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Ab vite ad vitam – Le parole del vino, un contest letterario

Da Trentinowine
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giocoliere definitivo

Si apre con la pubblicazione di questo primo racconto, firmato da Barbara Goio, il contest Le Parole del Vino, concorso enoletterario, riservato a racconti brevi che abbiano come protagonisti il vino e la vigna. Gli scritti dovranno essere inediti e non dovranno superare le 10000 mila battute. Il termine ultimo per la presentazione è il giorno 25 agosto 2013. Gli scritti, che verranno pubblicati sul blog, dovranno essere inviati all’indirizzo [email protected]. Saranno selezionati i tre racconti che riceveranno più commenti (positivi) da parte dei nostri lettori. In palio per i vincitori una ricca selezione di vini trentini.

Buon contest e buone parole a tutti

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Ab Vite ad Vitam

di Barbara Goio – “Te l’ho mai detto? Sei sempre più vecchia e brutta. E insopportabile”. Lei guarda fuori dalla finestra: la neve, quasi un velo, è caduta da poco. E la voce di lui è un tappeto monotono. Le parole sono sempre uguali, il tono è lo stesso, e persino l’intonazione, che sale sempre leggermente per poi crollare nel nulla.

Quanti anni sono ormai passati da quando hanno deciso di vivere insieme in questa soffitta di Trieste, da quanto ormai si torturano a vicenda… Arianna non lo sa più. E neppure le importa.

“Guardati, così flaccida e quel che è peggio, noiosa”. Il tormento continua.

Lo sguardo di Arianna è fisso oltre i tetti, scivolava sulle tegole inclinate e si perde in una notte senza luna, mentre da sotto il rumore del vento si fa sempre più forte. Ancora “no s’era bora”. Ancora.

Gli occhi di lei si fanno più grandi, per definire meglio i contorni di questa notte. La schiena appoggiata ad una vecchia poltrona, il profilo disegnato e la fronte distesa. Sa che può sopportare tutto, l’odio, il rancore, anche il disprezzo. È lei quella forte, quella che il destino aveva voluto risparmiare, ed ora l’unica sua possibilità di vita è restare presente, concreta, mentre il mondo piano piano si disgrega completamente.

Prende a sorseggiare del merlot, scuro, denso, armonioso. Il profumo le fa ricordare le estati che aveva trascorso con lui, in un tempo che apparteneva ad un altro universo. Accarezza il calice con tranquillità ed il contatto con la superficie dura e spietata la aiuta a mantenere netta la distinzione tra controllo e sgomento, in un buio che pare prendere vita propria.

“Ti odio, bastarda incapace. Hai fallito in tutta la tua vita. Non puoi continuare a fregartene, a fare come se io non ci fossi, che non sia stata colpa tua. Prima o poi la dovrai pagare”. Le parole di lui sono proiettili di gomma, gocce che scivolano su un piano impermeabile, fino a cadere in una pozza di dimenticanza. Ma Arianna non avrebbe mai potuto dimenticare. Gli avvenimenti di quell’agosto di dieci anni prima restano incastrati nella sua coscienza come una serie finita di piani sequenza.

Avevano deciso di visitare la Francia per respirare un po’ di vecchia Europa. E poi, quell’anno lui aveva lavorato tanto ed era stufo di fusi orari e cibi improbabili, e la Costa Azzurra non era mai stata così azzurra e le campagne con i loro romantici relais erano appaganti e suadenti. E poi, si erano perfino comperati, dopo tante scelte ecologiche, una sfacciata spider di seconda mano e si sentivano tanto gli interpreti principali di una commedia sentimentale.

Era agosto. Il merlot s’adagia ora sulla lingua di Arianna, una dolcezza che si disperde. Loro due felici, in estate, sulla spider, tra le campagne. E quell’azienda così “deliziosa” vicino a Carcassonne, pergolati intrecciati con muri a vista e piccoli mattoncini che nella loro apparente incongruenza rivelavano un’anima solida e austera. La passeggiata tra le botti, nello scuro e confortevole profumo della fermentazione, e gli assaggi, tanti, bianchi, neri, vinificazioni diverse e, al colmo della festa, un memorabile “verticale”. Felici, sì, erano davvero felici.

“Fermiamoci qui a dormire”, aveva insistito lei, scherzando prima, con durezza poi. Ma lui, lo conosceva bene, non ascoltava mai, nessuno. Neppure se stesso.

E così via per le strade, veloci, veloci e senza peso, con il vento tra i capelli e il sole ormai basso sull’orizzonte, che ti si infilava negli occhi con quei raggi così di traverso. E la strada che improvvisamente, chissà perché – forse aveva piovuto per poco mentre loro erano da un’altra parte – era improvvisamente viscida. Lui frenava ma le ruote giravano di lato, pattinando su una pellicola mortale. Quell’istante, ormai fermo, che sembrava non finire mai, mentre qualcosa pesava dentro e gli occhi erano inutilmente aperti.

“Coraggio, tiriamoli fuori”, la voce era secca, presente, operativa. Due barelle, con un diverso destino: a lui il compito di sopravvivere, un respiro appena a legarlo alla vita, a lei quello di sopravvivergli.

Notte triestina. Insulti mescolati ad una preghiera. Hanno avuto dieci anni per dirsi tutto, vivere un’altra vita fatta di amore, rimorsi, perdoni, speranze. Ma ora questa notte entrambi sanno che non c’è più spazio per nulla. E’ arrivato il tempo di lasciare che ognuno di loro prenda la propria strada. Non esistono metodi poetici per farla finita: di questo avevano discusso a lungo, anche nei minimi macabri particolari. E avevano concordato su tutto: Arianna sa che l’ultima cosa che gli resta è l’aria, e questa, stanotte, deve finire. Lui, svaniti gli ultimi insulti, ha già preso un potente sonnifero e sta dormendo profondamente. Lei appoggia il bicchiere sul tavolo e si avvicina al letto di lui, lo bacia appassionatamente, lega con attenzione il sacchetto di nylon attorno al collo e si siede guardando fuori dalla finestra.

La notte è sempre più cupa. Ma Arianna sa che tra qualche ora la luce arriverà, e con lei il vento del mare che spazzerà via quel velo di neve caduta, e poi dopo un lungo inverno a piangere ed a cercare di capire, verranno giorni più lunghi e tiepidi. E l’uva ricomincerà a maturare.

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