Il Belgio, la ventesima economia mondiale, sede delle principali Istituzioni Europee e del quartier generale della NATO, nonché membro fondatore dell’UE e capitale d’Europa, sembra finalmente vedere la fine del tunnel, quello di un interminabile governo provvisorio, durato 18 mesi, il più lungo della storia, anche più di quello dell’Iraq. Dalla metà di settembre, infatti, i rappresentanti di otto partiti sembrano aver raggiunto un accordo per la riforma dello Stato, che entro due o tre settimane dovrebbe portare alla formazione di un governo effettivo. L’urgenza Dexia, il gruppo bancario franco-belga che per primo in Europa rischia il fallimento, avrebbe contribuito alla risoluzione dell’impasse politica di uno dei Paesi cardine dell’Unione Europea.
Quadro storico-economico belga
Il Belgio ha dovuto sempre fare i conti con le ancestrali divisioni tra le principali comunità linguistiche del Paese, divisioni legate peraltro alle differenti capacità economiche e produttive tra il Nord fiammingo e il Sud Vallone.
Così l’indipendenza del Paese nel 1830 dal Regno Unito dei Paesi Bassi fu portata avanti dalla minoranza francese, di religione cattolica, dall’attività industriale fiorente e dall’economia florida, contro le popolazione olandese. Fino alla fine del XIX secolo la sola lingua ufficiale fu il francese e i diritti dei fiamminghi furono drasticamente ridotti. Questo fu reso possibile anche grazie al fatto che fino agli anni Sessanta del ‘900 l’intera economia belga – così come l’intera Europa – si resse sul settore carbo-siderurgico, di cui la Vallonia, appunto, era maggiormente fornita. Quando questo settore andò in crisi negli anni Ottanta – parallelamente ad una rivalutazione delle attività industriali del Nord –, i fiamminghi riuscirono a ristabilire una situazione di uguaglianza ed, anzi, essi stessi sono oggi l’anima trainante del Paese. Mentre la Vallonia si trova oggi impegnata in un lento processo di riconversione del proprio apparato industriale, le Fiandre non sono solo la parte più popolosa del Paese, ma anche quella più produttiva, grazie alle imprese nel settore petrolchimico, meccanico, elettronico, automobilistico (il Belgio è il primo costruttore mondiale di autovetture pro capite), senza dimenticare quello delle pietre preziose. Da sole le Fiandre producono il 60% del PIL nazionale e la propria disoccupazione è 1/3 rispetto a quella del Sud. Discorso a parte, infine, per la Regione di Bruxelles-Capitale, regione come le altre due, enclave delle Fiandre, ma a maggioranza francese, vero nodo della contesa fra le due parti del Paese.
Perciò il sistema partitico belga riflette il multilinguismo e la complessità del sistema istituzionale: non esistono partiti belgi in senso stretto, ma solo partiti fiamminghi o valloni (anche i partiti di Bruxelles non hanno mai preso piede). Così anche il sistema elettorale non elegge deputati a livello federale: i cittadini possono votare solo un partito della propria comunità linguistica-culturale. La struttura belga, dunque, è duale, che riflette, cioè, le due comunità. Dalle elezioni politiche del 2007 queste divisioni si sono accentuate, si sono acuite le diversità di vedute riguardanti la riforma dello Stato, fino a condurre il Paese verso una vera e propria crisi istituzionale che è esplosa definitivamente in occasione delle elezioni del 13 giugno 2010 e dell’incapacità di formare un esecutivo.
Struttura e organizzazione belga
Il Belgio, situato al confine tra l’Europa germanofona e l’area linguistica e culturale romanza, in base alla Costituzione del 1831 è una Monarchia costituzionale ereditaria, anche se le riforme del 1994 e del 2001, che hanno trasferito maggiori competenze a livello locale e regionale, lo hanno reso un sistema federale (c.d federalismo per disaggregazione), che include entità di differente natura con sovrapposizione territoriale: a nord, la regione delle Fiandre, con popolazione di lingua fiamminga (variante dell’olandese) con il 58% della popolazione totale; a sud, la Vallonia, francofona ed una piccola comunità germanofona, di lingua tedesca, che formano complessivamente il 32% circa dell’intera popolazione; nel mezzo la regione diBruxelles-Capitale, ufficialmente bilingue, a maggioranza francofona.
