“Reggio Calabria, primi anni Cinquanta. Tutte le signore bene di Reggio Calabria vanno a farsi fare i vestiti da Franca Versace, che ha la sartoria più importante della città e di tutta la Calabria. Nessuna è brava come lei (…) si ispira sì ai modelli francesi, ma nella fase del taglio , quindi fin da subito, modifica la teletta con blitz creativi che rendono quasi impossibile risalire al couturier originale”, una di quelle donne era la mia bisnonna, così, leggendo l’inizio di “Il mito dei Versace”, ho pensato di condividere con voi le foto dell’unico abito superstite, purtroppo la qualità è scarsa, ma quando sono stato a Reggio Calabria a trovare i miei nonni non avevo una macchina fotografica!
Ricordo perfettamente quando nei primi anni ’90, nel pieno fulgore del mito di Gianni Versace, mia nonna raccontava con entusiasmo ed orgoglio di avere visto muovere i primi passi lavorativi del grande stilista proprio in quel laboratorio. Gianni stesso riconoscerà l’importanza di quella esperienza, perchè per lui, uno dei massimi sperimentatori nella storia della moda, la base di tutto è sempre stata la capacità artigianale: “io sono un sarto. Quando sono arrivato a Milano da Reggio calabria tutto quello che avevo imparato da mia madre l’ho dovuto dimenticare perchè c’erano altri termini, altre tecnologie. Poi man mano ho scoperto che il suo insegnamento era ancora valido. Ho scoperto che il vero artista è l’artigiano. Mi fanno ridere certi stilisti che dicono di non essere sarti. Certo, visti i loro abiti, salta subito all’occhio. Secondo me, invece, il vero artistaè quello che realizza le cose con le sue mani. Uno stilista quindi deve essere un sarto” (Gianni Versace, 1990).
Queste foto dimostrano proprio l’abilità sartoriale di Franca Versace: stando ai ricordi di mia nonna l’abito dovrebeb essere del 1963, quasi 50 anni dopo non si è staccata nemmeno una delle perline ricamate a mano!
Si tratta di un tubino nero, tipico capo elegante della signora benestante di provincia, e di certo Gianni Versace ne deve avere visti cucire tanti nel laboratorio della madre e non a caso sarà proprio il tubino nero uno dei capi su cui, stagione dopo stagione, riverserà quell’originalità e quella trasgressione che l’hanno portato a “sdrammatizzare” il concetto di moda stesso. Personalmente ho sempre considerato la collezione del 1994 una svolta fondamentale nel fashion, e non a caso tutti ricordano la bellissima Elizabeth Hurley nell’abito con le spille da balia.
Ma anche dopo la morte di Gianni quel tubino nero ha continuato ad essere un filo conduttore nella strada tra quella sartoria e le collezioni che oggi sfilano al Teatro Versace, così anche Donatella ha riproposto e ripropone quel capo immancabile nel guardaroba femminile, ma lo ha adattato ai tempi, perchè le donne di oggi, come quelle che vestivano in sartoria negli anni ’50, possano sentirsi moderne, sicure e seducenti!
Versace p/e 2002
Versace p/e 2011
Tutte le citazioni che ho riportato in questo post sono tratte da “Il mito dei Versace” di Minnie Gastel ( edito da Baldini Castoldi Dalai), un bellissimo ed emozionante libro che vi consiglio e che spero vi sia venuta la curiosità di leggere!