Quella degli Accept è stata una delle pochissime reunion che ha avuto senso da un punto di vista creativo. Wolf Hoffman aveva fame, aveva voglia di spaccare i culi. Avrebbero dovuto chiamarlo per Expendables 3, ci sarebbe stato benissimo. E, nel ruolo improbo di sostituire un’icona come Udo (che, viaggiando, ho scoperto avere una fittissima attività live estiva nei raduni di biker nei Balcani e un raduno di biker nei Balcani con Udo è decisamente una cosa da fare prima di morire), Mark Tornillo è stato un grande acquisto. Non cerca di imitare l’ingombrante predecessore ma ha uno stile perfetto per come suonano oggi i tedeschi, impegnati a rileggere i canoni da loro creati con arrangiamenti più tirati e moderni, conservando sempre un’inattaccabile aura di classicità. Non mi viene in mente un gruppo di quella generazione che sia invecchiato meglio.
Blind Rage, all’inizio, mi era sembrato inferiore ai due precedenti. Mi era sorto un paragone con White Devil Armory degli Overkill, un passo indietro fisiologico dopo due dischi della madonna di seguito. Forse perché il titolo e la copertina si erano rivelati fuorvianti. A parte il singolo Stampede, l’album è meno aggressivo di Blood of the Nations e Stalingrad e approfondisce la componente più cupa e crepuscolare della personalità degli Accept. Mancano gli inni birraioli alla Teutonic terror, si va soprattutto di mid-tempo epici e solenni, arpeggi, ritornelli piacioni per abbracciare più forte la milf divorziata con figli che avete rimorchiato da sbronzi in un bowling di Würzburg. Poi, con gli ascolti, cresce e non ti molla più. Inizi a soffermarti sui dettagli, quei dettagli che fanno il disco, come l’attacco anni ’60 di From the ashes we rise, l’assolo di Final Journey, dove Hoffman riprende Il mattino di Grieg (Dopo Per Elisa su Metal Heart e l’inno nazionale russo su Stalingrad) o il filosoficamente importantissimo testo di The curse, che parla di come sia una maledizione essere buoni e comportarsi bene. Perché, ragazzi, provare a vivere secondo i dettami del metallo tetesco non è mica semplice. Devi sempre essere in grado di superare le inevitabili avversità con bonomia e spirito positivo come ti ha insegnato Wolf Hoffman, insieme a Kai Hansen. E un po’ anche Chris Bay, però lui vive nel villaggio dei Puffi e non si preoccupa mai troppo dei nemici del vero metal, sempre in agguato allo scopo di rovinarti giornate che tu chiedi solo di trascorrere in letizia e armonia con l’universo, mangiando salsicce, bevendo birra, ascoltando gli Accept con gli amici e, ogni tanto, dando una botta alla milf di Würzburg. Perché il metallo tetesco ha anche un lato romantico. Magari tra qualche anno vedremo una coppia mormorarsi all’Hellfest: senti, stanno suonando Dark side of my heart, la nostra canzone. Cosa manco troppo improbabile, dato che in Germania (nonché, noblesse oblige, in Finlandia) Blind Rage ha esordito al primo posto delle classifiche nazionali.
Se ci pensate, è la più bella dimostrazione di orgoglio patrio possibile. Magari la loro economia è più competitiva perché si sparano Balls to the wall nelle fabbriche.
Gli ultimi di una stirpe che sta morendo, recita il testo della splendida Dying breed. Ma davvero, porca puttana.