A scanso di equivoci: Josefa Idem, e gli altri

Creato il 25 giugno 2013 da Tafanus

A scanso di equivoci: la mia precedente lettera aperta a Enrico Letta non vuole essere un'assoluzione per Josefa Ifem. Se ha evaso il fisco è giusto che paghi. E sugli errori di comunicazione di Josefa in conferenza stampa sono quasi tutti d'accordo. Trascrivo in calce parte dell'articolo di Andrea Sarubbi su Open, che condivido in gran parte.

Ma, come speravo di aver chiarito, "il problema è un altro". Il problema è che Enrico Letta ha scelto di "dimettere" Josefa Idem, per una presunta evasione non ancora sanzionata da una condanna (neanche in primo grado), e mantiene invece al governo, come viceministro agli esteri, il cocainomane confesso Gianfranco Micchichè, e il viceministro berlusconiano agli esteri Bruno Archi.

Su Bruno Archi ed altri 32 i giudici che ha condannato Berlusconi a sette anni di galera, hanno inviato alla Procura i verbali delle testimonianze, con un'ipotesi di reato ALQUANTO più grave di un'evasione - peraltro sanata - di poche migliaia di euro. L'ipotesi di falsa testimonianza riguarda 33 testimoni: fra questi, oltre ai patetici Carlo Rossella e Mariano Apicella, spicca - per il suo peso specifico -  il deputato e viceministro agli Esteri Bruno Archi. E la ragione per cui ci occupiamo solo di lui è chiara. Chiediamo a Enrico Letta, così sollecito nel cacciare Josefa Idem, di cacciare con altrettanto furore moralistico e fretta sospetta tutti i membri del suo governo sospettati di comportamenti indegni (anche ove, per caso, fossero "nominati" dal PdL. Ci dev'essere un rapporto logico, fra i "presunti reati" di Idem e di Archi, e la sanzione politica. O no?

Questo l'articolo di Federico Bei su Repubblica cartavcea di oggi, a proposito di Bruno Archi (che per ora non semnra essere "convocato" per chiarimenti dal Pres del Cons:

Ci sono anche quattro politici del Pdl, quattro stretti collaboratori di Berlusconi, nell'elenco dei testi sospettati dai giudici di Milano di aver reso false testimonianze. Due sono le regine di cuori finite nell'inchiesta per via delloro ruolo nell'organizzazione delle feste del Cavaliere: Maria Rosaria Rossi e l'eurodeputata Licia Ronzulli. La Rossi è assistente personale del leader Pdl ed è stata candidata al Senato per stargli sempre accanto. Tanto che i nemici interni del partito, per il suo ruolo nel filtrare gli accessi a corte, hanno preso a chiamarla «la badante». È sua la voce intercettata in una telefonata con Emilio Fede mentre parlano del bunga-bunga. L'altro uomo di fiducia del Cavaliere su cui il Tribunale ha chiesto alla procura di vederci chiaro è Valentino Valentini, deputato Pdl, ma soprattutto assistente, interprete ed ex consigliere per le relazioni internazionali quando Berlusconi era a palazzo Chigi. È stato Valentini a tenere i rapporti con Putin durante le innumerevoli trasferte nella dacia dello zar russo.
Ma il bersaglio più grosso tra quelli citati dal Tribunale in mezzo a decine di olgettine è senza dubbio Bruno Archi, soprattutto perché attualmente ricopre l'incarico di viceministro degli Esteri. È stato Archi, all'epoca consigliere diplomatico di Berlusconi, a ricostruire al processo la famosa cena tra l'allora premier e Mubarak a villa Madama durante, la quale il Cavaliere pronunciò il nome di Ruby. «Berlusconi - racconta Archi - aveva chiesto a Mubarak se la ragazza facesse parte della sua cerchia familiare, fu questo a suscitare l'interesse». «Cosa rispose Mubarak?», chiede Boccassini. «Rimase incuriosito, ma non capì bene la domanda, c'era molta confusione, eravamo a fine pasto e ci furono anche problemi di interpretariato. Mubarak non rispose, ma gli altri iniziarono a interloquire dicendo che conoscevano una famosa cantante di nome Ruby». Insomma Archi non chiarisce in Tribunale quale fu la risposta del Raiss alla fatale domanda di Berlusconi sul rapporto di presunta parentela con Ruby. Tanto che alla Farnesina i maligni definiscono Archi «viceministro per testimonianza», quasi che la nomina (e l'elezione alla Camera) siano il frutto della riconoscenza del Cavaliere per aver accettato di raccontare la sua verità su Ruby.
In ogni caso il viceministro è un diplomatico di lungo corso e l'esperienza e le competenze per l'incarico non gli mancano di certo. In una carriera in genere riservata ai "figli d'arte", il giovane Archi riesce infatti a entrare in diplomazia benché il padre sia un semplice funzionario del ministero. L'incontro fatale, prima di quello con Berlusconi, fu con il potentissimo Bruno Bottai, il figlio del ministro di Mussolini. L'allora segretario generale della Farnesina lo prende sotto la sua ala protettrice e la carriera di Archi schizza sulla rampa di lancio. Fino alla chiamata di Silvio a palazzo Chigi.

