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A Single Man (2009) non è solo la resa cinematografica del romanzo omonimo di Christopher Isherwood, è semmai un'occasione importante per ricrearne l'atmosfera, gli umori, un mondo che non c'è più, fatto di incredibile e insospettata libertà. È questa apertura esplosiva del mondo, sia pure faticosa e pericolosissima, questa miscela di possibilità e guardinga gelosia di sé a colpire in questo splendido film diretto da Tom Ford (e da lui stesso scritto insieme a David Scearse). Le scene vengono pennellate in modo sorprendente, ciascuna su dei colori ben definiti, ma dai contrasti morbidi, con una tavolozza che di volta in volta riesce a tratteggiare lo stato d'animo, le vicende e la loro irrimediabile provvisorietà. Le visioni fuggevoli (i tennisti, il corpo di Kenny nell'acqua, il tramonto che accende il breve scambio con Carlos, il ricordo dei confronti con Jim) contribuiscono a una struttura visionaria e un po' "impressionistica" del film: soggettiva, sì, e direi anche privata, ma non colpevole di escludere lo spettatore dal suo sviluppo.
Da sottolineare, in ogni caso, la meravigliosa aderenza di ogni interprete al suo suolo: Colin Firth (a buona ragione premiato con la Coppa Volpi al Festival del Cinema di Venezia) è un George elegante, slanciato, ancora bello, e insieme malinconico e irrimediabilmente senile; Julianne Moore disegna qui una Charlotte perfetta al limite del plagio, proprio nel suo essere nervosa e un po' manierata; il Jim di Matthew Goode è un personaggio quasi incorporeo e comunque un'invenzione del film, coerente con la sceneggiatura e ben calibrata; infine, una nota di merito particolare va a Nicholas Hoult per il suo Kenny, che prende una strada tutta sua nella sintesi a cui è costretta la sua parte, riuscendo però a far trasparire il vissuto e l'emozione di un delicatissimo momento storico di passaggio. Nell'insieme, A Single Man è un film più che riuscito, che commuove e merita l'entusiasmo che lo accompagna.
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