Le chiamano "fasi statiche" anche se di statico han solo l'inizio: sono mischia ordinata e rimessa laterale. Più appropriato troviamo definirle fonti del gioco: in uno sport come il rugby versione Union, caratterizzato dalla costante contendibilità dell'attrezzo (non si contano i "down" come nel football americano o nel League, non si chiama il mark in tutto il campo come nell'Ozzy Rule), quei due momenti di restart in cui il possesso è per nulla garantito, rappresentano le fondamenta da pianificare in sè con molta cura, senza pensar solo agli sviluppi successivi come si può fare negli altri sport ovali.
I protagonisti delle fonti del gioco sono gli stessi, sono i membri del pack; c'è anche in comune alle due fasi l'importanza decisiva che hanno nel gioco moderno, tanto da richiedere ognuna coach specialisti dedicati o addirittura itineranti, dalla federazione a tutte le squadre maggiori come si fa in Inghilterra. Tutto il resto è diverso, incluso il rispettivo "stadio evolutivo".
Il quale è ben definito e soddisfacente per la rimessa laterale, divenuta una delle fasi più spettacolari e produttive del gioco; invece rimane area ricca di polemiche, a volte addirittura di noia e sempre "oscura" la mischia ordinata. Andiamo quindi ad "abbeverarci" alle fonti delle fonti per capirne di più.
- Salta salta sin parar
Fino a una ventina d'anni fa non ci si poteva sollevare tra compagni e la rimessa laterale era come nel calcio o nel basket, con la differenza del dover stare in linea. Non era raro trovar squadre in cui il lanciatore fosse l'apertura o l'ala: si doveva solo stabilire a chi passarla. I più alti - seconde linee, terza centro e blindisde flanker - saltavano, gli altri assaltavano, bloccando e raccattando le palle vaganti.
La tecnica del "lifting" (nonper anziane signore ma per seconde e terze linee) si sviluppò secondo i principi darwiniani "veri":non come evoluzione competitiva ma come mutazione genetica all'interno di una popolazione rimasta isolata. Lo ricorda EwenMcKenzie, pilone dei Wallabies campioni del Mondo e ora allenatore dei Queensland Reds: alla prima tournèe post apartheid in Sudafrica nel 1992, John Eales &Soci si trovarono sbalorditi a fronteggiare delle seconde linee sudafricane altissime, sollevate dai compagni a quote stratosferiche. I Wallabies furono costretti ad adeguarsi overnight e con loro tutte le altre nazionali e club; la Irb non si oppose al "trucco" e l'innovazione fu sancita ufficialmente nei regolamenti.
Da allora vige la specializzazione e la palla è lanciata solo dal tallonatore, che spende sul fondamentale oramai più tempo che non a tallonare (in una gara ci possono essere 15-20 rimesse da lanciare, contro 5-10 mischie da tallonare). Tanto che si dice che una rimessa laterale sia tanto buona quanto chi la lancia. Di solito, prima si lancia e più veloce è la palla e meglio funziona; il che complica l'esercizio, fondandolo sulla confidenza, sul coordinanento di reparto e la capacità di "proiezione mentale" del lanciatore: deve saper intercettare due mani proiettate a circa 4 metri e mezzo d'altezza a una distanza di quindici metri, non è banale. Prima diprendersela con Ghiraldini, pensarci bene quindi.
Non è solo l'abilità del lanciatore ad aver reso la rimessa laterale una partita nella partita: ci sono anche tutti i movimenti e finte di posizionamento, decidere la "furba", la capacità di eseguire rapidamente un eventuale "piano B", tra inizio dei movimenti e lancio.
C'è poi la decisione di quanti uomini schierare, aspetto "studiato" già negli anni '80 pre-lifting. Le rimesse ridotte sono preferite dai lanciatori meno sicuri o dai team più scarsi sul fondamentale, perchè riducono parametri e varianti di cui tener conto. All'opposto, c'è stato anche chi ha sperimentato uno schieramento con 13 uomini in linea di ricezione (i Lions di Johannesburg un paio di stagioni fa, nel sempiterno laboratorio sudafricano).
In poche parole, la rimessa laterale nel rugby Union è un casino. Un casino bello e competitivo però: poco viene lasciato al caso, il giusto alla valutazione arbritrale, moltissimo all'inventiva e soprattutto agli skill coordinati di reparto, al lavoro e alla pratica continua, allo studio dell'avversario.
Per certi versi opposta è la situazione della scrum, la mischia ordinata - dall'arbitro. Da alcuni divinizzata come unico differenziatore dal rugby League (falso) o mitico elemento che consentirebbe allo Union di preservare la diversity fisica tra giocatori ruolo per ruolo invece dell'uniformità alto-grosso-e-veloce che s'impone in tutti gli altri sport, ovali e non, è una fase attualmente oggetto di particolare attenzione regolamentare ed arbitrale, banalmente sintetizzabile in un antico conflitto tra concezioni Boreale e Australe.
Cioè tra chi intenderebbe preservare il carattere "da iniziati" della scrum, una sorta di "dark art" poco penetrabile e chi invece vorrebbe renderla più comprensibile e lineare a beneficio dei neofiti: dopotutto dicono al Sud, è solo la ripresa del gioco dopo lapiù veniale delle infrazioni, i passaggi in avanti involontari; quindi non si comprende perchè consentire tanta "licenza", l'aprirsi di un autentico incubo a valle di un fatterello trascurabile.
