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Accessibilità disabili al Museo degli Affreschi di Verona

Creato il 10 marzo 2016 da Dismappa
Accessibilità disabili al Museo degli Affreschi di Verona

SEDE E STORIA

Il Museo degli affreschi 'Giovanni Battista Cavalcaselle' sorge sull'area di un complesso conventuale le cui origini risalgono al XIII secolo. La primitiva chiesa di San Francesco al Corso fu eretta infatti nel 1230, e insieme all'annesso convento ospitava una comunità di francescani conventuali. Quando i frati si trasferirono nella più prestigiosa sede di San Fermo maggiore, nel 1257, qui subentrarono le religiose del monastero di Santa Maria di Zevio. Nel 1366 le poche monache rimaste accolsero la regola benedettina, ma nel 1447 il convento ormai in abbandono venne soppresso e unito a quello di Santo Spirito.
Occorre attendere un secolo prima che rifiorisca tra queste mura una vita comunitaria. Nel 1548 il complesso fu destinato ad ospitare le convertite e le zitelle che il vicino monastero della Santissima Trinità non poteva più accogliere. Queste donne (ex prostitute, malmaritate, mogli abbandonate, ragazze senza dote) furono perciò chiamate Franceschine. Nel 1624 un fulmine colpì la polveriera nella vicina Torre della Paglia, lungo le antiche mura comunali. La terribile esplosione che ne seguì distrusse o danneggiò gravemente molti edifici circostanti; la chiesa e una parte del convento di San Francesco furono ricostruiti dalle fondamenta nelle forme che ancor oggi conservano.
Questa storia secolare si interrompe all'inizio dell'Ottocento, quando, in seguito ai decreti napoleonici del Regno d'Italia, molti monasteri vennero soppressi e incamerati dal demanio. Anche il complesso delle Franceschine condivise questa sorte e fu destinato in parte ad usi militari, in parte ad accogliere istituzioni assistenziali. Il successivo abbandono e i danni causati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale ne misero in pericolo la stessa sopravvivenza. Fortunatamente negli anni sessanta una maggiore consapevolezza nella tutela del patrimonio culturale portò al restauro della chiesa e del convento e alla decisione di destinarli a sede museale. Nel 1973 vi venne inaugurato un museo intitolato a Giovanni Battista Cavalcaselle.

Giovanni Battista Cavalcaselle (Legnago, Verona, 1819 - Roma 1897) può essere considerato il fondatore della moderna storia dell'arte in Italia. I suoi studi sull'antica pittura italiana e fiamminga, scritti in collaborazione con l'inglese Joseph Archer Crowe, sono ancor oggi fondamentali. Inoltre si occupò attivamente, avanzando proposte di esemplare concretezza e intelligenza, di problemi come la conservazione e il restauro, l'allestimento dei musei, la catalogazione delle opere d'arte, la riforma dell'insegnamento accademico.

