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A volte ritornano... Prima l'evergreen "art. 18", adesso l’ideona di monetizzare il Tfr

Creato il 01 ottobre 2014 da Tafanus

PorcellinoIl nostro mitico Pres del Cons passerà alla storia come il disutile più veloce del mondo. Nessuno al mondo aveva immaginato di poter approfondire sugli enormi problemi del paese a botte di Tweets da 140 battute. Ma forse 140 battute per "approfondire" sono risultate insufficienti persino a pié veloce. Eccolo quindi inaugurare le "mediazioni" via sms, per poter usare fino a 160 caratteri. Roba da logorroici.

A botte di "approfondimenti" di questa portata, ha resuscitato prima il "cadavere" che passa sotto il nome di art. 18, definendolo un vecchio arnese di 44 anni. Nessuna delle sue veline ministeriali lo aveva informato che il cadavere era stato già rieumato e cremato dall'accoppiata Monti/Fornero solo un paio d'anni fa.

L'ideona di giornata (perchè si sa, Renzi deve partorire almeno un tweet rivoluzionario al giorno) è quella di mettere direttamente in busta paga il TFR (Trattamento di fine rapporto), o almeno una sua grossa fetta. E ha già iniziato a "monetizzare" questa scemenza in termini propagandistici, facendo passare i "100 euri" in arrivo in busta paga (da aggiungere alla ormai mitica marchetta degli 80 euri (la marchetta più costosa, più ingiusta, più discriminatoria della storia d'Italia) come un regalo del governo, mentre di fatto "regala" ai lavoratori soldi loro, prendendoli dal LORO salvadanaio, e danneggiando contestualmente le aziende nelle quali costoro lavorano.

Ancora qualche giorno, e resusciterà la stronzata berlusconiana. Qualcuno se ne ricorda ancora, o la vergogna di aver magari votato per "L'uomo Nuovo Al Comando" (il pregiudicato di Arcore), ha rimosso il ricordo? Allora lo ricordiamo noi: una delle ideone del pregiudicato era stata quella di immettere liquidità nelle tasche degli italiani facendo un accordo secondo il quale le banche avrebbero prestato soldi alle famiglie a tassi agevolati, previa accensione di un'ipoteca sulla casa. Dite la verità... non era un'idea geniale?

Matteo Renzi, ormai diventato la caricatura di Berlusconi, adesso vorrebbe "rompere il porcellino" di quei lavoratori che ancora hanno uno stipendio fisso, e regalar loro i LORO soldi. Geniale.

Ma prima di ingaggiare quest'altra battaglia "epocale", sembra che Lo Statista non si sia posto alcune domandine pregiudiziali:

  • -a) gli "aventi diritto" al tfr preferiscono fare le cicale o le formiche?
  • -b) con quelli che hanno prelevato dal tfr per finanziare in parte l'acquisto della prima casa cosa facciamo?
  • -c) a quelli che preferiscono fare le cicale, quando la loro azienda li licenzierà o chiuderà cosa diamo? metà del già striminzito tfr?
  • -d) come ci regoliamo con quelli che hanno scelto di investire il tfr in forme di previdenza supplementare?
  • -e) Renzi sa che il "Fondo TFR non esiste, ma è solo una scrittura contabile? e che è di fatto una fonte di finanziamento a costo pressocché ZERO per le aziende?
  • -f) Renzi sa che il primo genio a proporre questa stronzata sia stato l'economista (di vaglia) Umberto Bossi? Tanto per dare una pallida idea della grandezza di questa trovata...

No, Renzi non sa. Perchè se sapesse, non proporrebbe certe sciocchezze a getto continuo. E se lo facesse "sapendo", dovremmo pensare che sia un idiota con tendenza maniacale al suicidio politico. E allora informiamo noi Renzi che i diretti interessati (cioè quei pochi fortunati che ancora hanno uno stipendio regolare e relativi diritti al Tfr), non vogliono, al 70%, che Renzi usi il loro "porcellino. In calce, i risultati di un sondaggio online fatto da Repubblica; un giornale che di tutto può essere accusato, tranne che di non aver appoggiato il renzismo, persino oltre i limiti della decenza giornalistica: Repubblica.

Sondaggio-tfr

Ma dato che ormai è chiaro che il nostro presdelcons straparli nove volte su dieci di argomenti che chiaramente non padroneggia, diamogli qualche informazioni tecnica, rubata a Camillo Linguella (un esperto in materia):

"In assenza di politiche per la creazione di nuova ricchezza, si cerca di utilizzare l’argenteria di famiglia, vendendo un pezzo, pignorandone un altro, senza risolvere alcun problema"

Dopo la constatata inefficacia del bonus degli 80 euro, l’esecutivo è tentato di giocare un’altra carta per il rilancio dei consumi, una carta conosciuta del resto: l’utilizzo del tfr in busta paga. Le intenzioni sono certamente ottime, ma rischia di provocare danni più che di risolvere problemi. Un’inutile nuova mancia.
L’operazione - dopo la notizia data dal Sole24Ore - è stata smentita da tutti, a cominciare dal Mef (Ministero Economia e Finanza), ma in genere il quotidiano della Confindustria non si inventa le cose. Che il Mef non sappia nulla è possibile, in quanto la cosa può essere stata studiata direttamente negli ambienti di Palazzo Chigi. E non sarebbe la prima volta. Infatti, smentendo le smentite, è stato lo stesso Renzi, nel corso della trasmissione “Che tempo che fa”, a dichiarare che sta studiando la possibilità di poter mettere il Tfr mensilmente in busta paga, pur ammettendo che è complicato.