(Fonte: Federico Bei - Repubblica)
Pubblichiamo il post di Andrea Arubbi sui comportamenti alquanto discutibili di Josefa Idem in conferenza stampa, ma riconosciamo a Josefa l'attenuante della rabbia per essere stata messa alla gogna per un "reato" francamente ridicolo rispetto ai tanti che riempiono gli archivi di parlamentari e uomini di governo in Italia, e per gli insulti leggeri (ladra, puttana) coi quali è stata gratificata da alcune noti statisti e opinionisti del Principe:

Le medaglie in guardaroba (Fonte: Andrea Sarubbi su Open)

Non si scelgono i ministri con l’album delle figurine, commentano gli indignati per il caso Idem, perché non basta essere campioni olimpici per poter governare il Paese: neppure se la delega a te assegnata riguarda, almeno in parte, il mondo in cui hai trascorso la tua vita. È una tesi che non condivido appieno – a me la nomina della campionessa pulita e madre di famiglia ha fatto invece sperare molto nel recupero del valore educativo dello sport per la crescita dei ragazzi – ma che comunque rispetto: tutto sommato, chi attacca le figurine della società civile, perché inesperte, finisce per riconoscere un valore alla tanto bistrattata politica. Mi riesce poi difficile conciliare queste critiche con quelle a Beatrice Lorenzin ministro della Sanità o Andrea Orlando ministro dell’Ambiente, perché a loro volta “politici” e non “competenti della materia”, ma questo è un altro discorso, che con la vicenda di Josefa c’entra ben poco.

Non so se l’olimpionica azzurra abbia commesso degli errori – da comune contribuente – negli anni precedenti alla sua entrata in politica; probabilmente sì, come una discreta parte degli italiani, ma questo dovrebbe interessare fino a un certo punto. Se fosse il ministro di un governo che mette l’Imu e poi, da parte sua, decidesse di non pagarlo, allora sì, quello sarebbe certamente un problema politico; il ravvedimento operoso su irregolarità del passato non mi pare invece un reato, né una macchia sulla reputazione di chicchessia: al limite, assomiglia più a una richiesta di scuse all’erario, tra l’altro pagandoci sopra la giusta (e salata) sanzione.

Onestamente, però, è tafazziano il modo in cui il ministro ha condotto la propria difesa: vista da fuori, anche con occhio benevolo, la conferenza stampa di sabato scorso sembra davvero il suo errore più grande.

Josefa Idem è donna abbastanza esperta per sapere che le sfide non si improvvisano. Quando ha deciso di tornare all’agonismo a 39 anni, dopo la nascita del secondo figlio, ha pianificato la sua vita in funzione delle Olimpiadi di Atene: si è allenata duramente, si è presentata in acqua sapendo esattamente che cosa fare e si è portata a casa un argento in cui credevano in pochi; senza quei mesi durissimi fra il 2003 e il 2004, senza quel cronoprogramma studiato nei dettagli insieme al marito-allenatore, forse non si sarebbe nemmeno qualificata per i Giochi. Perché lo sport non perdona mai, nemmeno se ti chiami Idem, e se le braccia non girano non vinci.

Nella Sala Stampa di Palazzo Chigi, invece, la campionessa olimpica è arrivata come un dilettante allo sbaraglio. Non si era preparata nulla, se non un legittimo sfogo per gli insulti ricevuti e un meno legittimo attacco verso chi aveva sollevato il caso; di fronte alle prime domande, certo non imprevedibili, è addirittura andata via. Non sapeva, l’ex canoista, che anche la contesa politica richiede un allenamento duro, soprattutto sul fronte della comunicazione? Non sapeva che, nella società dell’informazione, un solo dibattito televisivo vinto o perso può spostare gli equilibri elettorali? Non aveva preparato, insieme ai responsabili della comunicazione del governo, una risposta per ogni possibile domanda, e magari anche una per ogni domanda impossibile, così come in gara ci si prepara per ogni tipo di avversario e di condizioni meteorologiche? Evidentemente no, se per difendersi ha tirato fuori l’elenco di medaglie vinte – come se Berlusconi, nel processo Mediaset, si mettesse a snocciolare le Champions del Milan – o le lunghe giornate trascorse a pagaiare, o la riflessione sulla dura vita di un’atleta madre di due figli.

È questo errore, a mio parere, che l’ha fatta finire in un tunnel; più ancora della vicenda Imu, che avrebbe potuto essere gestita con ragionevole facilità. Poi, certo, c’è la strumentalizzazione del tutto, e c’è pure la volubilità di un Paese che si diverte a costruire idoli per distruggerli in fretta. Ma chi scende (o sale) in politica non può ignorarlo: le medaglie vinte, di qualsiasi metallo e in qualsiasi campo, si lasciano generalmente al guardaroba di Montecitorio, prima di entrare nell’arena. Una volta dentro, si combatte.

Fonte: http://www.andreasarubbi.it/


Potrebbero interessarti anche :

Possono interessarti anche questi articoli :