Fonte: http://museodegliaffreschi.comune.verona.it/

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L'ingresso e la prima Sala

Ingresso

Il Museo degli affreschi 'Giovanni Battista Cavalcaselle' sorge sull'area di un complesso conventuale le cui origini risalgono al XIII secolo. La primitiva chiesa di San Francesco al Corso fu eretta infatti nel 1230, e insieme all'annesso convento ospitava una comunità di francescani conventuali. Quando i frati si trasferirono nella più prestigiosa sede di San Fermo maggiore, nel 1257, qui subentrarono le religiose del monastero di Santa Maria di Zevio. Nel 1366 le poche monache rimaste accolsero la regola benedettina, ma nel 1447 il convento ormai in abbandono venne soppresso e unito a quello di Santo Spirito. Occorre attendere un secolo prima che rifiorisca tra queste mura una vita comunitaria. Nel 1548 il complesso fu destinato ad ospitare le convertite e le zitelle che il vicino monastero della Santissima Trinità non poteva più accogliere. Queste donne (ex prostitute, malmaritate, mogli abbandonate, ragazze senza dote) furono perciò chiamate Franceschine. Nel 1624 un fulmine colpì la polveriera nella vicina Torre della Paglia, lungo le antiche mura comunali. La terribile esplosione che ne seguì distrusse o danneggiò gravemente molti edifici circostanti; la chiesa e una parte del convento di San Francesco furono ricostruiti dalle fondamenta nelle forme che ancor oggi conservano. Questa storia secolare si interrompe all'inizio dell'Ottocento, quando, in seguito ai decreti napoleonici del Regno d'Italia, molti monasteri vennero soppressi e incamerati dal demanio. Anche il complesso delle Franceschine condivise questa sorte e fu destinato in parte ad usi militari, in parte ad accogliere istituzioni assistenziali. Il successivo abbandono e i danni causati dai bombardamenti della seconda guerra mondiale ne misero in pericolo la stessa sopravvivenza. Fortunatamente negli anni sessanta una maggiore consapevolezza nella tutela del patrimonio culturale portò al restauro della chiesa e del convento e alla decisione di destinarli a sede museale. Nel 1973 vi venne inaugurato un museo intitolato a Giovanni Battista Cavalcaselle. Cavalcaselle (Legnago, Verona, 1819 - Roma 1897) può essere considerato il fondatore della moderna storia dell'arte in Italia. I suoi studi sull'antica pittura italiana e fiamminga, scritti in collaborazione con l'inglese Joseph Archer Crowe, sono ancor oggi fondamentali. Inoltre si occupò attivamente, avanzando proposte di esemplare concretezza e intelligenza, di problemi come la conservazione e il restauro, l'allestimento dei musei, la catalogazione delle opere d'arte, la riforma dell'insegnamento accademico.

Frammenti di affreschi con figure di santi
Secondo Maestro di San Zeno (circa 1330 - 1340)
Verona, chiesa di Santa Felicita

All'ingresso, nella saletta della biglietteria, sono esposti alcuni frammenti di affreschi trecenteschi. La scuola pittorica veronese ha sempre privilegiato la tecnica dell'affresco, non facile ma veloce ed economica. Nel Trecento i pittori locali tappezzarono letteralmente le pareti delle chiese cittadine di riquadri votivi raffiguranti Madonne con il bambino e i santi più venerati, mentre le dimore private, per esempio la residenza scaligera di Castelvecchio, erano decorate con motivi geometrici dipinti a colori vivaci. I pezzi qui esposti risalgono al secondo quarto del secolo e provengono dalla chiesa sconsacrata di Santa Felicita. Si tratta di alcune teste di santi che non è più possibile identificare, frammenti di scene più ampie, in parte ancora esistenti, dalle quali furono staccati alla fine dell'Ottocento. Sono attribuiti a una personalità artistica ancora da definire, identificata con il nome convenzionale di 'secondo maestro di San Zeno' perché particolarmente operoso nell'abbazia benedettina (ma anche nella chiesa domenicana di Santa Anastasia e in quella francescana di San Fermo). Questo prolifico artista contribuì a maturare verso forme più elegantemente gotiche il monumentale giottismo dei maestri della generazione precedente, svuotandolo tuttavia della sua grandiosità e della sua forza.

La morte di Giulietta e Romeo
Angelo Dall'Oca Bianca (Verona 1858 - 1942)
Dono dell'artista

Angelo Dall'Oca Bianca celebrò nella sua pittura la città natale descrivendola in tutti i suoi aspetti, dai più quotidiani e popolari - famose le sue raffigurazioni del mercato di piazza Erbe - a quelli legati alla storia e al mito. Non poteva ignorare quindi la leggenda di Giulietta e Romeo, ancor oggi indissolubilmente legata alla città. Nel complesso di San Francesco al Corso è stata collocata la cosiddetta Tomba di Giulietta, che il visitatore potrà vedere alla fine del suo percorso.

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Affreschi del Medioevo e del Rinascimento

