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Accadde oggi:79 d.c.-Data tradizionale, ma errata, dell'eruzione del Vesuvio, che provocò la distruzione delle città di: Ercolano ,Pompei e Stabia
Creato il 24 agosto 2011 da CavaliereoscurodelwebL'eruzione del Vesuvio del 79 è il principale evento eruttivo verificatosi sul Vesuvio in epoca storica. L'eruzione, che ha profondamente modificato la morfologia del vulcano, ha provocato la distruzione delle città di Ercolano e Pompei, le cui rovine, rimaste sepolte sotto strati di pomici, sono state riportate alla luce a partire dal XIX secolo.
Le sostanze eruttate per prime sono state fondamentalmente pomici, quindi rocce vulcaniche che sono originate da un magma pieno di gas e raffreddato. Mescolati ai pomici si trovano parti di rocce di altra natura che furono trasportati dal magma; al di sopra delle pomici sono rimasti intrappolati la maggior parte dei cadaveri a Pompei, avvolti nelle ceneri. I residui piroclastici della eruzione sono stati rintracciati in un'area ampia centinaia di chilometri quadrati, inoltre gli esperti hanno calcolato che l'altezza della nube di gas e pomici abbia raggiunto i 17 chilometri. Per quanto riguarda la composizione chimica delle sostanze eruttate nel 79 d.C., questa è diversa da quella delle lave eruttate nel periodo che va dal 1631 al 1944; infatti i magmi pliniani hanno mostrato di possedere una maggiore ricchezza di silice e di sodio e potassio e una minore quantità di calcio e magnesio; gli specialisti giustificano queste differenze perché nel caso delle lave pliniane, il magma si sarebbe fermato per alcune centinaia di anni (circa 700) ad una profondità di qualche chilometro, nella camera magmatica, dove si è raffreddato fino a 850 °C e si é attivata la cristallizzazione.
La data dell'eruzione del Vesuvio del 79 è attestata da una lettera di Plinio il giovane a Tacito, in cui si legge nonum kal. septembres cioè nove giorni prima delle Calende di settembre, data che corrisponde al 24 agosto.
Questa data era contenuta nella variante universalmente ritenuta più attendibile del manoscritto ed è stata accettata come sicura fino ad oggi, anche se alcuni dati archeologici via via emersi mal si accordano con una data estiva.
Nel 62 gli abitanti subirono un primo colpo: la montagna si scosse violentemente e un gran numero di case vennero distrutte dal terremoto. Il successivo periodo di tranquillità favorì la ricostruzione degli edifici crollati. La vita riprese a scorrere ordinata e tranquilla in quelle terre che, ormai stabilmente inserite nel ben strutturato sistema imperiale, si potevano ritenere al riparo da qualsiasi minaccia esterna. Le abbondanti reliquie di quel periodo sono tipiche di ricche, operose cittadine di provincia, lontane tanto dal fasto e dal rumore dell' Urbe che dall'atmosfera raffinata e decadente della greca Neapolis, pur vicinissima. Ma un giorno dell'autunno del 79 su Stabia, Pompei e Ercolano si scatenò il finimondo.
Plinio il Vecchio quel giorno era al suo posto di comando della flotta romana dislocata a Miseno. La sua famiglia era con lui, e, tra gli altri, suo nipote, Plinio il Giovane, ci ha lasciato un'interessante testimonianza su ciò che successe. Egli osservò una nube molto densa elevarsi in direzione del Vesuvio, della quale scrisse:
« Non posso darvi una descrizione più precisa della sua forma se non paragonarla a quella di un albero di pino; infatti si elevava a grande altezza come un enorme tronco, dalla cui cima si disperdevano formazioni simili a rami. Sembrava in alcuni punti più chiara ed in altri più scura, a seconda di quanto fosse impregnata di terra e cenere. »
(Plinio il Giovane)
Vedendo questa notevole apparizione, Plinio il Vecchio, grande naturalista e, ovviamente, attento all'osservazione di fenomeni insoliti, fece approntare una nave per andare a vedere più da vicino cosa stesse avvenendo, e offrì al nipote l'opportunità di accompagnarlo. Plinio il Giovane che preferì restare a casa a studiare, nelle già citate lettere, a Tacito, descrive anche la fine dello zio. Questi, infatti, aveva ricevuto, nel frattempo, una lettera da Ercolano dalla moglie di Cesio Basso, Retina che chiedeva aiuto non avendo altro scampo che per mare. La missione da scientifica si trasformò quindi in soccorso: Plinio, comandante della flotta di Miseno, ben conosceva il litorale vesuviano dove erano le residenze di numerosi amici. Altre navi furono quindi fatte salpare verso quelle spiagge.
Mentre si stava perciò dirigendo verso Ercolano ai piedi della montagna, la nave fu investita da una pioggia di cenere rovente, che diveniva più intensa e calda quanto più si avvicinava, cadendo, insieme a grumi di pomice e roccia nera e rovente. Una grande quantità di frammenti rotolava giù dalla montagna, agglomerandosi sempre di più. Il mare, poi, iniziò a ritirarsi, rendendo impossibile l'approdo. Plinio, pertanto, si diresse verso Stabia e lì approdò, facendosi ospitare da Pomponiano (Pomponianus), un suo vecchio amico.
Nel frattempo, le fiamme scaturivano da ogni parte della montagna con grande violenza - l'oscurità non faceva altro che aumentare il loro splendore. Nonostante tutto, Plinio decise di riposare. Ma presto la zona si riempì di lapilli e ceneri; i suoi servi lo svegliarono, e lui raggiunse Pomponiano e la famiglia. La casa tremava per le forti scosse di terremoto e, nel frattempo, lapilli e ceneri continuavano a piovere all'esterno. Valutati i rischi tutti pensarono che fosse più sicuro uscire all'aperto proteggendosi la testa con cuscini. Anche se era ormai giorno, l'oscurità era più profonda della notte più nera.
Plinio, persona di complessione robusta ma asmatica, dopo aver bevuto acqua fredda, si stese su una vela che era stata stesa per lui ma, quasi immediatamente, la lava, preceduta da un forte odore di zolfo lo obbligò ad alzarsi. Con l'aiuto di due servi ci riuscì, tuttavia, soffocato dai vapori tossici, morì istantaneamente. Il corpo, rintracciato dopo tre giorni, "sembrava di persona che dormisse".
In un'altra lettera a Tacito, Plinio il Giovane si sofferma invece su quanto accadde a Miseno, dove era restato con la famiglia. Si tratta di una descrizione altamente drammatica, in specie nella raffigurazione della "notte" che calò sull'abitato (che, va ricordato, è situato all'estremo opposto rispetto alla costa vesuviana). Infatti, Plinio è molto preciso e puntualizza che furono avvolti da una notte che non era una notte illune o nuvolosa ma il buio di una stanza chiusa e senza la minima luce. Ci si muoveva, ricorda, in questo buio fitto, liberandosi di continuo dalle ceneri calde che cadevano ininterrottamente e che, altrimenti avrebbero sommerso le persone.
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