Magazine Cultura

Abbecediscolo - Lettera M (Puntata n. 11)

Creato il 17 novembre 2012 da Sulromanzo

Abbecediscolo, Lettera M, Puntata 11Mi preme dirti che (scambio di convenevoli tra intellettuali)

Impara l’arte e mettimene a parte.
Raramente troverete colleghi più indisponenti degli scrittori. Nell’alveare editoriale, la mancanza d’api operaie si fa presto sentire: api regine dal pungiglione aguzzo ronzano sulle proprie simili in attesa di prendere la mira... e dare opinioni non richieste sull’arte altrui.
Ecco allora che gli artisti – sempre intimamente bambini, ma è l’arte a richiederlo – si sbeffeggiano a suon di titoli e dispetti, approfittando dell’assenza della signora maestra. Ormai in pensione.

1) Il titolo non è bello se non è litigarello.
Luca Doninelli a Sandro Veronesi, criticando il suo Baci Scagliati Altrove (Fandango, 2011): «Tu non scrivi certo come gli sceneggiatori delle sit-com, però il titolo Baci Scagliati Altrove con tutte queste maiuscole mi getta nel gorgo di una lingua tradotta, non mia, mi fa venire in mente i cd inglesi e non mi aiuta a pensare l'Italia. È un occhiolino strizzato e basta». Capisco la stizza di Doninelli, ma bisogna ammettere che in giro ci sono titoli ben peggiori. Questo, ad esempio: Apri la tua bocca la voglio riempire, e chissà in quanti hanno pensato al peggio.

2) Siamo i libri che leggiamo e questo, a volte, va a discapito di molti capolavori.
Massimiliano Parente parlando di Alessandro Baricco e Gianni Riotta: «Non bastava che i cinquanta libri più importanti degli ultimi dieci anni fossero quelli che ha letto Baricco, che ne scrive ogni settimana su Repubblica. E per carità, buono a sapersi, perché se li ha letti Baricco, rimanendo Baricco, non devono essere libri così importanti, almeno uno sa subito cosa non leggere. Viceversa Gianni Riotta ha appena aperto su Twitter una pagina sugli scrittori sopravvalutati, dove lui, Riotta in prima persona, esordisce dichiarando sopravvalutato Borges, e allora viene subito voglia di andarsi a leggere o rileggere tutto Borges». Del resto, come asseriva Borges, «Un buon lettore è raro quanto un bravo scrittore».

3) Raramente gli scrittori accettano le critiche e qualcuno le accetta meno di altri. L’autoironia non serve per dirsi romanzieri, però aiuta.
Camillo Langone a proposito di Gianrico Carofiglio: «Andiamoci piano con l’ironia, Carofiglio è magistrato e in Italia i magistrati hanno sempre ragione. Per cui la domanda che in molti si pongono la riportiamo fra virgolette prudenti: “Come fa un uomo così impegnato nella lotta contro il crimine a trovare il tempo per riempire di legal-thriller le classifiche di vendita e i cataloghi di ben due case editrici, Rizzoli e Sellerio?”».
Piano con l’ironia! Scherza coi fanti, ma lascia stare i patrocinanti.

4) Il campanilismo fiacca la critica, soprattutto quando il nesso è fin troppo evidente.
Francesco Lamendola, riportando il parere del regista Franco Zeffirelli sul repertorio dantesco di Roberto Benigni
«Il succo del discorso era che il gran padre Dante è una cosa seria e bisogna lasciarlo alle persone serie; e che, se il poeta fiorentino tornasse in vita e assistesse a una serata dantesca di Benigni, ne resterebbe inorridito. Anche perché Benigni è di Prato e l'accento di Prato, per recitare Dante, “è una bestemmia, sa di montanari dell'Appennino e non di Firenze”». O, per dirla con Bukowski: «Detesto i prati perché tutti hanno un prato con l'erba e, quando si tende a fare le cose che fanno tutti gli altri, si diventa tutti gli altri». Problemi di Prato e prati che certamente non toccano lo spigoloso Zeffirelli. Fiorentino, ovviamente.

***

Motivazioni (o perché scrivi?)

Se il motivo è banale, solitamente è confezionato nel migliore dei modi.
Vi chiederanno perché scrivete e, a voler essere sinceri, la motivazione reale non andrebbe oltre il «Mi riesce benino». Tenete presente che i lettori da voi si aspettano grandi cose e a nessuno importa quanto siano veritiere. «Siate geniali, siate folli» diceva Steve Jobs, ma, soprattutto, imparate a raccontare ovvietà con la maestria di un romanziere, almeno nei libri e nelle interviste, ché a chiarire il resto penserà una biografia postuma.
Affermati scrittori, di fronte all’annosa questione, si sono espressi con la padronanza – e i ferri del mestiere – di un chirurgo durante un’appendicectomia, con l’ariosa baldanza di un bambino alla sua prima gita in giostra o con l’astiosa premura di riformulare il quesito. Tutto pur di non sembrare soltanto “gente che scrive”. Diamo voce all’onnipresente Camilleri, il centometrista dell’editoria italiana – l’Usain Bolt dei bestseller – e il maratoneta letterario che ti ritrovi a ogni edizione olimpica. Vince in velocità e sulla lunga distanza, nonostante il fisico e l’età non lo lascino supporre: Camilleri è lena fuori e fulmicotone sulla pelle.