Frammenti di affreschi
Maestro del 996
Verona, sacello dei Santi Nazaro e Celso

Gli affreschi esposti in questa sala provengono dal cosiddetto sacello dei Santi Nazaro e Celso, parte di un complesso rupestre assai articolato risalente al periodo paleocristiano scavato nel tufo del monte Costiglione, poco lontano dalla chiesa che ne ha ripreso il nome, probabilmente un martyrium destinato ad accogliere le reliquie dei santi titolari. La grotta presentava un vano a pianta quadrata coperto da una volta a botte, fiancheggiato da due vani rettangolari poco profondi anch'essi voltati a botte. Le pareti di questo ambiente erano ricoperte da due strati sovrapposti di affreschi; il più antico recava un'iscrizione con la data 996. Se ne possono vedere qui cinque frammenti: i primi due raffigurano degli angeli, e tra loro un terzo mostra il Cristo benedicente; sulla parete vicina due teste di santi entro clipei e un volto femminile, forse di Madonna. L'autore (o più probabilmente gli autori, data la complessità del ciclo originario) esibisce un colore a stacchi violenti e un segno vigoroso e teso. Si veda per esempio il modo in cui sono resi i tratti fisionomici, soprattutto gli occhi, enormi e sbarrati sotto la pesante arcata sopracciliare. Anche le linee di contorno e il panneggio sono ricondotti ad una serie di formule semplificate e astratte, quasi geometriche.

Frammenti di affreschi
Pittori veronesi della seconda metà del XII secolo
Verona, sacello dei Santi Nazaro e Celso

Il secondo strato, più tardo di circa due secoli, è più ampiamente documentato. Nella sala è esposto un grande ovale con il Cristo benedicente, che decorava la volta del sacello, mentre altre due pareti sono state ricomposte con i frammenti superstiti. Nella prima compaiono i santi Nazaro e Celso che affiancano la figura dell'arcangelo Michele, dipinta entro una nicchia. Nella lunetta superiore era raffigurata una Annunciazione di cui si vede ancora parte della Madonna e della città sullo sfondo, comunemente interpretata come la Gerusalemme celeste. La seconda mostra i santi Pietro, Paolo e altri apostoli, e dei bei fregi a greca prospettica con figure di animali (un pesce, un cane corrente). Colpisce ancor oggi, nonostante i guasti, la ricchezza straordinaria del colore, che è steso a campiture omogenee e vivacemente contrastanti, secondo un gusto tipicamente medievale. La cultura che sostanzia gli affreschi rivela sia l'influenza della pittura e della mosaicistica veneto- bizantina, sia della miniatura romanica occidentale, soprattutto di area tedesca.

Affreschi mitologici
Paolo Farinati (Verona 1524-1606)
Verona, palazzo Guarienti

Nella sala successiva è stato ricostruito un ambiente di un palazzo veronese del Cinquecento, palazzo Guarienti ai Filippini, ricollocando gli affreschi che ne decoravano le pareti nella loro disposizione originaria. Il soggetto di questo ciclo pittorico non è stato ancora completamente chiarito, anche se vi si riconoscono alcune figure mitologiche o allegoriche: Mercurio con il caduceo, Venere con due eroti, Diana cacciatrice, l'allegoria della Fama con una tromba, raffigurazioni di divinità fluviali e di ninfe delle acque. Per interpretarlo correttamente dovremmo conoscere la fonte letteraria utilizzata dal pittore, che invece ci sfugge. La presenza, nelle sovraporte, di figure femminili con strumenti musicali ha fatto ipotizzare che questa fosse una sala da musica. Molto interessante è anche la partitura decorativa: colonne ioniche abbinate e viste in prospettiva delimitano un breve porticato, oltre il quale si aprono vasti paesaggi dai cieli luminosi. L'ambiente è concepito come una loggia aperta verso l'esterno, dove si alternano aperture reali - le porte, le finestre - ad aperture dipinte illusionisticamente, sul modello della Sala delle Prospettive di Baldassarre Peruzzi nella villa della Farnesina a Roma. Questa decorazione pittorica totale si sostituisce nel sesto decennio del Cinquecento a un'altra tipologia decorativa, anch'essa di derivazione romana ma più arcaica, costituita da stucchi, grottesche, riquadri dipinti con paesi o scene mitologiche, ma sempre delimitati e incorniciati. Gli affreschi, databili al 1560 circa, sono un'opera relativamente giovanile di Paolo Farinati, che fu uno dei protagonisti della pittura veronese del Cinquecento, apprezzato soprattutto nelle grandi decorazioni a fresco. Il camino invece è un manufatto più antico, eseguito probabilmente alla fine del secolo precedente, ed è stato qui inserito in sostituzione del camino originale che non si è conservato.