La novità rispetto alle ipotesi già avanzate nel passato, a cominciare da quella dell’ex segretario della Lega Nord Bossi, cui spetta il titolo della primogenitura, è quella di mettere in busta paga solo la metà del tfr “maturando”, lasciando il restante 50% come prima, al Fondo tesoreria Inps o alle imprese, se queste hanno meno di 50 dipendenti.

Data la provenienza, l’idea poteva essere considerata una boutade, ma visto che Renzi insiste, bisogna pensare invece che le cose siano messe veramente male...

Il tfr, il trattamento di fine rapporto, è quella somma che si riscuote quando finisce un rapporto di lavoro, per termine del contratto o perchè si va in pensione. Si costruisce accantonando mese per mese una somma equivalente al 6.91% della propria retribuzione. Grosso modo, su una retribuzione mensile di 1000 euro, il datore di lavoro ne mette da parte circa 70. L’aumento in busta paga sarebbe di 35 euro oppure potrebbe essere erogata una volta all’anno. In questo caso gli euro sarebbero 420.

L’operazione durerebbe un anno, con possibilità di estensione a due o tre anni, e sarebbe su base volontaria. Riguarderebbe solo i dipendenti privati, perché per quelli pubblici “c’è ancora grasso che cola”, com’è stato autorevolmente affermato. E quindi oltre al mancato rinnovo del contratto, niente tfr in busta paga [...]

La realizzazione della proposta non è indolore almeno per tre motivi:

  • 1) Mancato introito al fondo di tesoreria Inps
  • 2) Meno soldi alle piccole e medie imprese e quindi meno possibilità di ricorrere all’autofinanziamento
  • 3) Meno risorse alla previdenza complementare e meno pensione integrativa.

Per non danneggiare le imprese si pensa di mantenere il meccanismo fiscale agevolato attualmente previsto per il trasferimento del Tfr ai fondi pensione. Come pure per evitare problemi di liquidità non si esclude la la possibilità di prevedere un accesso al credito agevolato per il flusso di Tfr da trasferire in busta paga o, in alternativa, un dispositivo ad hoc con il coinvolgimento della Cassa depositi e prestiti.

Sulla previdenza complementare non si pensa niente. E’ la conferma che l’argomento non è mai stato in cima ai pensieri del nuovo esecutivo, e lo si è visto con l’indifferenza dimostrata verso i fondi pensione dei pubblici dipendenti, di cui è comunque una parte istitutiva. Ad essa affluirebbe un tfr dimezzato, così dimezzati sarebbero le risorse da investire.

Il 70% degli investimenti dei Fondi viene effettuato  in titoli del debito pubblico. Bisognerà vedere chi investirebbe al loro posto, la BCE di Draghi, già sotto stretta osservazione della Germania? Oppure  si lascerà lievitare il debito pubblico con possibili ripercussioni sullo spread facendo finta di niente, tanto ci pensa l’apporto degli affari illegali, da tutelare ad ogni costo, che ha dato una inaspettata boccata di ossigeno al nostro rachitico Pil.

Meno risorse ai Fondi pensione significa non solo meno acquisti di Bot, ma anche dimezzamento dei rendimenti e alla fine si avrà un capitale su cui calcolare la pensione aggiuntiva di ben poca cosa. Può essere un colpo mortale e definitivo al già traballante secondo pilastro pensionistico, il cui patrimonio accumulato fa gola a tutti e il governo non ne ha mai fatto mistero. Né vale l’asserzione che si tratterebbe di una misura provvisoria. In Italia non c’è niente di più definitivo del provvisorio.

Il trattamento di fine rapporto sostanzialmente è un risparmio forzoso che consente di accantonare risorse per esigenze impreviste. Infatti non sempre lo si utilizza al termine della vita lavorativa. Di fronte ad alcune esigenze vitali, come  l’acquisto della casa per sé o i propri figli o per cure sanitarie, può essere utilizzato anche prima del pensionamento.
Il flusso annuo del tfr è pari a circa 22 miliardi di euro, di cui 10 sono giacenti presso le imprese che se ne servono per autofinanziamento, 6 milioni al Fondo tesoreria Inps che serve per il debito pubblico e 5 ai fondi pensione.

L’esclusione dei dipendenti pubblici,  reso necessario dalla mancanza di risorse, è facilitata dal fatto che non tutti i dipendenti pubblici hanno il TFR. Quelli assunti prima del 2001 non hanno diritto al TFR, bensi al TFS, il trattamento di fine servizio. Il Tfs non è un accantonamento mensile, bensì una somma una tantum che spetta al pensionamento e che si calcola sull’80% dell’ultima retribuzione. Si tratta quindi di una somma quantificabile nel suo importo solo a fine carriera. Per equiparare questi dipendenti agli altri si dovrebbero trasformare tutti i tfs in tfr. L'operazione, già tentata nel 2011 (comma 10 dell’art. 12 del DL n. 78/2010) scatenò un putiferio, una serie di ricorsi, una pronuncia della Corte Costituzionale e una marcia indietro del governo.

Credits: gran parte delle informazioni tecniche sul tfr sono tratte da un esaustivo articolo di Camillo Linguella

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