Con le elezioni del giugno 2010, il governo belga sperava di poter superare la crisi politica causata dalla spaccatura tra i partiti fiamminghi e valloni, riguardo la determinazione della circoscrizione elettorale di Bruxelles. A nord aveva vinto largamente il partito nazionalista (ed indipendentista) della Nuova Alleanza Fiamminga (Nieuw-Vlaamse Alliantie = N-VA) di Bart De Wever, a sud il Partito Socialista di Elio di Rupo. Il risultato si è riflesso a livello parlamentare, dove i separatisti dell’N-VA hanno ottenuto 27 seggi, mentre i socialisti francofoni 26, affianco dei quali si pongono numerosi altri partiti.
La N-VA è diventato il primo partito fiammingo e la principale forza politica a livello nazionale. I rappresentanti dei partiti si sono succeduti nell’ultimo anno alla testa delle trattative per trovare un’intesa sulle problematiche più controverse, tra cui: la riforma dello Stato, la legge di finanziamento e lo status di Bruxelles, senza risultati positivi. Re Alberto II ha incaricato dapprima Yves Leterme, poi il deputato socialista fiammingo Johan Vande Lanotte, poi il socialista vallone Di Rupo e, infine, nuovamente Leterme come Primo Ministro ad interim per lo svolgimento degli affari correnti (quest’ultimo ha anche detenuto il semestre di presidenza dell’Unione Europea da luglio a dicembre 2010) e nel tentativo di trovare una soluzione alla situazione di stallo.
Ma quali sono i nodi della disputa? Innanzitutto la ridefinizione dell’assetto federale dello Stato. Da quando nel 1993 fu riformata la Costituzione, il Paese è stato suddiviso in tre entità amministrative autonome e tre lingue ufficiali: francese, olandese, tedesco. La comunità fiamminga, di tradizione olandese-tedesco, avrebbe voluto applicare con rigore il principio di sussidiarietà, limitando il più possibile il compito dello Stato. La comunità vallone, invece, propende per uno Stato centralista, con il mantenimento delle materie di competenza esclusiva dello Stato centrale come politica estera, difesa e giustizia.
Altri punti di contrasto sono: la riforma del senato; la nomina dei sindaci; i voti ai belgi all’estero; la separazione giuridica del distretto di Bruxelles, in cambio di alcune agevolazioni ai francofoni in termini di bilinguismo nei tribunali e nelle procure; il finanziamento della capitale francofona; la distribuzione della ricchezza e la conseguente riforma fiscale. I fiamminghi vorrebbero un sistema di tasse che renda giustizia all’economia del nord del Paese, più ricca e produttiva.
Questa perdurante instabilità politica e l’esistenza di un governo con competenze limitate, c’è da dire che comunque non hanno intaccato la situazione economica del Paese: il rapporto debito-PIL alla fine del 2010 è sceso sotto la soglia psicologica del 100%, il tasso di disoccupazione e in calo e, secondo le statistiche di Eurostat, il PIL nel 2010 è aumentato del 2,1% (uno dei dati migliori di Eurolandia, dove l’incremento medio è stato del +1,7%).
Il raggiungimento di un accordo
Il 13 settembre 2011 Leterme ha rassegnato le dimissioni per diventare, a fine anno, vicesegretario aggiunto dell’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE). Il Re Alberto ha dovuto procedere nuovamente alle consultazioni per cercare di risolvere l’impasse politico-istituzionale.
Il 15 settembre 2011 è stata raggiunta un’intesa tra gli otto principali partiti del Paese. L’accordo, definito “storico”, con una mossa strategica di Di Rupo, incaricato in extremis di tentare il tutto per tutto, riguarda principalmente la questione dello status della circoscrizione bilingue a maggioranza francofona di Bruxelles-Hal-Vilvorde. Da anni i fiamminghi invocano la scissione del distretto e l’annullamento di una serie di diritti linguistici ed elettorali speciali di cui beneficiano i circa 130mila francofoni che vivono nella periferia fiamminga di Bruxelles. L’intesa sembra dare il definitivo benestare alla separazione del distretto, ma restano ancora nodi, come il finanziamento per la capitale, il bilanciamento della concessione fiamminga ed il trasferimento delle competenze. Tra le altre riforme in attesa di approvazione ci sono quelle del senato che diventerebbe un’assemblea degli “enti federali”; la nomina dei sindaci, con un iter molto complesso; la procedura semplificata per il voto dei belgi all’estero; il rifinanziamento di Bruxelles che avverrà in parallelo alla sua scissione.