Vedi http://museodegliaffreschi.comune.verona.it

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Affreschi del Cinquecento

In questa sala e nella seguente sono esposti una serie di affreschi provenienti dal magnifico palazzo fatto costruire alla metà del Cinquecento dal ricco mercante tessile Fiorio de Floriis, detto Fiorio della Seta. Di grandi dimensioni, l'edificio sorgeva isolato lungo l'Adige in prossimità del ponte Nuovo; era dipinto su tutte e quattro le facciate e costituiva l'esempio più clamoroso di palazzo affrescato veronese. Purtroppo fu demolito alla fine dell'Ottocento in seguito a una disastrosa inondazione del fiume, quando si pensò di scongiurare il pericolo con la costruzione di nuovi argini. Questa decisione portò all'abbattimento di numerosi palazzi; in quella occasione una parte degli affreschi furono staccati e portati in salvo, ma i frammenti qui esposti possono dare solo una pallida idea della bellezza e della ricchezza iconografica del ciclo originario, dipinto da due dei maggior pittori veronesi del Cinquecento: Domenico Brusasorci e Bernardino India.

Marte, Giove e Apollo
Fregio di putti
Bernardino India (Verona 1528-1590)
Verona, palazzo di Fiorio della Seta

India realizzò solo una parte del complesso, la facciata meridionale del palazzo che dava sull'imboccatura del ponte Nuovo, subentrando a Brusasorci per motivi - pare - di ordine economico che incrinarono i rapporti tra il pittore e il committente. Questa facciata raffigurava gruppi di divinità (qui si vedono Marte, Giove e Apollo), personificazioni di varie città della Repubblica veneta e un fregio di putti del quale si è conservata circa una metà. Si noti come alcuni di questi putti giochino con matasse di seta, altri con un filatoio che reca le iniziali di Fiorio: per il suo carattere pubblico una facciata dipinta era infatti un manifesto della personalità, della cultura, della professione del proprietario.

Combattimento di animali
Divinità dell'Olimpo
Domenico Brusasorci (Verona 1516 ca.-1567)
Verona, palazzo di Fiorio della Seta

Gli altri tre lati del palazzo (ma anche il grande salone al piano nobile) furono affrescati da Domenico Brusasorci, che lasciò qui probabilmente il suo capolavoro. Nella prima saletta si può vedere un frammento del fregio che correva lungo la facciata posteriore, con un combattimento di animali: cervi, mastini, leoni, draghi alati. Nella sala successiva sono esposte cinque scene in monocromo verde che erano collocate in origine tra le finestre del secondo piano del prospetto principale, e che raffigurano divinità dell'Olimpo: Venere con Amore e Vulcano; Apollo e le Muse; un riquadro con figure non meglio identificate; Marte; infine nel frammento maggiore che stava al centro della facciata, Giove con l'aquila e lo scettro, Saturno con la falce, Giunone con il pavone, mentre in secondo piano si riconoscono Minerva, Mercurio e Nettuno. Purtroppo non sono sopravvissuti gli episodi principali del ciclo pittorico: le mitiche nozze del dio Benaco con Caride, ninfa del Garda, sulla facciata principale, la storia di Amore e Psiche su quella posteriore.

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Affreschi dal Trecento al Seicento

L'esposizione di affreschi cinquecenteschi prosegue nel corridoio che porta alla chiesa. I pittori veronesi furono degli autentici specialisti nella pittura a fresco, sia in interni sia in esterni. Verona, in particolare, era caratterizzata in passato dall'abbondanza delle facciate dipinte: se ne contavano molte centinaia, risalenti per la maggior parte al Cinquecento. Alcune erano decorate con un semplice fregio sotto la grondaia, altre con scene di soggetto religioso, storico o mitologico, che talvolta si articolavano in cicli di notevole complessità. Purtroppo i danni del tempo e degli uomini hanno diminuito di molto il numero degli esemplari superstiti. Ma già alla fine dell'Ottocento, grazie all'intervento di uomini come Cavalcaselle, si diede inizio a una campagna di stacco per salvare quanto più possibile di questo grande patrimonio.

Scena mitologica
Francesco Torbido, detto il Moro
(Venezia 1482 circa - Verona 1562)
Verona, casa Saraina

Francesco Torbido fu il primo pittore veronese ad abbracciare il nuovo linguaggio pittorico elaborato a Roma all'inizio del Cinquecento, conosciuto come Manierismo, nella decorazione dell'abside del Duomo di Verona, da lui eseguita su disegni di Giulio Romano nel 1534. Questo dipinto è precedente, del 1531, e proviene dalla facciata di una casa in via Stella abitata dall'umanista veronese Torello Saraina. Lo stato frammentario dell'affresco e la sua consunzione non permettono di interpretare la scena raffigurata.

