Cosa succede quando una "polentona" si sposa con un partenopeo?
Con il post di oggi inauguro una breve serie di raccontini che vi darà un'idea proprio del risultato dell'incrocio Nord-Sud nella nostra coppia.
Sono nata a Padova, da una famiglia di polentoni doc, veneti da generazioni e generazioni (non ho neanche notizia di antenati "stranieri" a dire il vero!). In famiglia abbiamo sempre viaggiato, ma non abbiamo mai varcato i confini del Sud, al massimo ci siamo spinti in Toscana e per me il Sud cominciava da sotto la Toscana addirittura (abbiate pietà, non sono mai stata forte in geografia!).
Mio papà non ha mai avuto, devo ammetterlo, una grande opinione del Meridione, in gran parte perchè ha dovuto lavorare per tre anni facendo il pendolare Padova-Bari e l'incontro con quella città è stato traumatico. Appena uscito dalla stazione, dirigendosi a piedi verso il suo hotel, ha evitato per un pelo un sacco della spazzatura lanciato dalla finestra da qualche signora poco civile. Sembra proprio una delle scene di "Benvenuti al Sud", avete presente?
Ecco, queste le premesse. Quando sono partita per Parigi, mio papà mi ha detto:"Basta che non torni con un arabo o un terrone meridionale". Ehmm, ehmm... quando ho comunicato ai miei genitori l'esistenza di MA, questa è stata la conversazione:
Papà: "Da dove viene?"
IO:"...Napoli..."
Papà: " (Silenzio)... ed i suoi di dove sono?"
IO: "Suo padre per metà pugliese e per metà napoletano, sua mamma per metà napoletana e per metà calabrese..."
Papà:"...insomma nemmeno una goccia di sangue del Nord!".
Comunque, scherzi a parte, tutta la mia famiglia adora MA e non ci sono mai state incomprensioni. Giusto un esamino di dialetto veneto la prima volta che MA ha messo piede in casa dei miei. Avete presente la scena del film "Tre uomini e una gamba" in cui Aldo fa la parte del conte Dracula terrone che capita nella casa di due leghisti transilvani? E Giovanni e Giacomo gli dicono di prendere una "cadrega" (sedia) per accomodarsi ed Aldo, non capendo il loro dialetto, prende una mela e risponde, addentandola:"Buona questa cadrega!". Ecco, l'idea ci era venuta da li'.
E cosi', dopo un pranzo domenicale in famiglia con zii e nonna, i parenti polentoni si sono divertiti a porre un sacco di domande in veneto al povero MA. Ed il risultato è stato sconvolgente: MA mi ha battuto sulla conoscenza del dialetto veneto! Eh già, perchè alla fine io non lo parlo molto e non conosco tanti vocaboli, a parte quelli più comuni.
Questi sono stati gli inizi della convivenza Nord-Sud.
Rimanendo sul tema della lingua e dei dialetti, devo ammettere che in questi anni alla fine sono stata più influenzata io dalla napoletanità di MA che lui dalla mia vena veneta. In parte perchè io non parlo molto bene il dialetto e faccio spesso errori se cerco di cimentarmi, in parte perchè il dialetto e la cadenza veneta nemmeno mi piacciono. Alla fine gli ho trasmesso molto poco, giusto qualche termine che io uso più comunemente, del tipo: "poccio", per indicare una melma fangosa che si forma quando piove, "toccio" per indicare il sughetto che rimane sul piatto ed in cui si puo' intingere il pane, "sguarattare" per dire mescolare, "vecchio bacucco" o "duro patocco" espressioni che a casa mia vogliono dire rispettivamente "vecchissimo" e "durissimo". O il modo di dire di mia nonna:"Alla tua età saltavo i fossi par longo " per indicare azioni particolarmente ardite. Gli ho insegnato che in veneto non si usano le doppie, noi tendiamo a toglierle, al contrario di quello che succede a Roma per esempio. E la pronuncia della lettera L diventa "evanescente" all'interno di una parola, cosicché "polenta" diventa "poenta", "sorella" si dice "sorea" ecc ecc.
Quello che ho imparato io, invece è moolto molto di più! In primis perchè io, già prima di conoscere MA, ero una grande appassionata di Massimo Troisi, per cui imparare la lingua di questo grande attore era molto motivante. In secondo luogo perchè MA conosce molto meglio il napoletano di quanto io conosca il veneto. Nel corso degli anni mi sono accorta che ho assimilato sempre più vocaboli, espressioni e anche l'orecchio si è affinato. Quando guardiamo i film di Trois o i vecchi sketch con Lello Arena, non sto più li' attentissima a cogliere ogni parola per cercare di decifrare il discorso, la lingua scorre naturale e io la capisco quasi sempre. L'ultimo esame che ho superato è stato guardare "Cosi' parlo' Bellavista" e "Il mistero di Bellavista", due film con Luciano de Crescenzo, e ci sono riuscita molto bene.
Ho iniziato ad usare, inconsciamente, il verbo "stare" invece di "essere", in frasi del tipo: "Il barattolo del caffé sta sul ripiano" invece di "il barattolo è sul ripiano".
Ho imparato termini come "mulignana" (melanzana), "vasinicola" per basilico, "capera" per parrucchiera, "pupparuoli" per peperoni, "sfasteriato" per insofferente, "faticare" per lavorare, "tenere l'arteteca" per indicare l'incapacità di stare fermo, "pata pata dell'acqua" per indicare una pioggia torrenziale (da noi si dice "sgravasso", suona male, no?).
Ho migliorato anche il mio accento, modestamente penso di essere arrivata ad un buon livello, potrei forse mimetizzarmi in territorio nemico se mi limito a frasi brevi e concise, del tipo "Ué ué uagliù" e simili.
Al contrario MA, quando cerca di imitare l'accento veneto, sembra piuttosto che stia parlando in spagnolo! Una volta, in centro a Padova, siamo passati davanti ad uno stand della Lega e MA, cercando di mimetizzarsi, ha iniziato a dire: "Oggi a pranzo go' magnà poenta e osei" ("Oggi a pranzo ho mangiato polenta con uccellini", piatto tipico della tradizione veneta). Solo che l'accento lo tradiva alla grande!
Quindi sulla questione della lingua in casa nostra, Campania batte Veneto ampiamente.