito autoscatto digitale.
Una guida. Quindi non un vero e proprio manuale. Ci parla della scelta in tal senso?
Il testo del libro è stato definito dalla casa editrice, che ne ha apprezzato proprio per questo la prima bozza a suo tempo sottopostagli, molto “autoriale”. E in effetti ritengo che le sue parti più qualificanti siano quelle che maggiormente si allontanano dalla “manualistica”, che è comunque una componente del libro. Mi riferisco alle parti di riferimento storico e a quelle in cui cerco di definire il concetto di eleganza nel campo del vestire, la quale in ogni caso si interseca indissolubilmente con l’eleganza nel comportamento. Viene poi riconosciuta da chi lo ha letto una componente di ironia a cui tengo molto e che non può ovviamente essere contenuta in quelle parti del libro, pur sussistenti, ove si distinguono e descrivono i vari modelli di scarpe, di polsi di camicie et similia. Si potrebbe in definitiva dire che il libro è al contempo di meno e di più di un manuale e quindi, comunque, un qualcosa di diverso.
Lei parla di eleganza ma non ne vorrebbe parlare, non vorrebbe dare dei dictat sullo stile ma sottolinea i cardini da conoscere: insomma, da dove viene Tommaso? Cosa lo ha istruito? Cosa lo ha formato? E di cosa vuole davvero parlare?
Nello scrivere questo libro, anzi meglio nel proporlo per la pubblicazione, ho in effetti vissuto una contraddizione, che in un qualche modo esplicito nel testo e che lei ha comunque colto. Un uomo elegante non dovrebbe parlare di eleganza se non con leggerezza ed estemporaneamente. In un processo con esiti auto-assolutori al quale mi sono sottoposto ho individuato come attenuanti proprio quelle componenti del libro che si elevano al di sopra della manualistica e quel po’ di ironia cui ho già fatto cenno. Potrei sintetizzare affermando che mi permetto di essere così auto-indulgente da pensare che nel mio “lavoro” vi sia anche una componente culturale ed è comunque questo lo spirito con il quale ho scritto il libro. Devo anche confessare che lo pseudonimo, che pur ho adottato per ragioni legate alla mia professione, mi ha di certo aiutato nel superare questa contraddizione. E poi, infine, può ben darsi che io non sia poi così elegante ma che sia tuttavia in grado di parlare dell’argomento con cognizione di causa. Per il resto, non è mai facile parlare di se stessi e dunque rimanderei ai profili dell’autore contenuti nel libro che, visto che è orfano di un autore “visibile”, sono particolarmente articolati oltre che molto generosi.
Studio e sperimentazione. Ci definisce queste due fasi del libro e soprattutto relativamente all’accogliere (e intraprendere) la via dell’eleganza, dello stile?
Lo studio vi è certamente stato anche se non mi ritengo né uno storico dell’abbigliamento né un tecnico. Quanto alla sperimentazione c’è stata anch’essa ma non tanto applicata direttamente ai contenuti del libro quanto piuttosto alla ricerca di un esito quanto più possibile elegante nel vestire.
Parla di “appropriatezza” e facilmente ci torna alla mente l’assioma di unità, nettezza e armonia di Balzac: qualche ispirazione dallo scrittore francese e dal suo trattato?
Ho letto il trattato di Balzac da ragazzo (quindi oltre venti anni fa) e le confesso che, salvo forse averne interiorizzato parte dei contenuti, non ne ho dei ricordi specifici o puntuali se non per le citazioni che spesso ne vengono fatte. Se vi è stata un’ispirazione non è stata dunque voluta o consapevole. Quanto all’appropriatezza, nel libro uso il termine in un’accezione che in realtà non attiene all’estetica e all’armonia ma piuttosto all’adeguatezza del proprio abbigliamento rispetto ai tempi, ai luoghi ed alle occasioni nelle quali lo si indossa. Essa, a mio avviso, è una componente essenziale ma non sufficiente dell’eleganza: si può essere appropriati o adeguati senza essere eleganti ma non si può essere eleganti senza essere appropriati o adeguati.
Cosa manca nell’uomo oggi? E cosa lo caratterizzava ieri?
È una domanda di carattere sociologico alla quale non sono certo di essere in grado di rispondere. Riducendola all’ambito di cui tratta il libro, quel che manca è certamente la cultura minima necessaria per vestirsi in modo consapevole, che un tempo invece era molto più diffusa.
