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A volte le magie succedono… (parte 1)

Da Snake788

A volte le magie succedono… (parte 1)

 

Duomo, fermata Duomo.

Le porte della metro si spalancarono e la solita fiumana di persone si diresse verso le uscite. C’ero anch’io tra quella folla, ed ero in ritardo. Salii i gradini velocemente. Il sole splendeva come non mai, su questa fredda città. I miei occhi si abituarono con difficoltà alla luce e La cercai con lo sguardo tra la gente. Doveva essere proprio lì, sotto la nostra statua. Un luogo d’importanti incontri in passato. Mi trovò lei e si avvicinò.
- Sei sempre in ritardo! – mi disse imbronciando il muso.
- La metro, la gente, sai com’è… – mi discolpai.
Le sorrisi, la strinsi e la baciai.
- Dove andiamo? – mi chiese con occhi dolci.
- Facciamoci un giro, guardiamo la città, tanto è ancora presto per vederlo… -

Il Natale a Milano inizia prima. In tutte le altre case, in tutte le altre città, tradizionalmente, l’albero si prepara l’otto dicembre. Qui invece no, qui l’albero è già pronto. Qui, il sette dicembre, è già Natale.
La città sembra quasi una casa, così caldamente addobbata, e la piazza è quasi un salotto, con un albero, decine d’invitati e migliaia di lucine.
Camminavamo per le strade, battibeccandoci a ogni incrocio. Lei, che prendeva la mia attenta precisione e la deformava a suo piacimento; ed io che non sapevo mai come dirle di no.
Quella mattinata eravamo lì per un motivo. Precisamente un mio motivo: quella faccia che mi guardava ogni giorno e ogni notte da decine di posters, sarebbe stata lì, in piazza Duomo.
Ligabue.
Colsi quella news come un chiaro invito. Quell’uomo mi stava dando un segnale. L’avevo trascurato un po’ non andando al concerto di Campovolo; e lui era venuto da me, in questa città. Finalmente avrei potuto vederlo da non troppo lontano e avvicinarmi quel pizzico in più che ai concerti non ero mai riuscito.
Oltretutto, per ironia della sorte, quel cantante sognatore, si sarebbe affacciato proprio dalla stessa terrazza dove m’innamorai di lei, la terrazza dell’Arengario.
Glielo dissi e lei si precipitò da me abbandonando ogni dovere.
Quante cose faceva e avrebbe fatto per me, quella ragazza?
Innumerevoli.

Eravamo fermi lì, a un incrocio di una via sconosciuta. Un viale trafficato a più corsie. Un semaforo scintillava di rosso. Le macchine correvano e i tram scricchiolavano tra i binari. Lei voleva attraversare, ma le tenevo la mano per impedirglielo. Mi guardò un secondo… e conoscevo quello sguardo.
- Perché non siamo insieme? – mi chiese di colpo.
- Perché stiamo così bene non stando insieme che lo stare non avrebbe senso… –
- Ma se fossimo insieme lo sarebbe di più… –
- Davvero? –
- Ahhhh… sta zitto stupido! Andiamo! –
Mi trascinò in mezzo alla strada. Tra macchine, tram e taxi… una follia.
-Vieni! Muoviti! –
- Francesca!! – le urlai con un finto rimprovero.
Arrivammo dall’altra parte, sani e salvi.
- Visto? Era facile no? –
Non le risposi ma il mio sguardo diceva tutto, come il suo di prima.

Un giorno mi stuferò di dire che Milano non smetterà mai di sorprenderti. Spero che quel giorno però, sia ben lontano. Tra le tante vetrine e i mille negozi di quella strada ancora ignota, scorgemmo un’insolita insegna stampata in bianco su un vetro trasparente.
Bakery
- Ecco dove faremo colazione! – disse lei, raggiante di gioia.
Sorrisi… un po’ perché pensavo a come si potesse far colazione in una panetteria; un po’ perché adoravo quando mi trascinava in posti nuovi.
Entrammo. Il posto era fantastico. Mattonelle bianche rivestivano i muri e un tocco di verde ogni tanto colorava l’ambiente. Le luci, con la forma di sfere bianche, pendevano dal soffitto. I tavolini in legno e le sedie erano disposti in fila su un lato. Davanti a me, un grande bancone con scritte in inglese.
Ci sedemmo e ci portarono i menù. Francesca era deliziata dal posto e anche a me piaceva molto.
Un cameriere nero venne a prenderci le ordinazioni.
- Per me dei Pancake e un caffè… –
- Sciroppo d’acero? E il caffè italiano o americano? –
- Sì, Pancake e sciroppo d’acero, e il caffè ovviamente americano! –
Mi s’illuminarono gli occhi a sentire tutto ciò. Sembrava quasi di essere in uno dei tanti Starbucks americani, dove puoi ordinare tutte le loro prelibatezze. Adoro il loro stile di vita, adoro far una colazione “salata” ogni tanto, con uova e pancetta. Adoro i pancake con lo sciroppo d’acero e adoro il caffè americano…
Arrivò il cameriere e ci servì i piatti. I miei pancake avevano un aspetto invitante. Ci versai sopra lo sciroppo dalla piccola brocca. Presi coltello e forchetta e mangiai un boccone. Paradiso. In bocca avevo un’orgia di piacere. Le papille gustative erano deliziate dal contrasto amaro dolce. Buoni, buonissimi, i migliori mai mangiati in vita mia. Perfetto, un solo boccone aveva saziato il mio desiderio, ma ad ogni altro se ne generava uno nuovo. Guardai Francesca estasiato e il suo telefono squillò.
- Pronto… Si… Ok… bene! Ora glielo dico! Grazie mille! – disse a un interlocutore sconosciuto.
Click
Francesca mi guardò e sorrise. Aveva quell’espressione che anticipa la felicità.
- Cosa c’è? – le chiesi…
- Forse un tuo desiderio si potrebbe avverare… – mi disse giocando con le parole.
- Quale dei tanti… – chiesi speranzoso.
- Uno in particolare… però… c’è un però… –
- Immaginavo… dimmi… –
- Dovresti rinunciare a vedere Ligabue in piazza Duomo….. -


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