Se andiamo indietro nel tempo (ma non tanto quanto in questo famoso post), verrebbe da dire che Down Under non hanno tutti i torti: vent'anni fa le prime linee avversarie si legavan tra loro prima che con le proprie seconde, e la spinta iniziava al momento dell'introduzione dell'ovale; l'arbitro doveva solo dare il segnale al mediano e controllare che l'ovale fosse introdotto diritto. Molto ricorda tutto sommato l'approccio "League".
In anni recenti invece s'è sviluppata l'idea della "botta iniziale" rifilata da tutto il pack unito preventivamente, per guadagnare un vantaggio prima dell'introduzione. La mischia si fa così più contendibile di prima e perciò dev'essere etero-diretta dall'arbitro, mentre inizialmente i comandi li dava il tallonatore del team all'introduzione.
Fino a quando, all'epoca degli scorsi mondiali, la Irb decide di introdurre una ulteriore fase - "touch" - tra "crouch" e "pause"-"engage", al fine di aumentare la sicurezza, costringendo a misurare col braccio la distanza tra le prime linee e ridurre così l'impatto (forza uguale massa per accelerazione, quest'ultima è aumento della velocità nello spazio, quindi più spazio c'è, più si accelera: s'è calcolato che la accelerazione in mischia possa raggiungere anche i meno nove g, più di un pilota da caccia).
Le cose procedono per un paio d'anni tra polemiche isolate e affinamenti tattici non solo nel campo Boreale (anche in Australia, let alone il Sudafrica), fino al famoso casus belli di San Siro nel novembre 2009. Quel quarto d'ora con gli All Blacks costretti all'angolo sinistro come un pugile groggy, da una minnow oltre il decimo posto nel ranking, è un atto di lesa maestà oltre che un campanello d'allarme in chiave Coppa del Mondo (se soffre così con gli italiani, che gli faranno mai i francesi?) che non va per niente giù a coach Graham Henry, il quale reclama con forza provedimenti immediati. L'amico Paddy O'Brien, grancapo mondiale degli arbitri lo ascolta, ma come si dice in Veneto, la toppa risulta peggiore dello strappo.
La prima raccomandazione agli arbitri è di rallentare la sequenza dei comandi fino a renderla "aritmica", dilatando il pause fino a quando in mischia ogni movimento di piedi, testa e spalle cessi; la cosa provoca l'aumento della confusione e degli ingaggi anticipati.
Di più, l'ingaggio è solo l'inizio della sequenza: il vero punto critico, quello noioso e incomprensibile ai più è il collasso della mischia successivo all'ingaggio. I crolli spesso sono accidentali: in mischia si sviluppa una spinta di circa una tonnellata e mezza per parte, nessuno la può controllare individualmente, basta un piede messo male o un disallineamento, l'angolo diventa impossibile da reggere e per legge fisica si cade trascinando tutti; in altri casi c'è il dolo deliberato, elemento di una tattica prestabilita.
Il punto è che, salvo casi eclatanti (s'è visto recentemente un terza centro spostarsi per spingere uno solo dei suoi lock per far girare la mischia), il meccanismo del dolo o del caso sono i medesimi - una spinta disassata, un piede spostato che determinano l'angolo impossibile - rendendo impossibileanche la decisione arbitrale: questi dovrebbe controllare troppi parametri, alla fine è costretto ad appoggiarsi a un solo aspetto magari marginale, al fine di rispettare il secondo diktat di O'Brien, chiudere la fase il più rapidamente possibile. Il risultato, altro che engage, è il disengage del pubblico non esperto, la rinuncia a capire: "il rugby è uno sport difficile" - del resto sono gli stessi (ex-) piloni a garantire, chi non ha mai giocato tra i primi 5 non potrà mai capire bene cosa succede là dentro.
Il paradosso è che i tempi spesi in mischia non calano, anzi aumentano anche se ne fanno sempre di meno; alla fine l'incertezza sta facendo salire la strategicità della mischia a un livello che non ha mai avuto prima: è come il corner nel calcio, grazie a uno solo, chiunque può battere chiunque. E' forse la nemesi in faccia a chi aveva richiesto maggior tutela agli arbitri. Ne vedremo le conseguenze ai Mondiali, dove la mischia ordinata rischia di divenire uno dei fattori critici che più possono influenzare i risultati.
Per evitare l'eccesso di "cheating" forse sarebbe sufficiente limitare l'iper- regolamentazione e l'interventismo arbitrale: va ben che l'Union è un gioco "referee driven", ma a tutto c'è un limite.
L'ingaggio della mischia ad esempio, sarebbe più efficace e meno ingannabile rendendo assolutamente cadenzati e quindi più predicibili i comandi dell'arbitro, al quale resterebbe solo da controllare che le schiene siano diritte mentre il guardalinee più vicino potrebbe controllare l'introduzione. Una volta che l'impatto avviene a schiene diritte, sarebbero più difficili i "crabbing" (camminate laterali per spingere tutti addosso a uno e farlo cadere, o far ruotare la mischia).
Com'è ovvio, un minimo di spazio alla "creatività" e/o alle leggi della fisica rimane sempre, è inevitabile. Almeno non si rischia di scivolare dalla padella alla brace, dal caos impredicibile odierno alla mera formalità dello snap del football americano o delle mischie league.
Del resto un po' di "sana paura" delle mischie Boreali fa bene agli Australi e al rugby, altrimenti prenderebbero piloni strutturati fisicamente come terze linee per fargli fare da ball carrier o i fetcher e basta: "Playing prop gets a bit monotonous in league, you’re running hard and hitting hard, they are your two goals, but you’re doing nothing in the game" (Trevor Richardson, ex pilone League a Sydney).