Bambino con cagnolino
Battista del Moro
(Verona 1514 circa - 1574)
Verona, palazzo Bevilacqua-Lazise

Allievo e genero di Francesco Torbido, Battista del Moro fu uno dei primi e più significativi esponenti del manierismo veneto. Questo delizioso particolare è l'unico frammento superstite della facciata di palazzo Bevilacqua-Lazise a San Fermo, dipinta nel 1561 con episodi di storia romana. Sempre di Battista del Moro, sulla parete di fronte si può vedere una bella Sacra famiglia con sant'Antonio abate proveniente dalla chiesa di San Bartolomeo della Levata.

Allegoria delle città di Rovigo, Verona e Treviso
Bernardino India (Verona 1528 - 1590)
Verona, palazzo di Fiorio della Seta

Sono esposti qui altri due frammenti provenienti da palazzo Della Seta: una teoria di Ninfe che portano doni di Domenico Brusasorci e, di Bernardino India, la personificazione di tre città della Repubblica veneta, Rovigo, Verona (ai suoi piedi la figura di un vecchio barbuto che rappresenta il fiume Adige) e Treviso, che regge una cartella con le iniziali del committente: FDF, cioè Fiorio de Floriis. Altri due riquadri, perduti, raffiguravano rispettivamente Crema, Bergamo e Brescia, Padova, Venezia e Vicenza.

Sinopie dei sottarchi della loggia di Cansignorio
Altichiero (notizie 1369 - 1384)
Verona, palazzi scaligeri

Si apre a questo punto una interessante parentesi trecentesca. Nel 1364 circa Altichiero, il maggiore pittore italiano del suo tempo, decorava la Sala Grande del palazzo di Cansignorio della Scala con alcuni episodi ispirati alla Guerra Giudaica di Giuseppe Flavio, raffiguranti tra l'altro la conquista di Gerusalemme e due Trionfi. Purtroppo questo ciclo fondamentale è andato perduto nei rifacimenti posteriori del palazzo. Si sono conservati solo gli affreschi che fregiavano i sottarchi della loggia al primo piano, con una splendida serie di medaglioni di imperatori romani. Per le loro imponenti dimensioni gli undici sottarchi sono tuttora conservati nei depositi, in attesa che il restauro di un'ala del complesso museale renda disponibile il necessario spazio espositivo.

Il loro stacco, negli anni sessanta, portò alla luce alcune sinopie, cioè i disegni sottostanti tracciati direttamente sull'intonaco (il visitatore può vedere un pannello che illustra la tecnica dell'affresco in fondo al corridoio). Come accade talvolta con Altichiero, tali disegni non hanno relazione con la composizione pittorica finale, ma costituiscono esercizi disegnativi fini a se stessi. In questo caso si vedono due figure femminili in costume trecentesco, alcune teste di profilo (un giovane frate, un pellegrino), schizzi di edifici religiosi, due volti caricaturali, un cervo e altre figure non chiaramente interpretabili.

