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A spese di tutte le relazioni intermedie

Creato il 06 ottobre 2014 da Malvino
Al momento, il vertiginoso calo degli iscritti al Pd viene letto da gran parte dei commentatori interni ed esterni al partito come la mutazione genetica subita da un corpo militante che fino a ieri era tra i più fidelizzati. Inevitabile, dunque, che si discuta in qual misura il dato sia da attribuirsi alla segreteria di Matteo Renzi, perché pare ovvio che una correlazione debba esservi, con l’ovvia discordanza nel giudizio di merito che è un dato costante quando si valuta quel che si attribuisce a una personalità dal forte tratto divisivo: di qua, chi pensa che l’emorragia di tessere sia il segno di una grave crisi del partito come comunità di uomini e donne condividenti una pur labile identità ideologica (ma sarebbe più corretto dire etico-estetica); di là, chi pensa che questo, tutto sommato, non sia affatto un dato negativo in vista della nascita di un «partito della nazione», fluido in superficie, ma in fondo assai più solido, proprio perché includente su un programma, piuttosto che su un modello antropologico. Può darsi che questo sia vero, in ogni caso non può essere interpretato come fenomeno che nel Pd trova la testa, quanto la coda: il calo degli iscritti ai partiti politici italiani è un dato costante e trasversale da almeno trent’anni. È che l’Italia non era fatta per il maggioritario, ancorché imperfetto: un bipolarismo basato sulla competizione ad acquisire consenso dal centro non poteva che accelerare il processo di deideologizzazione dei partiti tradizionali, d’altronde in atto già dagli anni Ottanta, portando alla personalizzazione della politica, prima, e alla confluenza dei due opposti schieramenti al venir meno di uno stabile equilibrio tra i carismi delle leadership, poi. Era un sistema destinato a erodere progressivamente le ali estreme per venire a creare un unico polo centripeto, lasciando all’opposizione solo l’astensionismo elettorale. Vi verifica così un’inversione dello schema che ha caratterizzato la Prima Repubblica, quando l’astensionismo aveva tratti prevalentemente qualunquistici e il voto era a forte impronta ideologica (ma sarebbe più corretto dire etico-estetica): al centro va confluendo tutto ciò che non ha più un colore, mentre ciò che residua delle vecchie culture politiche si autoemargina, e questo è tanto più evidente nella quota che ne rappresentava la militanza. Su quanto questo implichi in termini di riconversione del potere, si può lasciare la parola a chi ha ben descritto il fenomeno (Colin Crouch, Postdemocrazia, Editori Laterza 2003 - pagg. 79-81):
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