E' nel "fare spazio" che viene giocato il carattere distruttivo, in questo breve frammento di Benjamin. Fare spazio non è fare tabula rasa, ma riuscire a mandare in crisi la configurazione attuale di quella costruzione che chiamiamo "realtà", scompigliandone l'ordine. Nessun oggetto che occupa la realtà è inamovibile o insostituibile. Fare spazio non significa fare il vuoto. Sosterrà più tardi, nel 1932, in un altro frammento, che lo spazio abitativo dovrebbe configurarsi così come avviene in alcune abitazioni del meridione spagnolo, in cui il mobilio ha improbabile ed incerta provenienza ed è suscettibile, pertanto, di diversi, seppure non predeterminati, utilizzi, e a conformazioni e disposizioni sempre nuove, non prevedibili e sempre di nuovo rimovibili.
Oggetti, come dire "deprivati dell'aura", quelli spagnoli, che vivono nella prassi, nell'agire politico, senza luogo né ruolo prestabilito. Disponibili sempre ad entrare a far parte di nuove "costruzioni". La perdita e la scomparsa si possono tradurre, così, nella comparsa di qualcos'altro, possono "fare spazio" a qualcos'altro; non migliore né peggiore di quanto perduto e scomparso. Operazione difficile assai che si scontra con il romantico attaccamento a quanto si perde, per sempre, e che prescrive, proprio per questo, la consapevolezza dell'importanza, e la messa in categorie, di quel che si perde. Un amore, una casa, una città, un mondo.
IL CARATTERE DISTRUTTIVO
di Walter Benjamin - 1931 -
Nel guardare indietro nella propria vita, potrebbe capitare di riconoscere che quasi tutti i legami più profondi, a cui in essa si è sottostati, hanno avuto origine da persone, sul cui carattere distruttivo erano tutti d'accordo. Un giorno si potrebbe incappare, forse per caso, in questo fatto, e quanto più forte sarà lo shock da cui si sarà colpiti, tanto più grandi saranno le chances per una rappresentazione del carattere distruttivo.
Il carattere distruttivo conosce solo una parole d'ordine: creare spazio; una sola attività: far pulizia. Il suo bisogno di aria fresca e di uno spazio libero è più forte di ogni odio.
Il carattere distruttivo è giovane e sereno. Distruggere infatti ringiovanisce, perché toglie di mezzo le tracce della nostra età; rasserena, perché ogni eliminare, per il distruttore, significa una perfetta riduzione, anzi un'estrazione della radice della propria condizione. A tale immagine apollinea del distruttore ci conduce ancora di più la considerazione di come si semplifichi infinitamente il mondo, se si appura che merita di essere distrutto. Questo è il grande vincolo che stringe armoniosamente tutto l'esistente. Questa è una visione che procura al carattere distruttivo uno spettacolo della più profonda armonia.
Il carattere distruttivo quando lavora è sempre fresco e riposato. E' la natura a prescrivergli il tempo, almeno indirettamente: poiché egli la deve prevenire. Altrimenti intraprenderà lei stessa la distruzione.
Il carattere distruttivo non ha alcun modello. Ha pochi bisogni, e nulla gli importa meno che sapere cosa subentra al posto di ciò che è stato distrutto. In un primo momento, almeno per un attimo, lo spazio vuoto, il luogo dove stava la cosa, dove la vittima ha vissuto. Si troverà certamente qualcuno che lo usa, senza prenderne possesso.
Il carattere distruttivo fa il suo lavoro, evita solo il lavoro creativo. Come il creatore cerca la solitudine, colui che distrugge deve continuamente attorniarsi di gente, di testimoni della sua attività.
Il carattere distruttivo è un segnale. Come un disegno trigonometrico è esposto da tutti i lati al vento, egli è esposto da tutti i lati al pettegolezzo. Proteggerlo da ciò è privo di senso.
Al carattere distruttivo non importa affatto essere compreso. Sforzarsi in questa direzione lo ritiene superficiale. L'essere frainteso non lo può danneggiare. Al contrario tutto questo lo provoca, come lo provocano gli oracoli, queste distruttive istituzioni statali. Il più piccolo-borghese dei fenomeni, il pettegolezzo, ha luogo solo perché la gente non vuole essere fraintesa. Il carattere distruttivo si lascia fraintendere; così non incoraggia il pettegolezzo.
Il carattere distruttivo è nemico dell'uomo-astuccio. L'uomo-astucccio cerca la propria comodità e di questa l'astuccio ne è la quintessenza. L'interno dell'astuccio è la traccia, rivestita di velluto, che lui ha impresso nel mondo. Il carattere distruttivo cancella perfino le tracce della distruzione.
Il carattere distruttivo sta nel fronte dei tradizionalisti. Mentre alcuni tramandano le cose rendendole intangibili e conservandole, altri tramandano le situazioni rendendole maneggevoli e liquidandole. Questi vengono chiamati i "distruttivi".
Il carattere distruttivo ha la coscienza dell'uomo storico, il cui sentimento fondamentale è un'insormontabile diffidenza nel corso delle cose, nonché la prontezza con la quale prende nota del fatto che tutto può andare storto. Perciò il carattere distruttivo è la fiducia stessa.
Il carattere distruttivo non vede niente di durevole. Ma proprio per questo vede dappertutto delle vie. Ma poiché vede dappertutto una via, deve anche dappertutto sgombrare la strada. Non sempre con cruda violenza, talvolta anche con violenza raffinata. Poiché dappertutto vede vie, egli stesso sta sempre ad un incrocio. Nessun attimo può sapere ciò che il prossimo reca con sé. L'esistente lui lo manda in rovina non per amore delle rovine, ma per la via che vi passa attraverso.
Il carattere distruttivo non vive per il sentimento che la vita merita d'essere vissuta, ma perché non vale la pena di suicidarsi.