La colpa di moltissima confusione e assoluta trascuratezza di chi è? Moda? Democratizzazione e globalizzazione del dress code? Rinuncia alla formalità in quanto oramai concepita come “scomodità”? Mascolinità ipertrofica o metrosessuale?Risponderei ancora la mancanza di cultura e l’attribuzione di una sempre minore importanza alla formalità, in alcuni ambienti, anche non adolescenziali, addirittura considerata un disvalore. Ma il passo tra una certa agilità e facilità di rapporti, sicuramente positiva, e la villania è purtroppo breve.
Cosa le manca dei tempi che sono stati e cosa vorrebbe che tornasse in auge?
L’educazione, il che significa anche sottrarre tempo ed intensità alla ricerca del danaro e del successo.
Esistono personaggi davvero ammirevoli per il proprio stile e sobrietà oggi? Naturalmente uscendo dai soliti nomi e dai defunti.
Non potendo, credo, neppure fare riferimento a dei perfetti sconosciuti, è una domanda che, purtroppo, mi mette in difficoltà. Mi viene in mente un solo nome: Alain Elkann.
Stiamo assistendo a un proliferare di associazioni e “collegi” dedicati all’universo maschile, all’uomo d’antan, al classico. Eppure si notano discrepanze interne a queste: insieme, sotto le insegne, Uomini, anzi quasi eroi medievali, da soli poveri diavoli con l’infradito, frittatone di cipolle, birra gelata e rutto libero. Serve l’associazionismo, come lo intendiamo noi italiani? Gli uomini hanno bisogno di “ingannare” la modernità? Non c’è il rischio di trasformare l’eleganza e lo stile maschile in un ballo in maschera?
Essendo l’eleganza un fatto spiccatamente individuale, anche ove viene esercitata nella comunità, l’associazionismo è, direi per definizione, inelegante. Non so se vi sia la discrepanza che lei ravvede o intuisce, in coloro che partecipano alle associazioni di cui trattasi, tra il privato e l’immagine associativa. Sta comunque di fatto che, anche in tale ultimo ambito si nota una discrepanza netta tra “il predicare” e “il razzolare”: il primo usualmente è molto alto e anche corretto nei contenuti e il secondo invece impietosamente non all’altezza, con l’ovvia aggravante che l’esito inelegante in chi mostra scopertamente di ambire al contrario è ben peggio di quello che deriva da semplice disinteresse. Si deve comunque riconoscere a tali associazioni l’indubbio merito di promuovere nel campo dell’abbigliamento, sia pure con i limiti di cui sopra, la cultura del relazionarsi al presente non dimenticando il bagaglio culturale del passato.
Da sportivi, una curiosità: lei è davvero convinto che un fisico tonico, muscoloso non possa essere elegante e armonioso? Non è riduttivo il discorso, relegandolo forse a un cliché muscolare ridondante?
Sono io stesso molto sportivo e lo sono stato a livelli quasi professionali nel passato e ricordo quante volte mio nonno, persona elegante in quel modo in cui potevano e possono esserlo solo coloro che avevano vissuto una parte dell’età adulta nel periodo precedente la seconda guerra mondiale, mi ripetette che, se avessi esagerato con la palestra non avrei potuto mai essere elegante. Quando nel libro mi riferisco ad un’ineluttabile effetto inelegante mi riferisco comunque al genere “palestrato” intendendo con quello l’ipertrofia muscolare, non una semplice tonicità. Detto questo, ritengo che, ove una persona con un fisico alla Churchill trovi l’alchimia per vestirsi elegantemente, sarà sempre più elegante di chi la stessa alchimia trovi ma sia dotato di un “bel fisico” . Questo proprio perché l’eleganza tanto più è tale tanto più è espressa fuor di perfezione.
Lo stile è per tutti? Quanto ci si nasconde dietro la frase “è il mio stile”? E quanto lo stile incatena la fantasia?
La fantasia è una dote pericolosa da applicare all’eleganza nel vestire se non inquadrata in solide conoscenze del perimetro nel quale si può spaziare. Si può dunque in effetti dire che lo stile, se vuole permanere tale, incatena la fantasia entro tale perimetro, comunque non così ristretto quanto si possa pensare e che paradossalmente si amplia tanto più sono vaste le conoscenze.
Cosa vorrebbe donare al lettore? Con cosa lo vorrebbe lasciare?
Lo vorrei lasciare con la sensazione che lo abbia avvicinato ad un mondo, non ancora del tutto estinto che, se preso a riferimento, potrebbe darci la gioia dell’estetica senza dover per questo rinunciare ai vantaggi della tecnologia e della modernità.
Buona scelta
IBD
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