“SConcerto di Natale”, questo il titolo dello spettacolo di musica (e non solo) degli A.C.H. TURA, gruppo vocale catanese formato da Elisabetta Anfuso, Salvo Disca, Iridiana Petrone e Antonio Bruno. Lo “sconcerto” andrà in scena al Teatro Tezzano di Catania (Via Tezzano, 40) il 22 dicembre alle ore 21 e il 23 dicembre alle ore 18 e alle ore 21. Chiacchieriamo con loro, parlando di percorsi, prospettive e progetti.
La prima domanda, fondamentale, è: perché A.C.H. TURA?
SD: A.C.H. TURA in realtà è una cosa molto complicata. Non è vero (ride). È nato in macchina, eravamo intrappolati nel traffico, e ci chiedevamo come intitolare questo gruppo: quindi venivano fuori tanti nomi, alcuni ci piacevano, altri meno; a un certo punto Iridiana dice: “Perché non ci chiamiamo “acciaccatura?” e io dico: “Sì, è una buona idea, però secondo me dovremmo scriverlo “A.C.H. TURA”.
Iridiana, come ti è venuta questa idea?
IP: L’acciaccatura è una figura musicale per cui una nota più piccola ne segue una più grande, sottraendole. Quindi noi vogliamo, nel nostro piccolo, acquisire l’esperienza dei nostri maestri e dei nostri insegnanti e crescere sempre di più come gruppo, come realtà di artisti catanesi e non solo.
Iridiana parlava di percorso artistico, quindi vorrei chiedervi, per conoscervi un po’ meglio, quali sono i percorsi artistici di voi quattro, e cosa ha portato proprio voi a costituire questo gruppo.
EA: Il percorso artistico accomuna tre del gruppo, cioè io, Salvo e Iridiana. Durante il nostro percorso all’Accademia del Teatro Stabile, ci siamo conosciuti, e dopo l’Accademia abbiamo pensato di rivederci in altre sedi e provare a metterci del nostro, per proporre al pubblico qualcosa di diverso e di nuovo, che qui a Catania non è presente. Quindi abbiamo pensato che potevamo provare ad utilizzare la voce in maniera diversa. In realtà, questo gruppo era inizialmente composto da dodici persone, e ora ci siamo ridotti in quattro (ride). Antonio, peraltro, è subentrato dopo, ma si è ben integrato.
IP: Con Antonio abbiamo tutti in comune il canto, e soprattutto il nostro maestro di canto, Armando Nilletti.
E Antonio cosa ci dice di questo suo inserimento “in corsa”?
AB: Maledico il giorno in cui… (ride). A parte gli scherzi, sono contentissimo di questa esperienza.
IP: Io volevo sottolineare, parlando di percorsi artistici, che Salvo, oltre ad essere un attore, è anche diplomato al Conservatorio, ed è lui che cura la parte musicale.
SD: È vero, la parte musicale di questo spettacolo l’ho curata io, prendendo “cose” popolari, arrangiandone altre, unendole insieme, infatti l’abbiamo chiamato “SConcerto di Natale” e io l’ho sottotitolato “Big medley natalizio per quattro voci miste”. Di fatto si tratta delle più disparate canzoni di Natale, dalle più disparate culture del mondo ed epoche storiche, tutte mescolate insieme. Per cui una canzone inizia, e in realtà non finisce, collegandosi, con vari stratagemmi, alla canzone successiva.
Dunque c’è l’idea della “canzone”, ma anche quella della “narrazione”.
EA: Più che altro c’è l’idea del gioco, cioè: quattro attori scalmanati sul palcoscenico, attraverso un canto iniziano questo viaggio e quindi, giocoforza, il Natale viene visto in maniera un po’ particolare, sopra le righe.
SD: Il Natale visto in tutte le sue sfaccettature; ci sono molte tematiche all’interno dello spettacolo, alcune più palesi, altre più intrinseche, su come è inteso il Natale oggi, quindi non solo con le cose belle, ma anche con una parte un po’ più “grottesca”. Tutti i modi di vedere il Natale, attraverso la musica e la nostra coralità che, essendo a cappella, è molto difficile, non avendo strumenti musicali d’accompagnamento, che potrebbero aiutarci a mantenerci “in tono” rispetto ad un determinato impianto armonico. E anche col movimento, dato che le canzoni sono anche scena, colori, immagini, tutti elementi che ci permettono di dare maggiori suggestioni al pubblico.
IP: Credo sia molto importante specificare che lo spettacolo è nato dal gioco, e penso che sia questo l’elemento che alla fine porta l’arte al centro di ogni cosa.
SD: Esatto. Bisogna considerare che tutto parte da una nostra improvvisazione. Iniziamo da noi quattro, come elementi, e da questa cosa evolvono tante altre cose. Può evolvere un movimento, sulla base di una proposta di uno dei quattro, oppure un motivetto che ci spinge magari a scegliere una canzone piuttosto che un’altra e scriverci sopra un arrangiamento. In questo modo creiamo il nostro “messaggio”.