http://museodegliaffreschi.comune.verona.it/

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Prima di accedere al cortile esterno, dove è stato allestito il lapidario, il visitatore può scendere nei sotterranei per trovarvi una esposizione di anfore romane. In questa zona, lungo la riva destra dell'Adige, nel primo secolo dopo Cristo furono interrate centinaia di anfore che, dopo essere state usate per trasportare generi alimentari (vino, olio, salse), venivano riutilizzate, vuote e infisse nel terreno, per assorbire l'umidità del suolo e bonificare aree paludose. Nell'atrio sono esposte alcune sculture di epoca e provenienza diverse. La Pietà, opera di un ignoto lapicida veronese del Cinquecento, è caratterizzata da una vivace decorazione policroma ancora ben conservata. Dipingere le statue, sia di legno sia di pietra, era pratica corrente nel Medioevo e nel Rinascimento, ma sappiamo che anche gli antichi scultori greci prevedevano un rivestimento pittorico per le loro opere. Le due Figure allegoriche femminili esposte a fianco provengono dal recinto dell'arca funebre di Mastino II Della Scala a Santa Maria Antica e risalgono alla metà del Trecento (Mastino II morì nel ). Altre quattro figure simili sono conservate al museo di Castelvecchio. Naturalmente anche queste statue erano dipinte, ma la lunga esposizione all'aperto ha cancellato ogni traccia del colore originale. Il Corno dogale è quanto resta di un gruppo scultoreo che rappresentava Venezia e l'Adige, opera del bolognese Clemente Molli, collocato in piazza Bra nel  e distrutto dai Francesi nel  in seguito all'insurrezione delle Pasque veronesi. Il corno coronava la figura femminile che simboleggiava Venezia. Il cortile - sistemato a giardino e delimitato da una recinzione che ricrea l'antico impianto claustrale - e il lapidario che vi è allestito vogliono essere una citazione dei giardini cinquecenteschi annessi ai palazzi gentilizi, come il Giardino Giusti, ornati da statue e da iscrizioni antiche, costituendo allo stesso tempo una pausa nel percorso museale. Nella seconda metà dell'Ottocento numerose epigrafi ed elementi decorativi confluirono nelle collezioni civiche in seguito [segue] Museo degli Affreschi Cavalcaselle Cortile e Lapidario Iscrizione su pietra, part. (seconda metà del  sec.) 7 Italiano alla soppressione di chiese e conventi e alla demolizione dei palazzi danneggiati dalla disastrosa inondazione dell'Adige del . Negli anni sessanta il restauro del Museo di Castelvecchio ad opera dell'architetto Carlo Scarpa, con il ripristino delle strutture originali, portò allo smantellamento del lapidario allestito nella parte inferiore della Torre dell'Orologio. Tranne alcuni pezzi di particolare interesse, tutto il materiale fu depositato nell'area delle Franceschine. L' Atlante dello scultore vicentino Orazio Marinali sosteneva in origine una statua di Guerriero opera dello stesso artista; entrambe furono trasportate dal palazzo del Capitanio al Museo Lapidario Maffeiano alla fine dell'Ottocento. Nella sistemazione del  del cortile di Castelvecchio il gruppo fu collocato a fianco dell'ingresso del museo. Scarpa, nella trasformazione del giardino di Castelvecchio, ha collocato solo il Guerriero a lato dell'ingresso di Sala Boggian. Telamoni simili ornano ancora i palazzi cittadini, come palazzo dei Puoti in via San Cosimo o palazzo Orti Manara in corso Porta Palio. Il monastero di Santa Maria Maddalena in Campo Marzo fu soppresso nel  e demolito nel  dagli Austriaci per costruirvi lo stabilimento dell'approvvigionamento militare di Santa Marta. La grande architrave fu acquistata nel  da un privato, passò poi nella collezione di Pietro Monga a San Pietro Incariano e infine ai Musei Civici. L'epigrafe ricorda la concessione nel  da parte del podestà di Verona, Bonifacio conte di San Bonifacio, di sei iugeri per edificare il convento, ma fu incisa a ricordo dell'avvenimento nella seconda metà del XVI secolo. Fin dall'antichità il fiume Adige fu l'asse nevralgico della vita economica di Verona. Il trasporto di persone e merci rendeva necessario tuttavia un assiduo controllo per evitare il diffondersi di epidemie. Durante la peste del  un magazzino adiacente alla chiesa del Crocefisso, o di San Fermo Minore in Braida, fu adibito all'espurgo delle merci infette provenienti lungo la via dell'Adige dal Trentino e dalla Germania. Nell'area degli edifici, disposti attorno a due cortili e ampliata nel , come ricorda l'epigrafe, fu edificato nel  il Macello pubblico. Dalla chiesa di San Zeno in Monte, demolita nel , proviene la lastra sepolcrale di Fiorio de Floriis, detto Fiorio della Seta, morto nel . Questo ricco mercante tessile fece edificare alla metà del Cinquecento uno splendido palazzo lungo l'Adige, ornato dagli affreschi di Domenico Brusasorci e di Bernardino India, i cui frammenti sono esposti nelle sale del Museo. Atlante Orazio Marinali (Bassano  - Vicenza ) Iscrizione per la concessione di terreno pubblico per il convento di Santa Maria Maddalena in Campo Marzo (1211) Lapide che commemora la costruzione di nuovi edifici per l'espurgo delle merci infette (1681) Iscrizione sepolcrale di Fiorio de Floriis (1562)

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Vedi anche


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