Lo scorso 8 ottobre sono stati meglio chiariti alcuni punti: la durata della legislatura federale da 4 a 5 anni, portandola in linea con le legislazioni regionali, a partire dal 2014; il rafforzamento dell’autonomia regionale in materia fiscale, di gestione della sanità e della sicurezza sociale. Inoltre, la protezione civile e il sistema dei vigili del fuoco resteranno di competenza federale, così come il codice della strada. Saranno cancellati privilegi linguistici e amministrativi fino ad ora concessi ai francofoni che vivono nelle zone fiamminghe della regione di Bruxelles. Infine, occorrerà valutare se nella futura maggioranza ci saranno i due partiti Verdi del Paese (Groen e Ecolo), i quali hanno contribuito al raggiungimento dell’accordo, ora in discussione al Parlamento.
Sicuramente anche la crisi della banca franco-belga Dexia, ha costituito un altro problema urgente da risolvere e ha evidentemente indotto le parti ad accelerare le trattative per uscire dallo stallo.
Conclusioni
Il punto chiave della governance belga è stato ancora una volta la sua forte tradizione consociativa, che le ha sempre permesso di risolvere conflitti, anche piuttosto aspri, attraverso la partecipazione di tutte le parti sociali interessate a tavoli di trattative istituzionali ed informali. Anche il ruolo della Monarchia, in questo senso, ha giocato un ruolo importante nel mantenimento della coesione – politica e sociale – del Paese in un momento tanto delicato. Così sembra anche essere stato ridimensionato il rischio dell’approfondirsi delle spaccature tra fiamminghi e valloni e delle possibili conseguenze a livello europeo dello stesso. Esistono, infatti, numerosi casi di richieste autonomistiche in tutta Europa – in Spagna, nel Regno Unito, in Germania, in Italia, in Slovacchia, in Romania, senza dimenticare il caso del Kosovo – che guardavano e continuano ad osservare l’evolversi della situazione belga. Il sistema federale belga è sempre stato utilizzato come modello di riferimento per i sostenitori di un federalismo efficace, ponderando le esigenze autonomiste con le caratteristiche proprie di uno Stato centrale. Di conseguenza, le diatribe belghe avrebbero potuto dare una nuova spinta ai movimenti autonomisti estremisti, disseminati per il continente.
La crisi politica del Belgio aveva, infine, preoccupato molto l’Unione Europea – soprattutto nel semestre di presidenza che Bruxelles ha detenuto nel secondo semestre del 2010 – dubitando della capacità di gestire gli impegni comunitari. Il Belgio è riuscito, tuttavia, ad ottenere alcuni importanti risultati: nell’arco del proprio semestre, infatti, è stato adottato il dossier riguardante la supervisione finanziaria che consiste nella creazione di autorità di vigilanza sui rischi prudenziali delle banche, delle compagnie assicurative e dei mercati finanziari; è stato trovato un accordo per la creazione di un semestre europeo che permetta di verificare sia gli sforzi compiuti dagli Stati membri riguardo al Patto di stabilità e crescita, sia i progressi sulle iniziative più importanti della Strategia Europea 2020; è stato peraltro trovato un accordo sulla cooperazione in materia di lotta all’evasione fiscale; altre importanti misure sono state prese, infine, nel campo della sanità transfrontaliera, dell’ambiente (Bruxelles ha condotto le trattative dei Vertici di Nagoya e di Cancun), della cittadinanza e sono stati conclusi tre nuovi capiti dei negoziati di adesione della Croazia. È sulla base di ciò che la Commissione ha dato piena fiducia al governo provvisorio belga ed è convinto che l’incipiente governo sarà forte, efficace e stabile.
Donatella Ciavarroni è laureanda in Storia delle Relazioni Internazionali (Università di Urbino)
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