A cura della Dottoressa Anna Chiara Venturini, psicologa psicoterapeuta a Roma.
L’ansia generalizzata è una condizione molto diffusa e di difficile inquadramento visto il sottile limite tra la semplice preoccupazione e il delinearsi del disturbo vero e proprio.
A tutti capita, infatti, di essere preoccupati e di pensare molto spesso ai problemi più disparati; quello che però rende ciò un quadro patologico è l’ansia eccessiva, difficile da controllare, che interferisce con le attività sociali e lavorative o con altre importanti aree di funzionamento. L’ansia è pervasiva e la qualità della vita viene materialmente colpita dalla perenne apprensione riguardo il futuro, le circostanze della vita, la situazione finanziaria e possibili eventi dolorosi che potrebbero accadere ai propri familiari. Di solito l’individuo si definisce esso stesso “un tipo ansioso e sempre preoccupato di cosa accadrà”, ed è proprio questa sua attività mentale di costante ruminazione che rappresenta la caratteristica principale del quadro clinico. Il processo di ruminazione (worring), e l’incapacità di gestione del problema sono, difatti, gli elementi cardine per identificare il disturbo: la persona ripete costantemente, e in modo afinalistico, a se stesso, l’entità di un problema e l’incapacità di fronteggiarlo e risolverlo. È una litania incessante riguardo le possibili conseguenze catastrofiche e la propria incapacità a prevederle e gestirle.
La persona fa una gran fatica a trovare risorse attentive poiché sono totalmente assorbite dal rimuginio.
Ne consegue un disagio significativo con somatizzazioni a carico del Sistema Nervoso Centrale e del Sistema Nervoso Vegetativo: corteccia, lobi frontali, gangli basali sono sovraccaricati con conseguente mancanza di riposo, alterazioni del ritmo sonno-veglia, affaticamento, difficoltà di concentrazione, tensione muscolare, irascibilità.
L’individuo è dunque costantemente in stato di allerta, pronto a rispondere a qualsiasi pericolo anche se paradossalmente è convinto di non essere in grado di fronteggiarlo; pertanto rimugina costantemente sulla propria inettitudine e sull’entità del problema: se guardiamo bene si tratta di un atteggiamento mentale sterile, poiché non porta ad alcuna soluzione, né partorisce alcun tipo di stile di coping se non il rimuginare fine a se stesso. Secondo Borcovec (1998) il worring è una strategia evolutivamente efficace perché immaginando i possibili scenari permette di fare errori senza esporsi al rischio reale, con conseguente soppressione della risposta d’ansia neurovegetativa: l’individuo insomma “ci guadagna a pensare al peggio”, con conseguente rinforzo intermittente da parte del rimuginio che diventa così il principale meccanismo di mantenimento. Il disturbo d’ansia generalizzata si perpetua infatti per opera della ruminazione perché, come sostiene anche Ladouceur (2003), nell’ambiguità percettiva e cognitiva è preferibile l’esito negativo piuttosto che incerto, e sulla base di questa intolleranza dell’incertezza, la persona rimugina, preparandosi al peggio a discapito di soluzioni probabili.
L’individuo presenta infatti attivi, schemi di vulnerabilità (Beck 1967, 1976) che lo convincono di essere fragile, di avere scarse abilità di coping e che non è quindi in grado di fronteggiare il mondo esterno ed interno, altamente pericolosi. Si tratta quindi di credenze che vengono poi mantenute da pensieri automatici negativi e da distorsioni cognitive che non gli consentono di fare esperienze diverse.
La persona con disturbo d’ansia generalizzata evita infatti comportamenti e situazioni ansiogene, ricerca rassicurazione e riposo fisico, ed infine cerca di controllare il pensiero attraverso soppressioni del pensiero e rassicurazioni: tutto ciò gli impedisce di sperimentare altro.
Wells (1995-1997) invece distingue due tipi di preoccupazioni: le preoccupazioni di tipo 1, relative al pericolo oggettivo , e quelle di tipo 2 ( o meta preoccupazioni) relative al controllo dei pensieri.
Vediamo un grafico di esempio
Una nonna riceve la notizia della nascita della nipotina (FATTORE SCATENANTE)
↓
“Se non sto attenta non riesco a prevenire i problemi (CREDENZA INTERMEDIA RELATIVA ALL’UTILITA’
↓ DEL RIMUGINIO COME STRATEGIA DI COPING)
“E se la bambina nascesse malata?” (PREOCCUPAZIONE DI TIPO 1)
↓
“Se non riesco a controllare questo pensiero impazzirò” (METACOGNIZIONE NEGATIVA)
↓
“Sono fragile di nervi, qualcosa in me non va” (PREOCCUPAZIONE DI TIPO 2)
↓ ↓ ↓ ↓
tensione, fatica, evitamento, distrazione , controllo del pensiero, irritabilità
Il trattamento prevede quindi un iniziale modificazione delle metapreoccupazioni, ovvero le preoccupazioni relative alla convinzione che le angosce siano controllabili: l’obiettivo, raggiungibile per esempio attraverso la dilazione della risposta, è consentire la verifica e quindi la smentita delle paure relative alle conseguenze temute, consentendo al contempo di “rimandare” la ruminazione, sganciandola dai pensieri disturbanti che la innescano.
È quindi indispensabile, dopo aver modificato le metapreoccupazioni e le convinzioni negative, passare alle preoccupazioni di tipo 1 e alle credenze positive relative al worring, proponendo strategie alternative per affrontare i pensieri.
Cosa fare se si soffre di questo disturbo?
La terapia cognitivo comportamentale mette a disposizione diverse tecniche :
- esperimenti di dilazione: si stabiliscono durante la giornata, periodi di tempo ben precisi per preoccuparsi (es.30 minuti prima di cena) e posticipando la preoccupazione che insorge prima del dovuto
- esperimenti paradossali: la persona è incoraggiata ad esasperare le proprie preoccupazioni per valutare gli effetti reali dello stato d’ansia e delle credenze
- esperimenti di abbandono delle preoccupazioni: si invita il soggetto ad abbandonare temporaneamente le proprie preoccupazioni così da verificare se avvengono realmente le conseguenze negative temute
- interviste: si chiede ad amici, familiari e colleghi quali sono le modalità con cui loro affrontano problemi e relative preoccupazioni
- tecniche di immaginazione: spesso durante la rimuginazione sono presenti immagini statiche di situazioni ed eventi negativi; in tali circostanze immaginare di proseguire con l’immagine ed approfondire il pensiero può costituire una valida alternativa alla rimuginazione