Rating: 3/5
di Ludovico Casaburi
Insieme con Strokes e Editors, i newyorkesi Interpol sono tra coloro a cui si deve, a distanza di vent’anni dall’originale, la rinascita del movimento new wave di questi appena trascorsi anni zero. Dagli eccellenti esordi di Turn On The Bright Lights (2002) però, la band capitanata da Paul Banks non era stata più in grado di ripetersi. Né il pur buono Antics (2004) infatti, né tantomeno il mediocre Our Love To Admire (2007), avevano saputo riproporre l’affascinante incastro di suoni e sensazioni tipico degli Interpol.
Ed è così che si arriva al quarto album, intitolato, non a caso, proprio Interpol: è chiaro sin dal primo ascolto infatti il tentativo (ammirevole?) di un ritorno alle origini, e dunque della riconquista di atmosfere nuovamente più dark e underground. Obiettivo parzialmente raggiunto: se sullo sfondo di questo Interpol il drappeggio è infatti finemente ricamato a tinte scure, lo stesso non si può dire dei pezzi – sic et simpliciter – che compongono l’opera: manca un disegno preciso, la benemerita forma-canzone si fa desiderare e il risultato è poco incisivo.
Eccezion fatta per la voce – inconfondibile – di Banks, da dieci anni a questa parte una sicurezza. Lights e Barricade – rispettivamente primo e secondo singolo – sono certamente gli episodi migliori, insieme con la sorprendente Always Malaise (The Man I Am): chorus quasi parlato, archi, basso e pianoforte azzeccatissimi. Che dire? Alla fine, è sempre un piacere rivedere dei vecchi amici.
Interpol – Interpol (Matador, 2010)