Magazine Cultura
Nei primi anni '50 del XX secolo a Soreni, un piccolo paesino della Sardegna, dove tutti sanno tutto di tutti facendo finta di non sapere, la piccola Maria Listru, ultima e indesiderata di quattro sorelle orfane, viene adottata da Bonaria Urrai, una vedova benestante. La donna ha preso la bambina con sè, la farà diventare adulta e sua erede. In cambio chiede solo una cosa, che la bambina si prenda cura di lei, quando ne avrà bisogno. Maria è stata da sempre abituata a pensarsi come l'"ultima" in tutti i sensi e per questo non finiscono più di sorprenderla il rispetto e le attenzioni della nuova madre, che le ha offerto dimora, istruzione e futuro.
Eppure c'è qualcosa di misterioso in questa anziana signora, nei suoi silenzi, nello sguardo timoroso di chi la incontra e nelle improvvise uscite notturne che Maria non riesce a comprendere. Tzia Bonaria infatti nasconde un segreto alla bambina; è colei che dona l'ultimo respiro a chi, in fin di vita, non chiede che di morire. Il suo è il gesto amorevole e finale dell'accabadora, l'ultima madre.
Quando Maria, in seguito alle confidenze dell'amico Andrìa, che una notte aveva sorpreso l'accabadora porre fine alle sofferenze del fratello, scopre l'altra faccia di Tzia Bonaria, sconcertata, decide, dopo un duro confronto, di lasciare il paese per la grande e lontana Torino.
Quando, due anni più tardi, Maria riceve una lettera dalla sorella che le comunica le gravi condizioni di salute di Tzia Bonaria, decide di fare rientro a Soreni e di accudire la donna.
I giorni passano e la vecchia Urrai continua a sopravvivere tra dolori lancinanti sempre più insopportabili. Maria dovrà allora riconsiderare le sue frettolose considerazioni riguardo all'eutanasia. La lezione che Tzia Bonaria aveva impartito alla piccola : "Non dire mai: di quest'acqua io non ne bevo" si era rivelata quanto mai vera e anticipatrice dei futuri eventi.
Ma l'ultimo, naturale, respiro della vecchia Urrai, la salverà da questo estremo gesto, che era ormai pronta a compiere.
Un grazie a papà per avermi regalato questo libro!
Un capolavoro!
Ho letto questo romanzo ormai da più di un anno e non ho dimenticato nemmeno una parola di quelle pagine. E' un libro che ti rimane dentro; anche se lungo "solo" 127 pagine non sembra mancare di nulla. E' un romanzo lineare, finisce così come è incominciato, sembra quasi infantile nella sua incredibile maturità. Eppure tocca temi importanti e "pesanti" quali l'adozione e l'eutanasia.
L'accabadora è una figura chiave della tradizione sarda; è la donna che accompagna gli ultimi istanti dei moribondi, dando loro il colpo finale ed evitandogli una lunga sofferenza. Una vera e propria eutanasia ante litteram. Nella Sardegna degli anni '50 questa era una pratica comune, affidata ad una persona che svolgeva l'incarico come se fosse un mestiere.
Interessante è anche conoscere l'usanza dei "fill'e anima", quei bambini adottati senza alcuna forma di regolamentzione giuridica, e che di fatto venivano allevati dai genitori adottivi, ma senza perdere i contatti con i genitori naturali.
E' un libro sul "confine". Il confine tra vita e morte. Il confine tra le cose che si fanno o non si fanno.
Meritatissimo Premio Campiello 2010.
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