Difatti, Andrea Camilleri, su Repubblica, gigioneggia – come Bolt in pista – sui motivi che lo spingono a scrivere. Si va da «Scrivo perché è sempre meglio che scaricare casse al mercato centrale», dove l’autore finge una sana e robusta costituzione, a «Scrivo perché non so fare altro», che tanto risuona di quel «Non sono cattiva, è che mi disegnano così». Ma questo lo diceva Jessica Rabbit, risultando persino più credibile.
Ancora Camilleri, in vena di sentimentalismi, «Scrivo perché dopo posso dedicare i libri ai miei nipoti», o in chiave “mo’ me lo segno”: «Scrivo perché così mi ricordo di tutte le persone che ho amato». Senza scordare di ribadire l’ovvio: «Scrivo perché mi piace raccontarmi storie», a cui va aggiunto: «Scrivo perché mi piace raccontare storie». Da non sottovalutare il bello delle piccole cose: «Scrivo perché alla fine posso prendermi la mia birra». O la falsa modestia: «Scrivo per restituire qualcosa di tutto quello che ho letto.» Un motivo solo non basta se si fanno uscire due libri all’anno.

Antonio Tabucchi – scomparso da poco e per questo ancor più presente in libreria – trovava che il quesito fosse da riformulare, facendo quello che la buona creanza imporrebbe d’evitare: rispondere a una domanda con un’altra domanda. «Scriviamo perché temiamo la morte? Perché abbiamo paura di vivere? Perché abbiamo nostalgia dell'infanzia? Perché il passato è fuggito in fretta o perché vogliamo fermarlo? Scriviamo perché a causa della vecchiaia sentiamo nostalgia, rammarico? Perché vorremmo aver fatto una cosa e non l'abbiamo fatta o perché non dovremmo aver fatto qualcosa che abbiamo fatto e non avremmo dovuto? Perché stiamo qui e vogliamo stare lì e se stessimo lì non sarebbe stato meglio per noi restare qui?». Per quanto mi riguarda la risposta è no, ma nel frattempo ho scordato di cosa stavamo parlando.

C’è anche chi ha le idee chiare. Desy Giuffrè scrive perché per lei «è diventato un autentico bisogno», difatti la Giuffrè è autrice di Io Sono Heathcliff (Fazi, 2012), sequel di Cime Tempestose. Davvero in tanti ne sentivamo il bisogno, dalle cime tempestose alle cime tempestive: dal 1847 al 2012, con la rapidità dei regionali di Trenitalia.

Ancora in tema d’urgenza, Marco Peano confessa di non poterne più fare a meno: l’avesse detto di qualunque altro vizio, non avrebbe fatto la stessa figura. Peano è junior editor di Einaudi e tiene corsi di scrittura alla Scuola Holden, segno che il suo traviamento è peggiorato, diventando spaccio di scrittura altrui. Saranno le librerie – e i dati di vendita – a constatare se esiste cura a quest’incontinenza artistica.

Anche Sacha Naspini – scrittore ed editor –,  confessa la sua dipendenza e asserisce che «se passano dei giorni senza che tocchi carta, mi manca» e «Se non mangio tutto poi arrivano i Cariolanti» (I Cariolanti, Elliot, 2009, a pagina 5). Dall’ipotetico all’ipotonico, fino all’ipertrofico.

Pratico e diretto Paolo Nori: «Io “per disperazione”, avevo provato a far carriera nell’edilizia. Ma non ho mai avuto la passione per i soldi. Thomas Bernard diceva che lui ha comprato una casa, fatto dei debiti e allora ha dovuto scrivere per pagarli. Io, gli anni che l’assicurazione mi ha dato 90 milioni di indennizzo per un incidente, non ho scritto niente». Tra le tante qualifiche di Paolo Nori – personaggio davvero eclettico – c’è anche il diploma in Ragioneria, che per fortuna si è limitato a incorniciare.

Parla di libertà Valeria Parrella: «Quando scrivo non mi faccio nessun tipo di scrupolo: non penso mai se posso o non posso dire una cosa che voglio dire. ». Lo dimostra il titolo del suo libro d’esordio Mosca più balena (Minimum Fax e Premio Campiello Opera Prima nel 2003): sto ancora unendo i puntini per scoprire cosa apparirà.

Chiaro, efficace e apocalittico, è Umberto Eco, che, alla domanda «Perché scrivi?», risponde «Perché mi piace».
Inutile perdersi in lungaggini quando già si scrivono libri interminabili.

«Uno dei tratti salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione. Tutti lo sanno. Ciascuno di noi dà il proprio contributo».
(Harry Frankfurt, Stronzate, Rizzoli, 2005).


Per consultare tutte le altre lettere dell'Abbecediscolo, clicca qui.

Media: Scegli un punteggio12345 Il tuo voto: Nessuno Media: 5 (1 vote)

Potrebbero interessarti anche :

Ritornare alla prima pagina di Logo Paperblog

Possono interessarti anche questi articoli :