Nella creazione di questo messaggio, che ruolo gioca la scelta dei testi? In base a quali parametri scegliete un brano piuttosto che un altro? Modificate i testi delle canzoni scelte?
SD: Non c’è una costante da questo punto di vista. Molte volte, anche a seconda di come si è evoluta la pièce fino a quel momento, abbiamo bisogno di utilizzare una canzone precisa per comunicare uno stato d’animo ben determinato. Altre volte invece siamo spinti da un colore, da un movimento. Per quanto riguarda i testi, la mia scelta è stata di lasciarli inalterati. Le uniche libertà che ci siamo presi riguardano certe armonizzazioni, calibrate sulle nostre idee.
C’è dunque un’applicazione profonda di quanto sostenevano Grotowski e Barba, mettendo al centro il lavoro del gruppo.
SD: Esatto. E da questo nasce lo spettacolo. Da una concordanza, o da una discordanza.
IP: Dalla semplicità. Naturalmente questa semplicità ci viene data anche da una nostra preparazione pregressa, dalla nostra esperienza accademica. Dunque c’è uno studio e, se è vero che giochiamo e improvvisiamo, lo facciamo perché ci conosciamo, lavoriamo da parecchi anni insieme e quindi sono dei giochi, sì, ma giochi scenici.
Armando Nilletti, maestro di canto degli A.C.H. TURA: quale il suo punto di vista sul processo di creazione di questo spettacolo?
AN: La drammatizzazione del sogno, dell’illusione, dell’immagine, dello stereotipo, e la drammatizzazione di quello che può essere un pensiero, un desiderio, diventa canto, espressione corporea, immagine di suono, ricerca di stile e soprattutto comunicazione di un aspetto che molto spesso attraverso la musica si può trasferire nella mente del pubblico, che è quello del senso, cioè di cosa si vuole dare. In questo caso, l’immagine del Natale, vissuta con un effetto “ecumenico”, legato agli aspetti musicali dei brani che Salvo ha cucito insieme, basandosi soprattutto su quelli che in gergo tecnico si chiamano “passaggi modali” e le varie scale sulle quali i ragazzi giocano con le voci. Ci si basa molto sul non verbale, e quindi su un linguaggio che diventa quasi metafisico.
Come si configura questo lavoro di “drammaturgia”?
AN: È composto da tante fasi: anzitutto si parte dalla sperimentazione dell’uomo, nel corso degli anni, nel suo misurarsi prima con l’espressione corporea, poi con il canto, e poi l’unire le due cose, con l’emissione di un “cantato” anche “recitato”, attraverso l’opera lirica, il musical, il varietà, etc. Loro si pongono come ulteriore evoluzione, rispetto a questi passaggi: sono come dei mimi che cantano.
Maestro Nilletti, qual è il rapporto tra esecuzione e percezione?
AN: È basato sugli intervalli, che danno l’intonazione e riescono a rappresentare stati d’animo diversi. Tutte le parole sono fatti di suoni, come sappiamo; e ogni parola ha una “distanza musicale”. Se io devo dire “mi prendi quella cosa”, lo dirò con dei suoni molto più acuti, mentre se la cosa è vicina dirò “mi dai questa cosa”, con suoni più bassi. Questo “gioco” è molto interessante in riferimento ai canti africani, o agli stessi canti siciliani, a patto però che si utilizzino le giuste ritmiche, perché molto spesso noi siciliani, ad esempio, cantiamo in siciliano ma utilizzando la scala napoletana. Consideriamo “Vitti ‘na crozza”: noi ormai l’abbiamo storpiata, e la cantiamo come se fosse qualcosa di “comico”, mentre in realtà si sta parlando di uno che ha paura e si dà un contegno attraverso il canto. Dunque i ragazzi hanno fatto una ricerca profonda, in questo senso, anche in rapporto ai passaggi fra tradizioni musicali diverse.
Dal punto di vista più strettamente musicale, ci sono dei gruppi già esistenti a cui vi siete ispirati? Potrebbero venire in mente i The Mamas & the Papas, per esempio.
AN: È chiaro che è un’evoluzione dei gruppi a cappella perché, superando la staticità classica di quei gruppi, i ragazzi inseriscono l’espressione corporea, in un insieme di gioco, sogno, desiderio e più in generale ogni forma di comunicazione, anche “mentale”.
Quindi, per concludere, nessun riferimento, se non generico, ma una concezione decisamente originale dell’approccio a questo tipo di coralità?
SD: Molto genericamente, ci sarebbero gli Swingle Singers, anche se noi ci siamo spinti molto più in là; e c’è ovviamente, e questo ci riconduce alle nostri origini, anche molto teatro.
Fotografie di Riccardo Marino