L’attività di realizzazione di un abbaino munito di finestra sul tetto di un edificio possiede i connotati di una nuova costruzione, entrando pertanto nella disciplina della ristrutturazione con mutamento di sagoma? A parere del TAR Piemonte (tramite sentenza n. 481 del 20 marzo 2014) sembrerebbe di sì.
Secondo il Tribunale amministrativo torinese infatti la realizzazione di tale tipologia di opera (nel caso di specie l’intervento edilizio aveva modificato le linee di gronda e di colmo originarie, con conseguente innalzamento, seppure modesto, dell’altezza del tetto) determina un aumento di volumetria ed incide sulla sagoma dell’edificio e pertanto rientra nei vincoli disciplinari della ristrutturazione con mutamento di sagoma. Questo intervento è pertanto subordinato alla richiesta di permesso di costruire.
Inoltre l’abbaino munito di finestra sul tetto del fabbricato, fuoriuscendo dalla sagoma preesistente della copertura del tetto, è da considerarsi a tutti gli effetti come “costruzione” (con riferimento alle distanze previste dall’art. 873 del Codice Civile e da altre norme integrative) come tale dovendosi intendere, secondo consolidato indirizzo giurisprudenziale, qualsiasi opera non completamente interrata, avente i caratteri della solidità, stabilità ed immobilizzazione al suolo, anche mediante appoggio o incorporazione o collegamento fisso ad un corpo di fabbrica contestualmente realizzato o preesistente, e ciò indipendentemente dal livello di posa ed elevazione dell’opera stessa, dai suoi caratteri e dalla sua destinazione.
Per approfondire la nozione di costruzione edilizia leggi l’interessante focus dell’architetto Mario Di Nicola, uno dei blogger di Ediltecnico.it.
Quindi i giudici amministrativi si pongono nella (per ora) insindacabile scia della giurisprudenza dominante in materia, affermando che “una sopraelevazione, pur se di ridotte dimensioni, nella parte in cui determini aumento della volumetria e della superficie di ingombro, va qualificata come nuova costruzione”.
In ulteriore istanza tribunale amministrativo torinese ha poi sancito l’illegittimità del comportamento tenuto dal Comune nella circostanza specifica (l’Amministrazione comunale non aveva esercitato alcuna azione nel momento in cui era giunto conoscenza dell’abuso perpetrato): quest’ultimo, infatti, “avrebbe dovuto, a seguito di verifica circa la sussistenza dei presupposti e dei requisiti della DIA in variante, esercitare i propri poteri inibitori, impedendo la prosecuzione dell’attività edilizia, in quanto elusiva della disciplina urbanistica vigente”.